Brexit, Europa e presidenziali Usa

A cura di Mark Burgess, Cio EMEA e Responsabile azionario globale Columbia Threadneedle
Gli investitori di tutto il mondo sono in apprensione a causa dell’imminente referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’UE e delle potenziali ripercussioni sui mercati di un voto favorevole alla “Brexit”. Alla luce di questo, concentriamoci sui seguenti aspetti:
– Un voto pro-Brexit e le sue implicazioni
– La reazione dell’Europa
– Gli Stati Uniti
Il referendum britannico sull’appartenenza all’UE esercita un’influenza sempre maggiore sui mercati globali. Gli investitori iniziano a rendersi conto che un evento considerato un tempo relativamente periferico, se non campanilistico, potrebbe causare un rallentamento del PIL mondiale e del commercio internazionale, nonché generare gravi tensioni nel sistema finanziario europeo e pressioni al ribasso su euro e sterlina, unitamente a numerosi altri rischi collegati che si stanno lentamente intensificando.
Tutte le asset class sono interessate da un’accresciuta volatilità, con gli investitori alla ricerca di beni rifugio dovunque riescano a trovarli, e un livello generale di incertezza esacerbato dai sondaggi più recenti, che hanno evidenziato una netta rimonta dei sostenitori della Brexit. A fronte di un esito tutt’altro che scontato, i toni sono diventati più accesi, con la partecipazione al dibattito di politici ed esponenti delle banche centrali internazionali: non da ultimi Janet Yellen, la quale ha affermato che un voto a favore dell’uscita dall’UE avrebbe “ripercussioni economiche significative”, e il Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, secondo cui la decisione di uscire dall’UE potrebbe “minacciare la civiltà politica occidentale”; è difficile tuttavia che tali dichiarazioni possano condizionare l’elettorato.
In definitiva, non sappiamo che cosa il futuro avrà in serbo sgradevole per le economie di Regno Unito ed Europa e i mercati andrebbero incontro a una fase di volatilità. Probabilmente si registrerebbe un aumento delle aspettative di inflazione e una revisione al ribasso delle stime di crescita nel Regno Unito, come pure un brusco deprezzamento della sterlina. Tuttavia, dato che gli utili delle società comprese nel FTSE 100 sono per il 70% generati all’estero, le implicazioni per il mercato azionario britannico potrebbero essere meno estese di quanto si teme.
Come ho scritto in passato, potrebbero presentarsi opportunità nei titoli britannici che hanno accusato una drastica correzione, in particolare per quanto concerne le azioni che facevano parte dei vari “panieri Brexit”, creati dalle banche d’investimento nel tentativo di sfruttare i timori legati all’uscita del paese dall’UE. Chiaramente, l’esposizione agli utili realizzati all’estero è positiva per gli investimenti, poiché i profitti beneficiano della debolezza della sterlina.
Le azioni britanniche (settore finanziario escluso) sono inoltre sostenute in qualche misura dall’attuale rendimento di mercato del 3,75%, che è tre volte superiore a quello dei Gilt e appetibile in un contesto globale. In effetti i rendimenti delle emissioni sovrane britanniche si attestano già al livello più basso mai registrato dalla prima rilevazione, avvenuta nel 1729: un voto pro-Brexit provocherebbe un irripidimento della curva dei titoli di Stato, poiché il tratto a breve inizierebbe a scontare un ulteriore allentamento monetario e l’aumento delle aspettative d’inflazione metterebbe in dubbio l’opportunità di detenere obbligazioni a lunga scadenza.
Un indebolimento della sterlina comporterebbe probabilmente la necessità di riaprire i rubinetti della spesa, creando pressioni sui programmi di austerity e pregiudicando la capacità del governo di ridurre il debito. Chiaramente questo eccesso di debito è il vero problema con cui si confrontano le economie occidentali e sarà verosimilmente un ostacolo all’espansione economica per un periodo prolungato. Ecco perché questo referendum giunge in una fase delicata per l’economia mondiale, sulla quale continua a incombere lo spettro del fallimento delle politiche economiche: a livello globale è mancata infatti la capacità di dare impulso alla crescita nonostante le imponenti misure di stimolo. Altri timori globali rimangono inoltre quanto mai concreti: non da ultimo i continui tentativi della Cina di favorire una transizione della propria economia da un modello trainato dagli investimenti a uno incentrato sui consumi, evitando al contempo un atterraggio duro.
In che modo siamo dunque posizionati per affrontare il referendum e questi timori globali? Abbiamo un modesto sovrappeso sugli asset rischiosi, ma l’esposizione azionaria più ridotta degli ultimi cinque anni. Sovraponderiamo il credito e sottopesiamo i titoli di Stato core, e siamo sovraesposti agli immobili commerciali britannici. Nei portafogli che ammettono il rischio valutario, non abbiamo posizioni di rilievo nella sterlina e manteniamo un posizionamento lievemente lungo sul dollaro USA, che dovrebbe beneficiare di una vittoria del fronte pro-Brexit.
In caso di voto favorevole all’uscita, abbiamo stabilito una soglia in corrispondenza della quale una correzione azionaria rappresenterebbe un’opportunità di acquisto (e avendo ridotto l’esposizione alle azioni negli ultimi trimestri abbiamo i margini per rafforzare le posizioni). Per contro, nel caso di un rally innescato da una vittoria degli europeisti, abbiamo individuato un limite oltre il quale potremmo decidere di effettuare prese di profitto.
Le prospettive di utile in Europa sono più favorevoli che in passato grazie alla prosecuzione di una fragile ripresa, che oggi dipende però da un voto pro-UE. Si osservano alcune revisioni al rialzo delle stime sugli utili e i dati macroeconomici appaiono ragionevoli, quindi manteniamo una posizione di sovrappeso sulla regione. Siamo tuttavia consapevoli che nell’eventualità di un esito favorevole alla Brexit gli investitori potrebbero iniziare a dubitare della sostenibilità dell’euro in quanto moneta e dell’eurozona stessa in quanto entità. Il premio al rischio associato a tale scenario aumenterebbe, anche se le prospettive di utile delle imprese europee restassero immutate. Sul fronte del reddito fisso, il mercato europeo è sostenuto dall’avvio del programma di acquisti di obbligazioni societarie della BCE che, al ritmo attuale, comporta l’acquisto di titoli per 7 miliardi di euro al mese. All’interno di tale universo si osserva una significativa variabilità, con una netta sottoperformance dei titoli in sterline – in particolare bancari – a causa dei timori per la Brexit.
Infine, vi sono analogie tra la riduzione dello scarto fra le due fazioni nel referendum britannico e il modo in cui Donald Trump è diventato a poco a poco un candidato realistico alla presidenza degli Stati Uniti. Trump ha intercettato un’onda che è a prima vista difficile da comprendere, quanto meno per gli investitori non statunitensi. Sembra infatti che sia diventato un parafulmine dello scontento di molti elettori americani nei confronti dell’attuale situazione e del loro desiderio di cambiamento. Chiaramente l’idea di Trump alla presidenza non è più una scommessa di tipo contrarian.
In vista delle elezioni statunitensi ciò potrebbe avere un impatto significativo sui mercati USA; per il momento, tuttavia, gli investitori si preoccupano dei tempi di un inasprimento da parte della Fed. Vi è stata una fase nella quale i falchi pensavano che vi fosse la possibilità di un rialzo dei tassi statunitensi, ma tale aspettativa è stata rapidamente accantonata sulla scia di dati deludenti sull’occupazione. Gli Stati Uniti seguono con attenzione il referendum britannico sulla permanenza nell’UE, e non è escluso che l’innalzamento dei tassi venga rinviato ulteriormente in caso di voto favorevole alla Brexit, specialmente alla luce della debole crescita statunitense. Ciò detto, si potrebbe registrare un aumento delle aspettative d’inflazione per via del rincaro del petrolio.

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