A 10 giorni da Brexit, a che punto siamo?

A cura di Jenny Rodgers, M&G Investments
Venerdì 24 giugno sembra una data molto lontana, con tutto quello che è successo da allora. La sterlina ha dominato le notizie qui in Regno Unito. È leggermente risalita dal minimo di 1,312 contro il dollaro raggiunto nell’immediato dopo-Brexit, ma è ancora lontana dal livello di 1,50 al quale veniva scambiata prima del referendum.
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L’indice FTSE 100 inizialmente ha reagito con una forte flessione (circa l’8%), ma da allora ha recuperato tutte le perdite. Al 1° luglio segna un rialzo di oltre il 4%. Il FTSE 100 genera circa il 75% dei ricavi all’estero, quindi la valuta più debole è un elemento favorevole. Per contro, gli indici FTSE 250 e FTSE Small Cap, più orientati al mercato domestico, cedono circa il 7,5% e il 3,5% rispettivamente.
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I titoli governativi sono rimbalzati, con il rendimento sulle scadenze decennali sceso ai nuovi minimi storici subito dopo il voto pro-Brexit.
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A seguito dell’esito referendario, gli spread sulle emissioni societarie britanniche si sono ampliati di circa 50 punti base (bps) sull’indice BBB in sterline e di quasi 100 bps su quello high yield.  In entrambi i casi, c’è stata poi un’inversione di rotta, anche se di modesta entità.
Le aspettative relative ai tassi d’interesse sono cambiate nel dopo-Brexit. I mercati in precedenza si aspettavano che la Banca d’Inghilterra avrebbe adottato misure restrittive nel giro di un anno, ma ora la prossima mossa attesa è un taglio, ipotesi corroborata ieri da Mark Carney. Un’evoluzione di questo tipo sembra sensata, considerando che la grande maggioranza degli economisti aveva dichiarato che un voto pro-Brexit sarebbe stato negativo per l’economia.
Al di fuori del Regno Unito ci sono state ripercussioni ad ampio raggio, con lo yen giapponese e i titoli governativi occidentali inizialmente in recupero e le aree più rischiose dei mercati azionari in balia delle vendite.  I movimenti nell’arco della settimana scorsa sono stati di segno contrastante. Le azioni italiane perdono ancora circa il 10%, mentre altri mercati, come ad esempio quello brasiliano, hanno subito una flessione per poi recuperare. In termini settoriali, i finanziari hanno sottoperformato mentre le utility, la salute e i beni di consumo primari sono risultati sovraperformanti. Questi movimenti sono molto indicativi dell’andamento relativo a livello di Paese. Anche i mercati emergenti hanno beneficiato della percezione che, con ogni probabilità, le principali banche centrali del mondo avrebbero fatto mosse espansive in scia alle notizie in arrivo dal Regno Unito.
Che cosa significa tutto questo?
In mezzo alle tante notizie e al tanto rumore della scorsa settimana, è difficile dare un senso alla situazione. Vorremmo però fare qualche osservazione.

  • L’impatto economico effettivo del voto pro-Brexit è difficilmente valutabile, dato che gli esiti ultimi sono ignoti a tutti. Per i politici si prospettano decisioni importanti: è possibile rimandare l’invocazione dell’articolo 50? Sarebbe meglio restare all’interno dello Spazio economico europeo (SEE), come la Norvegia, o uscire anche da lì? Quali sono i tempi previsti per negoziare nuovi accordi commerciali con circa 50 Paesi? La realtà è che sappiamo poco dell’evento: la sola cosa che è cambiata è il livello di fiducia del mercato riguardo ad alcuni esiti.
  • Abbiamo ricevuto informazioni nuove che giustifichino una modifica delle nostre conclusioni sull’attrattiva a medio termine dei vari asset? I mercati finanziari sono diventati più convenienti o sono emersi dati nuovi? È difficile dire che siamo venuti in possesso di informazioni nuove sufficienti per prendere una decisione, dato che i prezzi delle azioni sono inferiori (anche se non così tanto adesso), ma in prospettiva i fondamentali potrebbero effettivamente peggiorare. Siamo propensi a credere che in alcune aree si stia accumulando un certo premio al rischio, nel senso che i mercati scontano probabilmente un’evoluzione esageratamente sfavorevole. Ma non possiamo esserne certi.
  • Possibile che si verifichino cambiamenti così significativi da spostare il pendolo politico verso il protezionismo, con un allontanamento dal libero mercato? Troppo presto per dirlo, ma il voto pro-Brexit è in linea con le dinamiche che si vedono in giro per il mondo. Gli eventi di questo tipo possono avere l’impatto di ampliare la visione del pubblico riguardo a ciò che è possibile a livello politico e di politiche. Si rafforza infatti la sensazione che “tutto può succedere” e che quindi la gamma di conseguenze possibili sia diventata molto più vasta. Uno spostamento verso il protezionismo e l’adozione di barriere commerciali sarebbe davvero molto negativo e potrebbe essere una fonte di inflazione.
  • Forse lo sviluppo più interessante sui mercati riguarda i titoli governativi del mondo industrializzato. Molti di questi strumenti sono stati percepiti come beni rifugio, il che è perfettamente comprensibile come reazione istintiva iniziale. Magari gli investitori si stanno godendo il viaggio, dimenticandosi che gli alti guadagni recenti di fatto sono sottratti a quelli futuri. Con un rendimento nominale di circa l’1%, il mercato britannico non offre prospettive incoraggianti in termini di distribuzione di reddito. Per tutti i motivi appena citati, non sappiamo cosa succederà da qui a breve. Ma un’obbligazione che rende l’1% può diventare un investimento remunerativo solo se si muove verso un rendimento ancora più basso. Abbiamo visto i rendimenti diventare negativi in altri Paesi, il che nel breve termine può offrire un guadagno, ma quanto è sostenibile una situazione di questo tipo? È interessante notare che le obbligazioni hanno ignorato alcune delle notizie potenzialmente negative per l’asset class, come il declassamento del debito sovrano del Regno Unito da parte delle agenzie di rating e la possibilità di un rialzo dell’inflazione in futuro.

 
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Nel complesso, nonostante la stabilizzazione dei prezzi di alcuni asset di rischio, è stata una settimana traumatica. Sarebbe facile concludere che i livelli di incertezza sono aumentati, ma in realtà ciò che è accaduto è solo un promemoria del fatto che l’incertezza è una caratteristica permanente del panorama. Senza dubbio, l’incertezza ha raggiunto il massimo livello il 23 giugno, ossia il giorno del referendum. Da allora, gli operatori di mercato hanno vissuto un’ampia gamma di emozioni: shock, negazione, rabbia e i primi segnali di accettazione. Nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile.

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