Eurozona alla prova del secondo trimestre

A cura di Deutsche Asset Management

La scorsa settimana è stata pubblicata la seconda stima della crescita PIL nel primo trimestre. A quota 0,52% (2,1% annualizzato) è risultata solo marginalmente inferiore alla prima stima di 0,55% (2,2% annualizzato). Nonostante la lieve revisione al ribasso, il dato resta il secondo più solido di questa ripresa (subito dopo il +0,57% del primo trimestre del 2015) ed è ben superiore al tendenziale ed al potenziale dell’Eurozona: in un contesto globale largamente incerto, temiamo che durante il trimestre in corso assisteremo ad un rallentamento dei numeri di crescita.

Ci sono diverse motivazioni perché questo avvenga, oltre al dato di fatto che la crescita globale non riesce a decollare: innanzitutto, l’euro si è rafforzato del 2,9% da inizio anno contro il paniere di valute dei principali partner commerciali, ed anche il petrolio è tornato a rafforzarsi. Oltre a ciò, aumenta la volatilità dovuta all’incertezza politica (Spagna, Austria e Regno Unito in primis). Infine, comincerà a venire gradualmente meno l’effetto benefico dell’allentamento fiscale che finora aveva dato una spinta importante ad imprese e cittadini dopo la forte austerità del triennio 2011-2013. La ripresa in Eurozona ha molto puntato sui consumi interni, ma paradossalmente questi hanno rafforzato l’import mentre le esportazioni risentono del mancato recupero nella crescita globale.

La Grecia evita l’emergenza
L’Eurogruppo straordinario sullo stato del programma di aiuti alla Grecia si è concluso con successo grazie ad uno smussamento nelle posizioni contrastanti del governo tedesco da un lato, e del FMI dall’altro, Ci attendiamo ora che la prossima tranche di aiuti da 5 mld venga pagata a inizio giugno. Nel frattempo, ci sarà un altro Eurogruppo il prossimo 24 maggio: risolte le questioni più importanti, i passi futuri sono più accidentati e incerti, e riguardano il ruolo del FMI e la ristrutturazione a medio termine del debito. In definitiva sono stati rimossi i “rischi estremi” ma restano molti punti aperti.

Vendite al dettaglio e fiducia in crescita in USA, ma anche crescono i dubbi sulla ripresa
La scorsa settimana sono stati pubblicati dati macroeconomici USA in media migliori delle attese. Tra tutti svetta il dato di vendite al dettaglio, che è cresciuto dell’1,3% nel mese, miglior dato da marzo 2015. Anche il gruppo di controllo (che esclude le vendite di auto e carburanti) è cresciuto dello 0,9%, in questo caso maggior rialzo da marzo 2014. Stupisce positivamente anche il dato di fiducia dei consumatori dell’University of Michigan, che cresce di 6,8 punti (gli analisti si attendevano un lieve calo) per tornare ai livelli dello scorso giugno. Il rimbalzo è imputabile soprattutto ad una ripresa nelle aspettative, peraltro condivisa dalla stima GDPNow della Fed di Atlanta, che utilizza indicatori ad alta frequenza per prevedere la crescita PIL: attualmente stima una crescita annualizzata del 2,8% nel trimestre in corso, in forte recupero dal timido 0,5% del primo trimestre. Anche i dati JOLTS sono risultati molto solidi: le aperture di nuovi posti di lavoro hanno sfiorato il record di sempre (5,78 mln) dello scorso luglio.
Tuttavia, un dato meno positivo viene dall’appiattimento della curva dei tassi di interesse dei Treasury, che è ora ai livelli più piatti da fine 2007: è un segnale di affaticamento dell’economia USA. Da quando la recessione USA è finita nel secondo trimestre del 2009, la crescita reale del PIL è stata in media del 2,1%, sotto la media storica delle riprese USA: se guardiamo il PIL pro capite, la crescita è stata soltanto dell’1,3%.

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