Emergenti, la redditività prima della crescita

Per molti anni i mercati dei capitali hanno applicato l’equazione “paesi emergenti uguale crescita”, che ha funto da ragione universale alla base degli investimenti. Tre domande a Marc Erpelding, gestore del fondo BL-Emerging Market.
A suo avviso, questa equazione è ancora valida?
Prevediamo che in futuro i mercati emergenti esibiranno un tasso di crescita più lento. Gli anni della crescita “facile”, sostenuta da programmi d’investimento pubblici e dalle esportazioni, basati su livelli salariali contenuti, sono ormai alle nostre spalle. Sia il settore dei servizi che il consumo interno assumeranno un ruolo di crescente importanza. Alcuni studi hanno tuttavia dimostrato che non esiste alcun legame tra crescita economica e andamento delle borse. Gli investimenti aventi come ragion d’essere la “crescita” hanno dunque perso la loro validità, anche nei mercati emergenti. Un rallentamento dell’espansione, pertanto, non deve necessariamente essere considerato come uno sviluppo negativo. Spesso infatti un contesto economico difficile induce le società ad agire in modo più cauto e a spostare l’attenzione dalla crescita a tutti i costi a una maggiore redditività degli investimenti e/o delle acquisizioni. Sul medio-lungo termine ciò può esercitare un effetto positivo sugli utili societari e, di conseguenza, anche sull’andamento dei corsi.
Lei gestisce il fondo dal lancio avvenuto nel 2007 e si è sempre sensibilmente allontanato dal benchmark. Per quale motivo?
Puntiamo su società in grado di realizzare un valore aggiunto a lungo termine per i propri clienti e azionisti, idealmente a prescindere dagli eventi macroeconomici. Queste imprese, caratterizzate da elevate barriere all’ingresso, cash flow positivi e bilanci solidi, offrono in genere il vantaggio di subire perdite contenute nelle fasi di ribasso e di uscire spesso vincitrici dalle crisi. Inoltre investiamo solo in modelli aziendali facilmente comprensibili. Non attribuiamo alcuna importanza al fatto che queste società siano o meno rappresentate nell’indice né al peso che hanno nello stesso.
Questo approccio d’investimento rigoroso ci porta, ad esempio, a sottopesare in misura significativa i titoli finanziari o le azioni legate alle materie prime. A nostro avviso le banche mostrano spesso una carenza di trasparenza, mentre per quanto riguarda le commodity la decisione d’investimento è legata al ciclo delle materie prime più che alle aziende stesse. Inoltre, è alquanto difficile prevedere l’andamento dei corsi del greggio, del rame o dell’alluminio. Questi due settori sono tuttavia molto rappresentati negli indici per via della crescita “facile” a cui ho accennato, che si è protratta per diversi decenni. A causa di queste discrepanze con la nostra metodologia d’investimento, operiamo in modo indipendente dall’indice e non ci lasciamo “dettare” i titoli da acquistare.
Negli ultimi anni gli indici dei mercati emergenti hanno esibito un andamento laterale, anche se volatile, seguito da una correzione. Come reagisce a fronte di questa evoluzione?
È vero: tra il 2010 e il 2014 l’MSCI Emerging Markets, l’indice dei paesi emergenti, ha esibito perlopiù un andamento laterale. Tuttavia, per noi, più che l’evoluzione dell’indice, è l’andamento dei corsi delle società di qualità che monitoriamo ad essere decisivo. Anche in questo segmento si registrano dal maggio 2015 notevoli correzioni, che abbiamo sfruttato per aumentare la componente azionaria da circa il 68% all’attuale 84%, le percentuali più alte dalla crisi finanziaria. A seguito di queste correzioni, le valutazioni di numerose società di qualità sono divenute più allettanti, il che ci offre l’occasione per aprire posizioni nuove o incrementare quelle esistenti. In questo caso si tratta di pure decisioni di tipo bottom-up. Qualora i corsi delle società di qualità subiscano correzioni maggiori, aumenteremo ulteriormente la componente azionaria. Per una classe di investimento che dipende sensibilmente dalla propensione al rischio degli investitori e che (purtroppo) viene ancora concepita come mera integrazione di portafoglio, riteniamo che questo approccio anticiclico sia estremamente ragionevole.

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