Due anni potrebbero non bastare per capire le conseguenze della Brexit

A cura di Christophe Machu, M&G Investments
I verbali della Federal Reserve della notte scorsa notavano che:
“I partecipanti in generale hanno ritenuto che fosse prudente attendere il risultato dell’imminente referendum britannico sulla permanenza nell’Unione Europea per valutare le conseguenze del voto sulle condizioni dei mercati finanziari mondiali e sulle prospettive dell’economia statunitense.”
Potrebbe essere un’attesa lunga. Anche adesso che il risultato del voto è noto, individuare le implicazioni effettive e districarle dal semplice rumore di mercato si prospetta come un processo evolutivo destinato a richiedere anni. Da un punto di vista politico, sciogliere il dubbio su se e quando il Regno Unito invocherà l’articolo 50 è solo uno degli aspetti in gioco.
Il Trattato di Lisbona prevede un “periodo di separazione” di due anni durante il quale negoziare l’accordo di divorzio. Tuttavia, la storia recente ci dice che la negoziazione dei trattati UE tendenzialmente ha richiesto molto più di 24 mesi, in tutti i casi tranne uno. Persino per l’adesione del Regno Unito all’UE (l’ingresso risale al 1973) c’è voluto più tempo.
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Dal punto di vista della finanza comportamentale, questo potrebbe essere un esempio interessante di fallacia della pianificazione. Per gli investitori, le implicazioni sono più concrete. Comprendere le dinamiche economiche è sempre estremamente difficile, a causa della natura complessa del sistema. Pertanto, anche conoscendo l’esito delle trattative, sarebbe quasi impossibile prevedere in che modo ne risentiranno i fondamentali economici o come reagiranno i prezzi degli asset.
La settimana scorsa, Jenny ha parlato dell’idea di incertezza insolita in relazione al voto pro-Brexit. In quell’intervento, sottolineava che le prospettive sono sempre incerte, solo che la maggior parte delle volte non pensiamo alla vera gamma di esiti possibili. La Brexit è sempre stata una possibilità, insieme a tutta una serie di altri scenari che oggi non stiamo considerando. Come esseri umani, sviluppiamo una certezza eccessiva di sapere grosso modo cosa ci riserva il futuro, perché è troppo spiazzante accettare quante siano le cose che non possiamo tenere sotto controllo. Cerchiamo tutte le informazioni e le analisi disponibili per sentirci più tranquilli e accentuare ancora di più quell’eccesso di sicurezza.
Il desiderio della Fed di ottenere maggiori informazioni lo dimostra, ma la realtà è che non ce ne saranno mai abbastanza. Per gli investitori il successo consiste nell’accettare che non è mai possibile eliminare del tutto il rischio. Accettare e gestire l’incertezza può voler dire andare in cerca di asset che premino chi è disposto a tollerarla e offrano caratteristiche di protezione come i beni rifugio.
Chi ha investito in oro e argento ha ottenuto guadagni spettacolari finora quest’anno, insieme a chi ha puntato sui titoli governativi mainstream. È nella natura umana essere tentati di credere che un’evoluzione di questo tipo sia sempre stata ovvia ed essere più certi che mai riguardo alle caratteristiche di questi asset in futuro.
Tuttavia, questo significherebbe diventare vittime di quello stesso eccesso di fiducia e mal riposta certezza, e può essere pericoloso. I beni rifugio non sono sempre sicuri e le coperture non saranno sempre una protezione adeguata contro il cigno nero dietro l’angolo. Lo si può vedere nel comportamento variabile dell’oro e dell’argento dal 2007: non sono stati di grande aiuto nel 2008, hanno offerto una certa protezione durante la crisi dell’euro nel 2012, ma da allora fino a quest’anno non sono risultati particolarmente utili.
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I Treasury hanno mostrato un andamento molto più tranquillo, ma in questo periodo il clima di fiducia è notevolmente cambiato. Alla fine del 2013, quando gli investitori erano preoccupati per una possibile bolla obbligazionaria e la “grande rotazione” verso le azioni, c’era molta meno fiducia riguardo alla natura di asset sicuri dei Treasury decennali, anche se la remunerazione del rischio era doppia rispetto a oggi.
Le incertezze che circondano la Brexit sono notevoli, ma questi rischi sono sempre presenti. Un anno fa, il problema era la Cina; a gennaio e febbraio è stata la recessione negli Stati Uniti a dominare il flusso di notizie. Sia l’una che l’altra potrebbero avere un impatto di portata molto più ampia della Brexit, e lo stesso si può dire di fattori di cui a oggi ignoriamo l’esistenza. Chi è convinto che prima o poi arriverà il momento in cui saranno disponibili informazioni sufficienti per ridurre l’incertezza forse deve prepararsi a una lunga attesa.

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