Smart working, l’Italia resta indietro

Secondo una recente indagine Willis Towers Watsonl’Italia rispetto agli altri paesi rimane ancora indietro nelle applicazioni di strategie di lavoro agile. Il 54% delle aziende italiane di medie e grandi dimensioni intervistate – 100 quelle analizzate per un totale di 100mila dipendenti – ritiene di applicare strategie di smart working; tuttavia, se si vanno ad analizzare le iniziative concretamente messe in campo, quelle realmente strutturate  e pienamente compatibili con la normativa in vigore sono appena il 14%.
Eppure proprio l’aumento di produttività, insieme ad una maggiore capacità di attirare e fidelizzare talenti e alla possibilità di ridurre i costi fissi (legati alla necessità di spazi lavorativi più ridotti), sono gli elementi  sottolineati dalle aziende coinvolte nell’indagine che hanno già adottato strategie di lavoro agile.
Andrea Scaffidi, Senior consultant di Willis Towers Watson afferma: “Il nostro paese è notevolmente indietro rispetto agli altri dell’Europa Occidentale. Gli ostacoli a questo tipo si attività sono principalmente due: la mancanza di una normativa adeguata, se si esclude la componente del telelavoro, e la resistenza culturale di molte organizzazioni aziendali”.
Il 53% delle imprese intervistate prevede di implementare politiche di smart working tra la fine del 2016 e il 2020. Le principali iniziative individuate sono: flessibilità di orario lavorativo (22%), flessibilità di sede di lavoro (24%) e flessibilità di orario e sede di lavoro (49%).
Le criticità maggiormente riscontrate da chi ha adottato queste politiche sono legate alla gestione dell’attività lavorativa, al timore legato alle coperture assicurative e alle difficoltà di monitorare in maniera efficace il lavoro svolto. Le aziende che non
hanno adottato politiche di questo tipo dichiarano di non averlo fatto per criticità legate alla gestione lavorativa (necessità di relazionarsi de visu), per incompatibilità dell’attività lavorativa della maggioranza delle risorse e difficoltà di monitoraggio
dei risultati. In ogni caso, il 30% prevede di adottare qualche forma di lavoro agile entro fine anno. Poi c’è un altro 23% di intervistati che prevede di adottare la misura entro il 2020, con il restante 14% dei direttori del personale che si dichiara non interessato a questa opzione.
L’indagine, inoltre, mostra che spesso l’iniziativa è dedicata solo ad una parte dei dipendenti. I criteri utilizzati per identificarli sono: il ruolo organizzativo (31%), funzione/divisione di appartenenza (23%), inquadramento (17%) e anzianità aziendale (6%). “Consentire un migliore equilibrio tra esigenze di vita familiare e lavorativa è la strada maestra per accrescere la qualità del lavoro, in una società come quella odierna basata sui servizi, dove sono le competenze professionali a fare la differenza”, conclude Andrea Scaffidi.

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