Il voto Brexit è solo l’inizio di una fase convulsa dei mercati globali

A cura di John J. Hardy, Head of Forex Strategy di Saxo Bank
Il Regno Unito ha votato per lasciare l’Unione Europea, uno shock acuito dalla propensione dei mercati per il “Remain” fino a poche ore prima dell’esito finale. Il terremoto sui tassi di cambio della sterlina ha staccato facilmente la fase più intensa della crisi globale, come anche il Black Wednesday del 1992, quando il pound venne strappato dall’ERM.
La maggior parte delle osservazioni relative al significato del voto Brexit è simile alla parabola indiana dei sei saggi e dell’elefante: un gruppo di saggi non vedenti si propone di descrivere un elefante tastandone le varie parti del corpo. Ognuno di loro, ovviamente, dà un’opinione diversa, senza riuscire a comprendere quale sia la vera natura dell’animale. Lo stesso accade per la Brexit, sulla quale vengono fornite motivazioni che spaziano dalla reazione xenofoba alla recente immigrazione agli attacchi terroristici. Altri puntano il dito sul carico della regulation imposta dall’Europa e i costi per il trasferimento dei pagamenti verso l’Unione.
Il referendum inglese si è rivelato una notevole opportunità per gli elettori del Regno Unito di esprimere la propria disapprovazione nei confronti dei poteri forti. Il “NO”, infatti, non era rivolto solamente a Cameron o all’Unione Europea, ma anche alle dinamiche nelle quali ci troviamo attualmente e una delle peculiarità forniteci da questa votazione è stato il fallimento dello status-quo: la forte tendenza a preferire la strada nota a quella ignota, senza preoccuparsi di quanto possa essere pericolosa questa scelta.  Nelle settimane precedenti il referendum, infatti non vi era una visione chiara di quali effetti un’eventuale Brexit avrebbe provocato.
Risulta abbastanza chiaro che il risultato finale porterà ad una scissione della Scozia e, forse, anche di altri stati. Molti sono stati i richiami al recente referendum scozzese e al voto del 1995 in Canada in merito all’indipendenza del Quebec. In entrambi i casi la votazione finale ha propeso in maniera significativa per lo status quo, nonostante le previsioni contrarie. Il fatto che così tante persone, in Gran Bretagna, abbiano preferito fare un salto verso l’ignoto lascia intendere che vi siano i presupposti per una rivoluzione.
Con questi presupposti, la Brexit fa molto discutere in merito alle prospettive per le valute e per tutti i mercati finanziari su due fronti: i rischi politici e il rischio che le banche centrali stiano perdendo definitivamente il controllo. Quest’ultima variabile è già stata molto chiara quest’anno, con il rafforzamento dello yen nonostante l’enorme programma di QE della BoJ. Ora il Giappone si sta rapidamente avvicinando ad un punto di flesso in cui i suoi responsabili politici sentono di dover rompere le fila con i recenti accordi di vertice e le nuove svalutazioni della moneta.
Si tratta quindi di una sorta di versione giapponese di una Brexit? Si tratterebbe di un rifiuto popolare del tentativo del governo e delle BoJ di svalutare la moneta e di una crisi del debito sovrano? Inoltre, le forze che hanno portato alla Brexit nel Regno Unito sono decisamente evidenti nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, dove Trump è palesemente contrario allo status quo.
La Brexit dovrebbe insegnarci a diffidare dei sondaggi in vista delle elezioni del prossimo 8 novembre. E non dimentichiamo che anche la Francia potrebbe affrontare una rivoluzione durante le elezioni del 2017.
I mercati valutari rischiano di rimanere turbati nel momento in cui i segnali da parte delle banche centrali dovessero risultare diversi dal solito e tutti noi cercheremo di capire quali saranno gli scenari futuri. La Brexit, infatti, si rivelerà essere una fase di riscaldamento per una rivoluzione globale contro il mercato e l’attuale paradigma politico.

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