Petrolio, per Gam domanda e offerta ribilanciate entro fine 2016

a cura di Roberto Cominotto, gestore del fondo JB Energy

I prezzi del petrolio e i titoli azionari energetici hanno corso nelle ultime settimane. Il rimbalzo è arrivato prima di quanto previsto dato che il rapporto tra domanda e offerta resta sfidante nel breve termine per via della bassa domanda da parte delle raffinerie. Tuttavia ci stiamo avvicinando al punto di flessione, con il rally parzialmente guidato da una significativa riduzione nella produzione di petrolio statunitense. Questo sviluppo sarà anche il catalizzatore principale per il ribilanciamento del mercato petrolifero che, secondo noi, si realizzerà quest’anno.

La produzione di greggio statunitense si è mostrata più elastica di quanto avevamo anticipato, ma adesso stiamo vedendo un significativo calo nel numero dei pozzi attivi, dai circa 1600 di fine 2014 ai meno di 400 attuali. I produttori americani stanno pianificando un altro taglio della capex del 50% circa per quest’anno e stiamo già vedendo una risposta della produzione con un declino annualizzato di circa 1,2 milioni di barili al giorno negli ultimi sei mesi, un dato superiore alle aspettative del mercato.

Guardando alla dinamica globale della domanda e dell’offerta, l’anno è cominciato con una sovrapproduzione di 1,5 milioni di barili al giorno e vediamo tre fattori principali che influenzeranno questa dinamica nel corso dell’anno: gli Stati Uniti, l’Iran e la domanda globale. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, ci aspettiamo che la produzione diminuisca di 0,9 milioni di barili al giorno, mentre in Iran la produzione dovrebbe crescere di 0,7 milioni. Allo stesso tempo, la domanda globale dovrebbe crescere di circa 1 milione di barili al giorno. Questa stima è molto inferiore rispetto alla crescita della domanda registrata nel 2015, ma in linea con il trend di crescita dell’ultimo decennio. Altri fattori si bilanceranno a vicenda, risultando in una domanda e un’offerta pressoché bilanciate entro la fine del 2016. Considerando che questo trend dovrebbe continuare anche nel 2017, ciò porterà a una condizione di sottoproduzione.

Un tema ampiamente discusso riguarda se l’attuale crisi del prezzo del petrolio abbia profili di similitudine con quella del 1980. Alcuni punti in comune, naturalmente, ci sono: allora l’Opec era desiderosa di recuperare quote di mercato che aveva perso per via dell’embargo petrolifero causato dalla guerra tra Iran e Iraq così come adesso è desiderosa di riguadagnare le quote di mercato perse nei confronti dei produttori statunitensi di scisto. Tuttavia, la grande differenza risiede nel fatto che negli anni Ottanta l’Opec aveva scorte massicce, superiori al 20% della produzione globale e poteva così aumentare ulteriormente l’offerta, ragione questa, per la quale i prezzi sono rimasti così bassi per tanti anni, mentre al momento l’Opec non ha la possibilità di aumentare l’offerta in maniera significativa nell’imminente futuro (ad eccezione dell’Iran) in caso di turbolenze sul lato dell’offerta.

L’idea che il rallentamento cinese sia la ragione del crollo del prezzo del petrolio durante gli ultimi 18 mesi non regge. E’ importante osservare che l’indebolimento della domanda cinese di metalli industriali e di altre materie prime non è correlata alla domanda di petrolio da parte di Pechino. Acciaio e rame, ad esempio, sono strettamente legate agli investimenti in asset fissi, mentre il petrolio è un prodotto di consumo. Di conseguenza, le importazioni di petrolio dalla Cina rimangono su livelli estremamente alti e quindi il trend di crescita della domanda degli ultimi 10 anni rimane intatto. Anzi, abbiamo assistito addirittura ad un’accelerazione nel corso del 2015. La ragione è da ricercare principalmente nell’incremento delle vendite nel settore automobilistico in significativa crescita a partire dal secondo semestre dell’anno scorso. Le nuove auto non sono sostituzioni di vecchie automobili, ma veicoli in più che entrano sulle strade. E così come nel mondo occidentale, i SUV stanno diventando più popolari, elemento che darà un’ulteriore spinta alla domanda di petrolio. E non ci aspettiamo cambiamenti riguardo al trend di domanda.

Per quanto riguarda le energie rinnovabili, spesso sentiamo che hanno perso appeal dinanzi al crollo del prezzo del petrolio al di sotto dei 30 dollari al barile. Ma noi non siamo d’accordo. Innanzitutto perché il petrolio non è un sostituto né per il carbone né per il gas naturale, le due fonti di energia più utilizzate per la produzione di elettricità. Di certo anche i prezzi di queste materie prime sono diminuiti. Tuttavia i prezzi dell’elettricità hanno una correlazione sorprendentemente ridotta con i prezzi di altre materie prime. Negli Stati Uniti, il prezzo del gas naturale è calato da un picco di 12 dollari al barile fino ai 2 dollari nel giro degli ultimi otto anni. Ed i prezzi dell’energia elettrica sono rimasti generalmente piatti. Ma anche se partiamo dal presupposto che una correlazione esista, l’argomentazione non ci pare solida. La pianificazione e la messa in atto di parchi eolici, ad esempio, si diffonderà nei prossimi 20-30 anni. Quindi le società stanno valutando investimenti per nuovi parchi eolici, mail livello di prezzo del petrolio nei prossimi 12/24 mesi non rappresenta un fattore rilevante per queste decisioni.

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