Banche italiane verso gli stress test con meno stress

A cura di Massimo Saitta, Direttore Investimenti di Intermonte Advisory

L’evento dello stress test bancario nel contesto della Brexit La credibilità degli stress test sui bilanci bancari è stata messa a dura prova dopo che nel recente passato molte banche europee sono state promosse poco prima di ritrovarsi in situazioni di grave difficoltà sotto il profilo patrimoniale. La ragione principale risiede tuttavia prevalentemente nell’atteggiamento molto più restrittivo assunto in primis dalla vigilanza in termini di valutazione dei crediti in sofferenza, di livelli minimi di capitale richiesti e di tempistica per dare corso agli adeguamenti richiesti. Nondimeno l’adozione della normativa del “bail in” nel caso dei salvataggi degli istituti bancari ha ulteriormente enfatizzato gli elementi di debolezza potenziale insiti nei bilanci di alcune banche finendo per generare un effetto che tende ad autoalimentarsi. Infine nelle ultime settimane l’inatteso esito del referendum tenutosi nel Regno Unito con la vittoria del fronte pro-brexit ha ulteriormente complicato le cose. Ha messo sotto una lente di osservazione negativa le economie del vecchio continente (non solo quella UK) finendo per penalizzare ancora una volta il settore bancario la cui redditività caratteristica, cioè al di là di considerazioni relative alla struttura del capitale o del costo del funding, deriva anche dallo stato generale dell’economia. Avendo il brexit un effetto in termini di crescita ancora difficile da stimare specie per le economie continentali europee ma certamente negativo non stupisce che il voto dei britannici abbia innescato un violento e repentino movimento di correzione sul comparto che ha rivisto e riaggiornato i minimi toccati nei primi mesi del 2016 (a seguire, il grafico dell’andamento nell’ultimo anno del settore bancario europeo).

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In un contesto così complicato, quindi, non deve stupire che il mercato si stia avvicinando alla data del prossimo stress test con parecchio nervosismo temendo (giustamente) che anche questa verifica sui numeri bancari possa innescare ulteriori richieste di mezzi freschi.

In cosa consistono i prossimi stress test e il loro obiettivo. Condotti dall’Autorità Bancaria Europea (EBA), che pubblicherà i risultati il 29 luglio prossimo, hanno la finalità di fornire ulteriori informazioni ai regolatori europei che conducono il cosiddetto SREP (Supervisory Review and Evaluation Process) cioè il processo di valutazione prudenziale dell’adeguatezza del patrimonio degli istituti bancari in scenari di stress. Non si propone di fornire livelli di adeguatezza del capitale di per sè per le banche in esame ma di fornire al regolatore un quadro di riferimento che consenta di definire eventuali necessità di rafforzamento patrimoniale (sotto forma di raccolta di mezzi freschi piuttosto che con restrizioni nel calcolo e nella distribuzione di risorse della banca quali dividendi o cedole). La finalità è quella di definire i preventivi aggiustamenti patrimoniali necessari per affronatare il rischio di significativi eventi in condizioni di mercato avverso. La cosa più importante da sottolineare, quindi, è che i risultati non conterrano le indicazioni su eventuali rimedi a situazioni di elevata rischiosità che saranno competenza delle autorità di regolamento quali la vigilanza della BCE.

Perché i mercati sono così sensibili a risultati non “dispositivi”. Sebbene come già specificato i risultati dello stress test non siano “dispositivi” è certo che questi indirizzeranno l’azione del regolatore in tempi rapidissimi. E’ importante osservare che le richieste del regolatore dovrebbero essere ottemperate attenendosi strettamente alle regole del bail-in. Queste prevedono che qualsiasi forma di salvataggio bancario debba essere realizzata in forma privatistica e con il coinvolgimento di tutti i portatori di interesse (azionisti, obbligazionisti junior e senior, correntisti). Negli ultimi anni condizioni sempre più severe in termini di capitale regolatorio da parte delle autorità europee hanno sempre finito per azzerare le risorse fresche iniettate. Di conseguenza è molto difficile trovare ulteriori finanziatori tra privati specie per le situazioni difficili che alla debolezza patrimoniale affiancano anche altri problemi (come quelli ad esempio che affliggono le due banche venete in difficoltà i cui recenti aumenti di capitale non hanno trovato compratori naturali finendo per prosciugare una bella fetta della prima dotazione del fondo Atlante). L’effetto concreto di tutti questi problemi si è visto nel caso del Monte dei Paschi di Siena. E’ stato interessato da insistenti voci di un esito fortemente negativo dello stress test e destinatario di una lettera della vigilanza che impone alla banca un piano triennale per riportare al suo livello fisiologico i crediti incagliati. Che i risultati dello stress test siano o meno dispositivi non fa differenza dal momento che nella sostanza vanno a condizionare immediatamente (e parrebbe addirittura preventivamente) l’azione del regolatore. Se il “bail in” non consente l’intervento statale rinviando tutto al mercato diventa quasi impossibile risanare la situazione nei termini che desidera l’autorità. La conseguenza è che la situazione si avvita su sé stessa, gli azionisti di fronte alla possibilità di ricapitalizzazioni iperdiluitive si danno alla fuga, la speculazione fa la sua parte e la valanga si ingrossa sempre più.

Una situazione senza via di uscita? La possibilità che l’applicazione stretta delle norme sul “bail in” possa determinare le condizioni per una crisi sistemica di settore, così che il rimedio possa essere peggio del male, esiste. Gli effetti negativi di quanto accaduto al Paschi pur ancora in assenza di un’effettiva risultanza dello stress test ha dimostrato come il contagio settoriale in termini di corsi borsistici sia pressoché immediato (non solo tra banche domestiche ma transnazionale) e come risolvere i problemi nel solco dell’applicazione rigida diventi quasi impossibile. Fortunatamente sembra ci possano essere vie alternative. La prima è quella intrapresa da Unicredit attraverso la cessione di due quote al mercato del 10 % delle controllate Fineco e della polacca Pekao.  Il mercato ha salutato con entusiasmo queste cessioni segno dell’attivismo del nuovo CEO Jean Pierre Mustier che ha ridotto di circa 1.1 miliardi di euro la necessità finanziaria che verrà probabilmente richiesta al mercato. Anche sul fronte dell’applicazione della normativa del “bail in” sembra che si possa arrivare ad un compromesso. Nonostante ci si muova ancora nel campo delle supposizioni si paventerebbe un complesso mix di interventi tra soggetti vicini al pubblico ma in regime privatistico. Potrebbero farsi carico di una parte dei crediti in sofferenza e dell’ammanco di capitale che dovesse emergere dalla differenza tra il prezzo di carico e quello di cessione di tali crediti. Non si può neanche escludere che appellandosi ad alcune clausole che prevedono l’intervento statale in condizioni di emergenza particolari, ci possa essere anche un intervento governativo. Altrettanto incerta è per il momento la contropartita che verrebbe richiesta per consentire questo allentamento delle regole del bail in. Per evitare anche in questo caso un effetto contagio su categorie di obbligazionisti junior che potrebbero essere coinvolte nella ricapitalizzazione si sta lavorando affinché quelle detenute dagli investitori retail non vengano penalizzate così come gli obbligazionisti senior e i correntisti in un complesso incastro tra vincoli e spazi normativi. Le dichiarazioni concilianti di numerosi personaggi dell’establishment politico ed economico europeo lasciano pensare che, arrivati alla soglia del punto di non ritorno, la volontà di approcciare il problema con un atteggiamento più ragionevole sembra possa prevalere. Ad ogni modo le decisioni che verranno prese nelle prossime settimane riguardo la banca senese faranno “dottrina” per la definizione dell’area da considerare in termini di crediti in sofferenza (solo le sofferenze o anche una parte dei cosiddetti incagli?) e per la loro valutazione.

Un’eccezione (parziale) alla regola secondo cui gli utili guidano i corsi di borsa delle aziende Se scorriamo le iniziative intraprese dalle banche italiane recentemente per ottemperare alle richieste in termini di rafforzamento patrimoniale e lo confrontiamo alla risposta del mercato nel brevissimo periodo, si può osservare come il focus sia tutto spostato sullo stato patrimoniale degli istituti bancari con una minor attenzione all’aspetto reddituale. Molte delle ultime operazioni messe in atto, infatti, se da un lato producono un effetto positivo sul CT1 (il capitale regolatorio degli istituti di credito) riducendo la richiesta al mercato di mezzi freschi e il relativo effetto diluitivo sugli utili, finiscono tuttavia per sacrificare la redditività ricorrente. Nel piano industriale di Ubi Banca recentemente presentato si prevede il concambio tra le residue azioni delle controllate Banca Regionale Europea e BP Commercio e Industria a valore di libro e azioni Ubi Banca che trattano ad un valore frazionale (intorno a 0,25) del valore di libro con una redditività relativamente alla valutazione superiore. Sacrificando della redditività si ottiene un effetto positivo in termini di patrimonializzazione con il CT1 che migliora di 30 punti base. Analoga la logica delle cessioni (parziali) delle redditizie partecipazioni in Fineco e Pekao da parte di Unicredit. Sulla notizia tuttavia i titoli hanno ben reagito con rotondi progressi che nel caso di Unicredit hanno raggiunto il 13% circa in un solo giorno. Le bassissime valutazioni sul patrimonio delle banche italiane giustificano ritorni reddituali già molto bassi, ma queste reazioni dimostrano come la sola preoccupazione al momento degli investitori sia che gli istituti non debbano richiedere risorse al mercato. Il problema della redditività prospettica è quasi trascurato al momento e rappresenta una questione che nel perdurare della attuale situazione di tassi ridottissimi non sembra destinata a risolversi nei prossimi mesi.

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