Dopo Brexit, il ritorno della politica

A cura di Massimo Saitta, Direttore Investimenti di Intermonte Advisory
Negli anni ’90 tutti coloro che seguivano il mercato azionario dedicavano particolare attenzione all’analisi politica. L’instabilità di governo e una certa ritualità molto complessa della nostra politica ne facevano materia da specialisti domestici. La lettura degli eventi politici nei riflessi economici e finanziari rappresentavano uno delle specializzazioni delle case di investimento italiane.
La valutazione dei titoli e delle diverse categorie di attivi era legata a doppio filo alle decisioni nazionali. Alle azioni italiane veniva applicato uno sconto per il rischio correlato all’instabilità politica. A partire dal periodo di convergenza nell’euro e soprattutto dopo la sua adozione l’approccio degli investitori ai fatti politici domestici è cambiata. La competenza su molte materie soprattutto di natura finanziaria, di politica economica e di politica monetaria è stata assegnata ad organismi sovranazionali (la BCE in primis) che, per quanto orientati dalle singole posizioni dei paesi membri, hanno espresso una direzione comune su molti di questi temi. Il focus degli investitori si è pertanto orientato ad interpretare i segnali in arrivo da Bruxelles o Francoforte piuttosto che dalle decisioni politiche di Roma o dei singoli paesi.
Forse la sola vera eccezione a questo tipo di approccio si è avuto solo con il deflagrare della crisi greca negli scorsi anni. Nata tuttavia come crisi interna, al momento della sua sistemazione ha coinvolto attori sovranazionali quali il Fondo Monetario così come l’UE e la BCE. Questi ultimi mesi hanno riacceso il faro sulle conseguenze economico/finanziarie di eventuali scelte di natura politica con un profilo più marcatamente domestico (referendum sul Brexit, la nuova tornata elettorale in Spagna, la candidatura di Trump alle presidenziali americane, il referendum costituzionale in Italia). Ciò che è cambiato rispetto alla vecchia analisi politica è che le conseguenze di scelte politiche prettamente domestiche hanno un impatto globale sui mercati finanziari a causa delle forti interrelazioni commerciali e finanziarie tra paesi oltre che tra variabili macroeconomiche.
L’inatteso risultato del referendum inglese e le conseguenze sui mercati internazionali. La vittoria del “leave” rappresenta innanzitutto un pugno allo stomaco del dirigismo europeo. Essendo stata una vittoria della “pancia “ del paese rispetto alla testa, ci dice che bisogna prendere in considerazione il fatto che gli effetti del malcontento popolare possono sovvertire quello che su base logica dovrebbe essere il risultato. I sondaggi e le analisi politiche faticano ad intercettare l’orientamento di un elettorato che va alle urne con un tale approccio. Di conseguenza anche gli eventi inaspettati devono essere considerati con una ponderazione maggiore. Ecco perché avremo continue impennate della volatilità dei mercati.
L’attenzione che verrà riservata ai possibili esiti a ridosso di eventi politici sarà maggiore che nel passato e i mercati tenderanno ad approssimarsi a tali scadenze con un atteggiamento meno compiacente. Si tornerà a guardare più che in passato alla posizione delle differenti parti politiche riguardo a temi economico-finanziari che possono avere una connotazione localistica quale la politica energetica, la governance delle società pubbliche e municipalizzate o la politica fiscale. In caso di shock sui singoli paesi come nel caso del Brexit inoltre saranno tendenzialmente “premiate” in termini relativi quelle società che fanno più business all’estero e meno domestico, dal momento che quest’ultime possono soffrire dai cambi di orientamento politico che deprimono il business specifico o modificano il quadro normativo per alcuni settori.
In termini generali la ricerca di un nuovo equilibrio passa per un periodo di incertezza che nel caso specifico del Brexit potrà essere anche piuttosto lungo e che finirà per avere l’effetto di rallentare gli investimenti e in maniera forse meno pronunciata avrà un effetto negativo sui consumi generando di conseguenza un effetto recessivo molto difficile da stimare con precisione in questa fase.
L’inatteso risultato del referendum inglese e le conseguenze sul mercato azionario italiano. Purtroppo le attese negative in termini di ricadute sul mercato azionario italiano da un eventuale esito contrario alle aspettative del referendum si sono rivelate corrette. Se i conti economici delle aziende quotate sono infatti in gran parte poco impattate dall’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (rif. Brexit referendum: dramma o farsa?)  il clima di incertezza che è scaturito dal referendum si è riverberato in modo particolare sui mercati azionari periferici. L’Italia in un contesto di questo tipo ha pagato il conto più salato con una perdita di oltre 12 punti percentuali in un giorno.
Ha pesato in particolare la debacle del settore bancario che rispetto agli effetti diretti del Brexit ha poco a che fare ma: 1) rappresenta il ventre molle in cui si scarica l’azione di coloro che vedono l’Italia come un paese rischioso. Non riuscendo ad intervenire al ribasso sui titoli governativi difesi dagli acquisti della BCE le vendite si concentrano sulle banche italiane che hanno la pressoché totale allocazione delle proprie risorse in governativi nazionali e non godono di alcun meccanismo di difesa 2) è vittima di un meccanismo perverso di richiesta di copertura aggiuntiva sui crediti in sofferenza rispetto l’attuale livello che impatta sulle necessità di capitale che al loro volta vanno a ridurre le  capitalizzazioni di borsa così che si renda necessaria una maggiore necessità di mezzi freschi.
Il governo italiano ha assunto una posizione piuttosto netta su una azione diretta dello Stato nel capitale delle banche appellandosi alla clausola che prevede la possibilità di derogare al divieto di intervento in casi eccezionali (come l’attuale sembra essere). Volendo spezzare questo circolo vizioso sta cercando in qualche modo di sfruttare il possibile ricompattamento tra i 27 paesi residui dell’Unione ma per il momento questo tentativo ha subito il veto della Germania. 3) Più in generale le banche rappresentano sempre una approssimazione dello stato generale dell’economia in particolare in questa fase in cui da un punto di vista reddituale si affievoliscono i ritorni della gestione finanziaria a causa dell’appiattimento dei rendimenti che dovrebbero essere compensati dai ritorni del business bancario grazie all’incremento dei prestiti (correlati positivamente alla ripresa economica).
Ma se le attese di ripresa diminuiscono a causa delle incertezze per la Brexit anche le prospettive reddituali si contraggono e il conto economico degli istituti di credito ne soffre. Il grafico sottostante mostra la reazione del settore bancario europeo al risultato del referendum. I guai delle banche non sono solo una prerogativa italiana!
Le prospettive per i prossimi mesi. In tema di impatto della politica sull’andamento del mercato azionario ancora una volta non si può non osservare come i prossimi mesi siano densi di appuntamenti politici che possiedono forti elementi di discontinuità con il recente passato. Riassumendoli in ordine cronologico il primo e più importante per quanto ci riguarda è referendum per la modifica della carta costituzionale che si terrà in Italia nel mese di ottobre seguito dalle elezioni presidenziali americane in novembre dove il candidato dei repubblicani Donald Trump potrebbe sparigliare le carte che vedono nettamente favorita Hillary Clinton.
In mezzo potremmo avere una nuova tornata elettorale in Gran Bretagna per eleggere un governo che vada a gestire il periodo di transizione di uscita dall’Unione Europea. Sembra molto poco probabile per contro che possa tenersi un secondo referendum riparatore o che il risultato del 23 giugno scorso venga sostanzialmente ignorato (trattandosi di un referendum consultivo). Nel futuro più immediato che copre i mesi estivi vedremo probabilmente un mercato che dovrebbe essere influenzato da quelle che vengono definite “headline news” cioè i lanci di agenzia che riguarderanno l’evoluzione delle vicende britanniche e per quanto ci riguarda, dalla fine di luglio, anche dai risultati aziendali relativi al secondo trimestre 2016.
Questi saranno interessanti per due ragioni: innanzitutto i numeri potrebbero aver catturato l’effetto del clima di incertezza pre e post referendum che ha contraddistinto il mese di giugno. Inoltre la reporting season sarà l’occasione nella quale il management darà le prime indicazioni sulle prospettive del business dopo l’esito referendario nel Regno Unito. Insomma potrebbe essere un occasione per un check up dopo la botta subita. Anche in termini prospettici un discorso a parte merita il comparto bancario domestico.
Le dichiarazioni degli ultimi giorni lasciano immaginare la costituzione di un secondo fondo Atlante che possa intervenire a sostegno di eventuali necessità di capitale e per l’acquisto di ulteriori tranche di crediti deteriorati bancari. Non mancano tuttavia le incertezze legate alla dotazione che avrà e a chi se ne farà materialmente carico in termini di sottoscrizione. E il tutto stando ben attenti a non configurare l’intervento statale, uno dei dogmi inviolabili dei regolatori europei.

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