Economia globale in miglioramento: la view di Saxo Bank

A cura di Simon Fasdal, Head of Fixed Income Trading di Saxo Bank
Molti dei rischi che hanno afflitto i mercati negli ultimi sei mesi, tra cui lo storico ribasso dei prezzi petroliferi, si sono ora ridimensionati. Un ulteriore miglioramento nelle prospettive economiche globali potrebbe innescare un rapido aumento dei rendimenti di base, specialmente quelli europei, portandoli a livelli corrispondenti ad un “nuovo fattore di rischio” che è un vecchio amico dimenticato: l’inflazione.
Dopo la Brexit i rendimenti sono scesi ai minimi storici su scala globale, e Janet Yellen che presiede la Federal Reserve alla fine ha dovuto capitolare assumendo un atteggiamento da colomba, per cui l’aspettativa più diffusa prevede rendimenti molto bassi per un periodo molto lungo. Ma gli sviluppi potrebbero essere molto diversi da ciò che attualmente prevede la stragrande maggioranza degli analisti.
Prima di considerare le prospettive del terzo trimestre facciamo un passo indietro per valutare ciò che è accaduto nel secondo. Avevamo previsto che in Europa si sarebbe verificato un aumento del rischio di una divergenza tra rendimenti estremamente bassi delle obbligazioni core e quelle dell’Europa periferica, nonostante il Quantative Easing; avevamo inoltre espresso grande cautela nei confronti dei titoli finanziari europei.
Ambedue le previsioni sono risultate corrette. Avevamo sostenuto anche che il QE della Banca Centrale Europea sarebbe stato uno strumento molto potente per immettere liquidità nei mercati al di fuori dell’Eurozona, specialmente nei mercati emergenti. Proprio per questo motivo avevamo espresso ottimismo nei confronti delle attività finanziarie dei mercati emergenti, specialmente le obbligazioni. Le obbligazioni dei mercati emergenti rientrano tra quelle categorie che hanno dato i risultati migliori nel 2016.
Resta quindi da chiedersi, cosa ci dobbiamo attendere nel futuro? Ci sarà finalmente un aumento dei rendimenti core?
Secondo noi è alquanto probabile che ci troviamo all’inizio di un ciclo caratterizzato da tassi più elevati, se consideriamo i rendimenti core nel loro complesso, anche se questo va contro le previsioni attualmente più diffuse secondo cui i rendimenti estremamente bassi sono destinati a durare ancora a lungo. In sintesi riteniamo che lo scenario dei rendimenti negativi e di una ripartizione degli attivi in fuga dal rischio tenga conto in maniera più che adeguata di una prospettiva globale molto cupa protratta nel tempo. Ma sono assenti alcuni fattori significativi che è necessario identificare.
Prezzi più alti del petrolio e delle materie prime agiscono come stabilizzatori. I prezzi petroliferi stanno abbandonando i minimi storici e la risalita verso i 50 dollari al barile è stata una sorpresa. La più recente tornata di QE in Europa presupponeva prezzi petroliferi molto bassi – tanto che gli operatori di mercato ad un certo punto hanno ritenuto che fosse ragionevole scommettere sui 12 dollari al barile. Prezzi petroliferi più alti stabilizzano i titoli del settore energetico e mitigano il rischio immediato in cui i Paesi produttori di petrolio sono incorsi tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016. L’aumento del petrolio comincia anche a influire positivamente sull’inflazione globale, non solo agendo come componente neutrale, ma contribuendo attivamente all’inflazione.
L’indice complessivo delle materie prime ha recuperato il 25% rispetto al proprio minimo. Questo, insieme all’aumento dei prezzi petroliferi, ha un effetto positivo sull’inflazione. L’impatto è ritardato, ma anche con il petrolio a 25 dollari al barile, ad un certo punto l’inflazione comincia a salire quando si fa sentire l’impatto positivo delle altre componenti. Adesso, con il petrolio che ha raggiunto quasi il doppio di tale livello, l’impatto potrebbe essere anche più rapido.
Al di là dei titoli economici, che sono generalmente catastrofici, da diverse parti dell’economia globale provengono segnali secondo cui le cose stanno migliorando. L’impatto complessivo dei rendimenti estremamente bassi, del QE alquanto accomodante in Europa e del nuovo atteggiamento da colomba della Federal Reserve contribuiscono a determinare un ambiente fertile per gli investimenti e rappresenta un catalizzatore per la crescita generale. Sembra che i sorprendenti indicatori della crescita globale abbiano toccato il fondo e ora puntino alla risalita, nonostante le turbolenze della Brexit e gli altri grandi rischi che potrebbero essere innescati nel corso dell’estate.
Aumentano i motivi di timore. Alcuni dei principali fattori di rischio che hanno condizionato i mercati negli ultimi sei mesi hanno fatto il loro corso o sono diventati per il momento irrilevanti. Il timore dovuto al ribasso petrolifero, con un settore energetico prossimo al tracollo, si è attenuato e lo stesso dicasi per la paura di un’ondata di insolvenze dei Paesi che dipendono dalle materie prime. Anche la “paura Federal Reserve” per ora è assente e le turbolenze nell’area dell’euro dovute alla Grecia sono in fase di contenimento.
I dati economici in Europa sono buoni e decisamente migliori rispetto ad alcuni anni fa, anche se resta il grande punto interrogativo del Regno Unito dove bisognerà valutare quali saranno le reali conseguenze della Brexit. Un contesto di paura e di incertezza generalizzata è proprio il punto in cui la maggior parte degli analisti sbaglia nell’estrapolare da un attuale scenario da fine del mondo un crollo globale e permanente. Questo è probabilmente sbagliato e alimenta un’elevata volatilità del mercato obbligazionario una volta che la situazione torna ad essere più moderata di quanto il panico attuale rifletta.
Certamente, una volta che l’orizzonte si sarà schiarito, la Banca Centrale Europea e il suo presidente Mario Draghi prepareranno i mercati per dare spazio al QE. Già adesso stanno considerando questa possibilità ad ogni loro meeting.
Considerando i mercati emergenti, l’instabilità del 2015 – quando alcuni Paesi hanno azzerato la loro crescita o sono passati in territorio negativo mentre i rischi geopolitici sono diventi notevoli (Brasile, Russia) – è rientrata per cui tali timori sono per il momento scongiurati. L’America Latina nel suo complesso sta molto meglio e la maggior parte dei Paesi ha registrato buone plusvalenze e afflussi di capitali negli ultimi sei mesi; le valute si sono riprese dalle peggiori flessioni e molti rischi politici sono stati ridimensionati.
In Asia persistono le preoccupazioni sulla crescita cinese, ma sembra che i mercati abbiano riconosciuto che la Cina è in una fase di trasformazione con una crescita più bassa come parte naturale di tale processo. Considerando l’Asia come un’unica regione, l’India, la Cina e altri Paesi hanno visto i grandi benefici che negli ultimi 18 mesi sono derivati dai prezzi bassi dell’energia e delle materie prime, visto che sono tutti grandi importatori di energia. Il generale impatto positivo sul PIL può apparire vago e diffuso, ma i modelli mostrano che sul PIL di questi Paesi c’è un fondamentale impatto positivo, anche se si manifesta con un ritardo di 2 o 3 trimestri.
Nel probabile caso in cui si verificherà un graduale miglioramento delle prospettive economiche globali, i rendimenti core, specialmente quelli europei, cresceranno rapidamente portando in particolare i titoli a lunga scadenza su livelli che vanno incontro a un “nuovo fattore di rischio” che è un vecchio amico dimenticato: l’inflazione.
Noi ci attendiamo comunque che il riverbero positivo sui titoli dei mercati emergenti e con scadenze più brevi possa essere moderato, per questo raccomandiamo agli investitori un approccio prudente verso queste categorie di obbligazioni da includere nel portafoglio.

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