Riflessioni sull’incertezza economica

A cura di Joachim Fels, Consulente Economico Globale di PIMCO
Una piccola nota a margine riguardo alla controversia sulla Brexit: questo episodio ha rinvigorito il mio interesse per il concetto di “incertezza radicale” (radical uncertainty) proposto da Lord Mervyn King. Come eloquentemente spiegato dall’ex governatore della Banca d’Inghilterra durante il forum sugli investimenti di PIMCO a maggio e nel suo recente libro The End of Alchemy, per “incertezza radicale” si intende un’incertezza talmente profonda da impedire di fare delle previsioni esaustive sul futuro. Trovo questo concetto particolarmente utile per descrivere le sfide che ci attendono in un mondo di crescente polarizzazione, populismo e politicizzazione.
IL RE È MORTO, LUNGA VITA AL RE!
Lord King sostiene che l’incertezza radicale sia pervasiva e che l’impossibilità di concepire ciò che il futuro potrebbe riservare condanni al fallimento i modelli probabilistici usati a scopi previsionali da economisti, banche centrali e investitori. Citando il libro di King (p. 304):
“In un mondo di incertezza radicale non vi è modo di indentificare le probabilità degli eventi futuri né un sistema di equazioni che descriva il tentativo degli individui di far fronte a quell’incertezza, senza tenere necessariamente comportamenti ottimizzanti. … In quest’ultimo caso la relazione economica tra moneta, reddito, risparmio e tassi d’interesse è imprevedibile, pur essendo il frutto dei tentativi di individui razionali di destreggiarsi in un contesto incerto”.
Si tratta di un’affermazione davvero ragguardevole da parte di un ex banchiere centrale che per primo ha sperimentato e perfezionato la politica di “inflation targeting”, con la sua significativa assegnazione su previsioni e modelli economici, e che, in una vita precedente, è stato (per citare quanto detto da Paul Krugman in una recente recensione del libro di King) “un economista mainstream convinto”.
Ovviamente, la crisi finanziaria del 2008 e l’insolito contesto macroeconomico della Nuova normalità instauratosi da allora hanno spinto King a riconsiderare e infine ad abbandonare l’approccio convenzionale, per elaborarne uno nuovo: un’occorrenza rara ed encomiabile tra economisti e banchieri centrali!
RIENTRA IL CAVALIERE. Ovviamente, come osserva lo stesso King, il concetto di incertezza radicale non è propriamente una novità. Gli economisti vi fanno riferimento di norma con l’espressione “incertezza knightiana” da quando Frank H. Knight, professore della University of Chicago, nel suo libro
Risk, Uncertainty and Profit (1921) distinse tra il “rischio”, che può essere quantificato con l’assegnazione di probabilità basate sull’esperienza e/o sull’analisi statistica, e l'”incertezza”, che è essenzialmente incommensurabile e rappresenta le incognite inconoscibili.
Tuttavia, benché circoli da tempo nel pensiero economico e sia stato discusso anche da John Maynard Keynes (che per quanto ne sappia non ha riconosciuto il merito a Knight) nel Capitolo 12 della sua Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta (1936), il concetto di incertezza knightiana è stato ampiamente dimenticato o ignorato dalle generazioni successive di economisti, che si sono interessati maggiormente a formalizzare la propria disciplina e ad elaborare modelli economici apparentemente precisi, fondati sull’idea che si possano attribuire probabilità a eventi ed esiti futuri sulla base dell’osservazione del passato.
Purtroppo, ci è voluta la crisi finanziaria globale del 2008 per spingere Lord Mervyn King e altri a riscoprire l’idea che è semplicemente impossibile immaginare oggi molti eventi futuri e incorporarli nei modelli economici.
ACCADE DI TUTTO, E DI PIÙ. Naturalmente, non è detto che ci si debba spingere fino agli estremi di King e dichiarare l’incertezza radicale talmente pervasiva da rendere superflua ogni attività di previsione. La mia impressione è che molto spesso e soprattutto su orizzonti temporali relativamente brevi, si possa ipotizzare di vivere in un periodo di generale stabilità, nel quale l’analisi dell’evoluzione degli eventi passati può aiutare a formulare previsioni sul futuro. Tuttavia, dobbiamo sempre essere consapevoli che il mondo reale è tutt’altro che stabile o stazionario e che, per citare nuovamente King, “accade di tutto”: si pensi a Lehman, alla Grecia, alla Brexit e a Trump, tutti eventi che possono condurre o condurranno a cambiamenti di regime che renderanno obsolete le vecchie relazioni empiriche.
Che cosa implica dunque la presenza di incertezza radicale per gli analisti, le banche centrali e gli investitori? Vi propongo tre spunti di riflessione:
PENSARE L’IMPENSABILE, O QUANTO MENO PROVARCI. In primo luogo, le previsioni economiche e di mercato basate su modelli statistici/econometrici rimangono utili, ma bisogna rammentare che si fondano sempre sull’ipotesi spesso dimenticata di stabilità strutturale. I cambiamenti di regime e le rotture strutturali (“accade di tutto”) sono più frequenti di quanto generalmente si pensi. Mi occupo di economia applicata da 30 anni e in questo periodo ho osservato più “rotture strutturali” di quante io riesca a contarne. Ecco perché, oltre a lavorare con i modelli, è importante ragionare in termini di scenari, effettuare analisi speculative e soprattutto, costringersi a “pensare l’impensabile”: trend o shock che alla luce dell’analisi statistica sono considerati altamente improbabili per mancanza di precedenti.
ABBANDONARE LA FORWARD GUIDANCE. In secondo luogo, se il futuro è radicalmente incerto, la prassi delle moderne banche centrali di fornire ai mercati indicazioni prospettiche (“forward guidance”) potrebbe in realtà essere fuorviante. È vero, le autorità monetarie sottolineano sempre che un’indicazione non è una promessa e che, ad esempio, il dot plot della Federal Reserve non è altro che una previsione condizionata relativa a una traiettoria appropriata dei tassi ufficiali. Tuttavia, se queste previsioni il più delle volte si rivelano errate perché “accade di tutto”, quale è l’utilità di formularle?
Forse sarebbe meglio prendere atto dell’esistenza di un’incertezza radicale e smettere di elaborare previsioni sulla politica monetaria che nella maggior parte dei casi si riveleranno inevitabilmente infondate. Sinora la Fed ha fatto solo un piccolo passo in questa direzione, dichiarando la propria politica “dipendente dai dati”. Eppure, pubblicando previsioni sulle variabili economiche e sulla futura evoluzione dei propri tassi ufficiali, la banca centrale statunitense crea l’illusione che il futuro sia altamente prevedibile. A mio avviso, un’autentica dipendenza dai dati e dal regime dell’attività economica non è compatibile con una forward guidance esplicita. Per inciso, eliminando il “dot plot” e le congetture sulla sua evoluzione e sugli autori delle previsioni, molti analisti potrebbero dedicare più tempo a immaginare l’inimmaginabile.
IL POPULISMO FAVORISCE UN ULTERIORE INCERTEZZA RADICALE. Terzo, oggi l’incertezza radicale potrebbe essere ancora più acuta che negli ultimi decenni, poiché sembra che ci troviamo sulla soglia di un’era nella quale la politica tornerà a prevalere sull’economia nel determinare gli esiti di mercato. Le variabili dell'”economia politica” di solito non trovano spazio nei modelli previsionali degli economisti. Tuttavia, come giustamente evidenzia King, sono spesso proprio le grandi sorprese sul fronte politico a determinare i principali sviluppi nell’economia mondiale. Nelle parole di King, tali sorprese non sono “gli shock aleatori dei modelli previsionali, ma la realizzazione dell’incertezza radicale”. Brexit, Trump e ascesa del populismo: quali sono le conseguenze, e cos’altro ci attende? Possiamo tutti formulare congetture ragionevoli (si veda ad esempio la mia ipotesi su come la Brexit potrebbe sfociare in una stagflazionehttp://blog.pimco.com/2016/06/26/from-brexit-to-stagflation/), ma solo il tempo dirà chi ha ragione.
STABILITÀ SENZA CERTEZZE. Non a caso (poiché King è intervenuto al nostro Secular Forum, nel quale abbiamo analizzato un orizzonte di tre-cinque anni), il concetto di incertezza radicale ha influenzato anche le conclusioni del forum, durante il quale abbiamo caratterizzato le prospettive globali a lungo termine con l’espressione “Stabilità senza certezze“. È vero, l’economia e i mercati finanziari mondiali appaiono relativamente stabili, e tale stabilità potrebbe durare ancora a lungo, magari ben oltre il nostro orizzonte ciclico (di sei-dodici mesi). Si tratta però di una stabilità ingannevole, insidiosa, dietro la quale si celano rischi crescenti: prezzi degli attivi sempre più elevati rispetto alla media storica, livelli sempre più alti di debito pubblico e privato, incisività decrescente della politica monetaria e ascesa del populismo. E questi sono solamente i rischi che siamo in grado di identificare. Tutto questo, e l’inquietante ma ineffabile presenza dell’incertezza radicale, conduce a una semplicissima conclusione per gli investitori: che a regnare sia la presentazione del capitale!

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