Un uso redditizio del tempo? Dissipare la confusione relativa alla stagione dei risultati statunitensi

A cura di Jenny Rodgers, M&G Investments
Iniziamo con alcuni fatti relativi ai profitti. Le imprese statunitensi hanno iniziato a pubblicare i risultati relativi al primo trimestre e finora sembra che le cifre siano superiori alle aspettative. Ma immediatamente sorge qualche problema: quale definizione di profitti si sta descrivendo in questo caso? Le imprese non tendono comunque a superare quasi sempre le aspettative?
È ovvio da molto tempo ormai che pubblicazione e analisi dei profitti delle imprese siano più un’arte che una scienza. Tuttavia, ci sono un paio di ragioni che hanno recentemente portato questo problema alla ribalta.
Le imprese negli Stati Uniti hanno l’obbligo di comunicare i conti GAAP  (principi contabili generalmente accettati) statunitensi, ma anche di comunicare altre variazioni, quali EPS operativo e cash EPS. Normalmente le varie misure di utili e le differenze tra loro sono appannaggio degli analisti azionari e vanno affrontate caso per caso. A un livello aggregato, riporre troppa fiducia in una qualsiasi di queste misure potrebbe essere visto come perdersi nei dettagli.
Tuttavia, attualmente ci si preoccupa in quanto, mentre le più prudenti cifre GAAP (un requisito normativo) sono crollate, le cifre sottoposte dalle imprese stesse (note anche come conti “proforma”) hanno mostrato buona tenuta.
Un uso redditizio del tempo? Dissipare la confusione relativa alla stagione dei risultati statunitensi
I nostri colleghi all’Equities Forum hanno affrontato l’argomento qui, qui, e oggi, come anche Ed Yardeni nel suo blog. In breve, le imprese possono apportare modifiche ai loro conti proforma che non possono invece apportare alle relazioni GAAP. I cinici potrebbero affermare che le compagnie siano incentivate a imbellire i loro profitti e pertanto una differenza crescente tra i due dati riflette un “divario di frode” (seppur in osservanza della legge) che dovrebbe rappresentare motivo di preoccupazione.
Secondo i più tolleranti il calo del prezzo del petrolio implica che energia e materiali siano i principali fattori determinanti questo divario (Secondo Deutsche Bank, 10 dollari su un totale di 17), assieme al settore salute, un’industria tradizionale in cui i deterioramenti sono comuni. Altri sottolineano che le imprese con oltre il 50% dei loro profitti provenienti dall’estero siano state le maggiormente colpite per via del dollaro forte a partire dal 2014.
Il grafico seguente mostra che l’ampliamento del divario sia complessivamente simultaneo a queste tendenze.
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Come controllo incrociato, possono essere analizzate alcune cifre di profitto macroeconomiche Sono parte dei conti nazionali statunitensi ufficiali e sono considerate (in modo particolarmente esplicito dal commentatore Andrew Smithers) sia come più affidabili che come indicatore di sopravvalutazione da diversi anni.  Qui l’immagine è chiara: il rallentamento dei profitti nel corso dell’anno nel 2015 è culminato in una caduta dei profitti del 15% al ritmo di anno su anno nel quarto trimestre 2015, in parte per via dei problemi nell’industria petrolifera.
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Ma il petrolio non è l’unico problema. Gli indicatori macro mostrano che anche i profitti nell’industria finanziaria sono caduti anno su anno nel quarto trimestre e che i profitti dalle operazioni estere sono scesi nel 2015 rispetto al 2014. Fare riferimento ai GAAP non è necessariamente il modo di risolvere qualsiasi problema di rendicontazione erronea.  Un recente sondaggio pubblicato nel Financial Analysts Journal suggerisce che i CFO di imprese pubbliche credono che, anche nell’ambito GAAP, 10 centesimi di ogni dollaro di utili siano erroneamente rappresentati in un modo o nell’altro.
Cosa possiamo aspettarci succeda a partire da qui?
Un buon punto di partenza consiste nel guardare alle aspettative degli analisti. La comunità degli analisti, nel complesso, resta decisamente ottimista nonostante i problemi recenti e sembra soddisfatta di accettare che le modifiche apportate dalle imprese ai loro conti proforma come misure una tantum siano effettivamente temporanee.
Il grafico seguente indica il tasso di crescita anno su anno dei profitti proforma dell’S&P 500, atteso dagli analisti bottom-up nel tempo. Per gli anni precedenti al 2016, gli ultimi punti dati mettono in evidenza la reale crescita dei profitti ottenuta.
Possiamo notare che nonostante le delusioni recenti, gli analisti si aspettano ancora una crescita dei profitti a doppia cifra nel 2017 e 2018. Sarebbe giusto dedurre che ci sia in questo senso un certo livello di ancoraggio (o lieve manipolazione).
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Cosa possiamo concludere da tutto ciò? Il punto chiave è che ci sono numerose misure di profitti di impresa e che pertanto svariate sono le conclusioni che possono essere tratte. Ci sono molti elementi a supporto sia di posizioni ottimistiche che pessimistiche. Gli estremi variano da visioni quali “le recessioni dei profitti conducono a recessioni economiche” a “al di là del settore petrolifero è tutto normale”, come anche “a parte il petrolio, il livello di profitti e i margini dei profitti sono elevati e devono scendere ulteriormente”.
Alla fine ciò che conta per il mercato finanziario è il potenziale di crescita degli utili nel più lungo termine e il rating che che viene applicato a questi utili. Tutto il gran clamore attorno all’attuale flessione dei profitti e le varie conclusioni contrastanti si rivelerà probabilmente essere solo chiacchiere in termini di cosa determina i prezzi di mercato. Un calo significativo dei profitti come nel periodo 2007-2009 causerebbe, ovviamente, problemi, ma non ci sono ragioni per aspettarsi attualmente un simile esito. Il grafico seguente evidenzia il rapporto di lungo termine tra prezzo e un multiplo costante di profitti trailing per l’indice S&P 500.  Un’ipotesi naturale consisterebbe in nuovi picchi record sia per utili che per mercato azionario negli anni a venire.
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Mercati e analisti hanno sostanzialmente visto oltre quelle che effettivamente sembrano essere circostanze specifiche di una recente debolezza degli utili. In fondo il problema di attualità continua ad essere quello discusso da Eric all’inizio dell’anno, ovvero: qual è la valutazione appropriata di questo flusso di utili se siamo in un mondo di tassi modesti?
Il rendimento degli utili negli Stati Uniti, usando dati delle stime di consenso su 12 mesi mobili, è attualmente pari a circa 6% e il rendimento del dividendo è appena al di sopra del 2%, in linea con la sua valutazione media a 30 anni. Se da una parte l’azionario statunitense è meno allettante di quanto non sia stato per lungo tempo in termini assoluti, è comunque prezzato per generare performance più allettanti rispetto a liquidità o titoli di Stato mainstream, i cui rendimenti sono negativi in termini reali. Le sfide saranno anche numerose, sia in termini di dinamiche di profitti strutturali che di pressioni a livello di valutazioni, ma è poco probabile che le bravate contabili rappresentino uno di questi problemi.

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