L’asset allocation di Pictet Am

A cura della Strategy Unit di Pictet AM

Dal Barometro relativo al mese in corso, elaborato da Pictet AM emerge in sintesi che, per quanto riguarda le asset class globali viene mantenuto il sovrappeso sulle azioni (soprattutto le Borse Europee) e il sottopeso sulle obbligazioni poiché gli stimoli monetari dovrebbero trainare la crescita economica, l’azionario emergente dovrebbe poi registrare buone perfomance nel quadro della continua stabilizzazione dell’economia cinese. Viene inoltre mantenuto un orientamento ciclico tramite la sovraponderazione dei settori dei materiali e dei beni voluttuari. Per quanto rigfuarda il reddito fisso, è poi confermata la sovraesposizione ai titoli high-yield americani e ai bond in dollari dei Paesi emergenti.

L’economia globale appare in condizioni migliori che a inizio anno, quando gli investitori, spaventati dalla possibilità di un brusco rallentamento di USA e Cina, hanno svenduto titoli azionari e altri asset di rischio. Eppure, nonostante il recente recupero delle asset class più rischiose, le valutazioni dipingono ancora un quadro eccessivamente pessimistico dell’economia. La Federal Reserve ha fatto capire che non ha fretta di alzare i tassi e le autorità monetarie cinesi hanno adottato delle misure a sostegno della crescita, tutte mosse che hanno avuto un certo successo. Nell’eurozona, in Giappone e in alcuni Paesi emergenti una politica monetaria tuttora accomodante assicura nel complesso un elevato livello di liquidità. Confermiamo pertanto un posizionamento favorevole al rischio, sovrappesando le azioni e sottopesando le obbligazioni, che presentano valutazioni eccessive.

Secondo i nostri indicatori del ciclo economico quest’anno l’economia statunitense dovrebbe crescere a un ritmo moderato (+2%). L’attività manifatturiera continua a stabilizzarsi, seppur lentamente, mentre le buone condizioni del mercato del lavoro dovrebbero dare impulso alle vendite al dettaglio e al mercato residenziale nei prossimi mesi. Detto ciò, siamo convinti che l’economia americana non sarà abbastanza forte da giustificare un rialzo dei tassi di interesse in giugno. I dati recenti, che evidenziano una crescita di appena lo 0,5% nel primo trimestre, freneranno la Fed.

L’eurozona continua a registrare una moderata ripresa, favorita dagli stimoli monetari della BCE. Se la debolezza della domanda globale pesa sull’ampio settore delle esportazioni della regione, l’ottimismo dei consumatori e il vigore dei consumi privati rappresentano un motore di crescita. In futuro, prima di alzare le stime sul PIL dovremo avere ulteriori prove della trasmissione delle politiche monetarie all’economia reale, soprattutto nei Paesi del Sud Europa.

Lo scenario giapponese è meno incoraggiante: dopo il calo dell’attività manifatturiera e delle esportazioni e il crollo dei prezzi al consumo e della spesa delle famiglie, il rischio di deflazione è aumentato. Gli sforzi della BoJ per stimolare l’economia, con tassi di interesse negativi e massicci acquisti di titoli, non si sono ancora tradotti in un’accelerazione congiunturale. In aprile la banca centrale ha tagliato le previsioni di inflazione e avvertito che l’obiettivo del 2% potrebbe essere raggiunto solo a marzo 2018, nella migliore delle ipotesi. Questo mese, inoltre, la BoJ ha deluso gli investitori rinviando l’espansione del programma di stimolo monetario; la decisione ha alimentato i timori che l’istituto non abbia più molti strumenti a diposizione per sostenere l’economia. Ciò aumenta però la probabilità di una politica fiscale espansiva. Il Primo Ministro Shinzo Abe probabilmente si impegnerà ad aumentare la spesa pubblica per la ricostruzione delle aree meridionali colpite dal terremoto, ma molti ormai si aspettano un possibile rinvio di impopolari aggravi fiscali, inizialmente previsti per aprile 2017, e l’annuncio di ulteriori stimoli fiscali.

La Cina gode di una situazione migliore: l’economia, infatti dà segni di stabilizzazione. Il mese scorso la produzione industriale ha registrato un rimbalzo e le misure di stimolo della PBoC alimentano la crescita dei finanziamenti e dell’offerta monetaria. Il settore immobiliare, che rappresenta il 15% circa dell’economia, evidenzia ulteriori progressi, a cominciare dalle città di primo livello, dove i prezzi delle case salgono di oltre il 20% a/a. Un’economia cinese più stabile sostiene il resto dell’Asia, dove il vigore della spesa al consumo ha dato impulso alla crescita. Le banche centrali della regione sono in grado di mantenere invariata la politica monetaria o di tagliare ulteriormente i tassi di interesse per sostenere la ripresa. Ma altre economie emergenti, come la Russia e i Paesi latinoamericani esportatori di commodity, potrebbero cominciare a varare misure di stimolo monetario parallelamente al calo delle pressioni inflazionistiche.

I nostri indicatori della liquidità restano in territorio positivo grazie al continuo sostegno degli stimoli monetari in Cina, nell’eurozona e in Giappone. Anche il ridimensionarsi delle attese di un inasprimento dei tassi americani nel corso dell’estate è positivo per il livello generale di liquidità, che resta al di sopra della media quinquennale.

In base ai nostri segnali di valutazione, i titoli azionari e gli altri asset rischiosi si confermano più interessanti delle obbligazioni governative, ma i mercati hanno evidenziato un’ampia dispersione regionale e settoriale. Dopo il recente rally, l’azionario USA e l’high yield europeo sono sopravvalutati, mentre le borse dei Paesi emergenti asiatici e del Giappone offrono ancora le opportunità migliori. Dato il livello record dei margini di profitto aziendali, il rialzo del mercato azionario deve essere sostenuto da una solida crescita dei ricavi. Gli utili, però, evidenziano ancora una contrazione su scala mondiale; negli USA il calo è del 7% annuo, il dato peggiore dal 2009. La pubblicazione dei bilanci ha comunque superato le attese e potrebbe segnare il punto più basso della recente flessione dei profitti.

I nostri indicatori tecnici sono ora in territorio neutrale, segno che le asset class più rischiose non sono più ‘ipervendute’ in seguito al forte rialzo del mercato. Ciononostante, i corsi azionari globali sono saliti al di sopra della media mobile a 200 giorni per la prima volta da ottobre 2014: storicamente, si tratta di un forte segnale di acquisto. Gli eccezionali flussi di investimento nel debito dei mercati emergenti e in alcune obbligazioni corporate globali potrebbero rivelarsi insostenibili, mentre altri parametri da noi monitorati suggeriscono la possibilità di una correzione per due beni rifugio come l’oro e lo yen.

I mercati emergenti continuano a beneficiare dell’effetto combinato di vari fattori: debolezza del dollaro, orientamento meno restrittivo della Fed, ripresa dei prezzi delle commodity, miglioramento delle condizioni economiche in Cina. In aprile l’indice PMI manifatturiero medio dei mercati emergenti è tornato a 50, la soglia fra espansione e contrazione, un livello superato l’ultima volta a febbraio 2015. I dati economici più incoraggianti arrivano dall’Asia, dove è evidente un aumento della produzione industriale e dell’export. Tali sviluppi positivi hanno convinto gli investitori a tornare sui mercati emergenti: stando ai dati IIF, i soggetti istituzionali hanno allocato ingenti fondi in varie asset class. Significativamente, gli investitori retail hanno finora preferito le obbligazioni dei Paesi emergenti in USD, segno che forse nelle prossime settimane aumenteranno l’allocazione alle piazze azionarie emergenti.

Gli asset dei Paesi in via di sviluppo beneficiano soprattutto del costante miglioramento dei dati economici cinesi, frutto delle aggressive politiche fiscali e monetarie adottate da Pechino nell’ultimo anno. In marzo la crescita del credito ha subito una notevole accelerazione, all’origine di un forte rimbalzo dell’attività di costruzione e di una certa stabilizzazione del settore manifatturiero. Il ritmo di questa ripresa potrebbe però risultare insostenibile a lungo termine – le scorte di debito improduttivo potrebbero rivelarsi un rischio.

Un altro Paese avvantaggiato dalla stabilizzazione della Cina sarà il Giappone, la cui economia ha subito un rallentamento a causa di una domanda globale più tiepida, della debolezza dei consumi interni e dell’impatto negativo dello yen forte. A nostro parere, i problemi economici del Paese giustificheranno ulteriori stimoli monetari da parte della banca centrale, nonostante l’attendismo dimostrato dalle autorità questo mese. Nei prossimi mesi il Giappone dovrebbe varare anche altre misure di stimolo fiscale. L’atteggiamento verso la regione sembra dominato da un pessimismo eccessivo, soprattutto in considerazione delle valutazioni dei titoli azionari nipponici, attualmente fra le più basse nel mondo industrializzato. L’asset class risulta conveniente anche rispetto ad alcune piazze azionarie emergenti. Si vedono già i segnali di un ritorno degli investitori non giapponesi.

Anche il mercato azionario europeo appare allettante. Pur avendo guadagnato terreno da metà febbraio, i listini della regione continuano a segnare il passo rispetto a quelli statunitensi, essenzialmente perché gli investitori esteri hanno ridotto l’esposizione europea nei mesi scorsi. Una mossa a nostro parere ingiustificata: l’Europa, infatti, dovrebbe evidenziare un’accelerazione della crescita degli utili grazie all’impatto positivo delle continue misure di stimolo monetario sull’economia reale e sulla spesa al consumo. Le aziende europee hanno visto un calo degli utili del 19% circa dalla fine del 2008, mentre le concorrenti americane hanno registrato un aumento del 51%. A nostro parere il trend si invertirà, in particolare alla luce delle valutazioni: i titoli dell’eurozona presentano infatti un P/E ponderato per il ciclo pari a 18, contro un multiplo di 26 per gli USA.

I titoli americani hanno scarse attrattive poiché i corsi azionari sono a livelli record in un momento in cui gli utili aziendali scendono. Sebbene l’80% delle società USA abbia pubblicato risultati trimestrali superiori alle aspettative, gli utili per azione hanno subito un calo del 7%, cosa che non accadeva dal 2009.

Dal punto di vista settoriale, manteniamo un orientamento ciclico, con una preferenza per i titoli destinati a beneficiare di un aumento della spesa al consumo rispetto a quelli esposti agli investimenti tecnici, ancora piuttosto scarsi. La forte crescita occupazionale e la bassa inflazione sosterranno i bilanci delle famiglie, favorendo le società attive nell’ambito dei beni voluttuari. I titoli delle telecomunicazioni presentano valutazioni interessanti e prospettive di crescita migliori in seguito ai primi aumenti dei prezzi in 20 anni sia in Europa che negli USA. La recente stabilizzazione della Cina e dei mercati emergenti e la ripresa dei prezzi delle commodity sono positive per il comparto dei materiali. I beni di premi necessità sono l’area più onerosa, come dimostra un rapporto fra prezzo e valore nominale di circa 4, vale a dire il doppio della media di mercato.

Quando si tratta di decidere l’allocazione fixed income, la valutazione batte ogni altra considerazione. Non dovrebbe quindi sorprendere il continuo sottopeso dei titoli di Stato del mondo industrializzato. Al momento, il 35% circa delle emissioni sovrane dell’indice JP Morgan Government Bond offre un rendimento negativo. Una situazione difficilmente conciliabile con l’alta probabilità di un rialzo dei tassi di interesse USA nel corso dell’anno e con i crescenti livelli di debito pubblico e privato in alcune aree dell’Europa. Detto ciò, per tutelarci da un possibile temporaneo rallentamento dell’economia USA, continuiamo a sovrappesare i Treasury a lunghissima scadenza, che offrono rendimenti ragionevoli.

Nemmeno i titoli europei di categoria investment grade sono interessanti, poiché gli effetti del programma di acquisto di obbligazioni della BCE, che ora include anche i corporate bond, si riflettono già ampiamente nel mercato.

Al contrario, le prospettive a breve termine del debito high yield USA sono brillanti. Anche se il recente rimbalzo dell’asset class ha portato gli spread da 887 punti base – il massimo raggiunto nel 2016 – a 625, il premio di rischio a nostro parere è ancora troppo alto.

Il mercato sconta un tasso di default prospettico di poco più del 10% nei prossimi 12 mesi, contro un tasso corrente di circa il 3% e la previsione di Moody’s di poco più del 6%. Anche se alcuni segmenti del mercato high yield – in particolare gli emittenti del settore energetico pesantemente indebitati – risentono di un contesto difficile per le aziende, l’asset class dovrebbe andare bene anche in caso di modesta espansione economica. Nel lungo periodo, i tassi di default dovrebbero salire progressivamente al 5% circa e gli episodi di insolvenza dovrebbero concentrarsi nel settore energetico.

Il costante miglioramento delle condizioni economiche in Cina, la flessione del dollaro e il rimbalzo dei prezzi delle commodity aumentano l’attrattiva del debito sovrano dei Paesi emergenti denominato in USD. Manteniamo pertanto il sovrappeso sull’asset class. Tali titoli, meno volatili rispetto alle obbligazioni equivalenti in valuta locale, ci consentono di beneficiare del miglioramento delle economie in via di sviluppo pur restando isolati dalla possibile instabilità dei mercati dei cambi.

Quanto alle valute, non vediamo molte opportunità tattiche nel breve periodo. Il mese scorso siamo passati dal sottopeso a un assetto neutrale sulla sterlina e confermiamo tale posizionamento. Seppure nel lungo periodo prevediamo un apprezzamento dell’euro contro il dollaro, siamo restii a sovrappesare la moneta unica prima del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’UE.

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