Gestire correttamente i rischi: gli insegnamenti di Brexit

A cura di Didier Saint-Georges, Membro del Comitato Investimenti e Managing Director di Carmignac
Gli investitori sono notoriamente a disagio quando è necessario gestire il rischio che, l’approssimarsi di una scadenza politica, fa correre ai loro risparmi. La recente correzione dei mercati a seguito del referendum britannico sulla famosa “Brexit” ha appena illustrato in maniera eclatante il pericolo insito nelle scommesse binarie, soprattutto quando non è in gioco alcun valore aggiunto. Poiché il rischio Brexit era stato quasi del tutto escluso dagli ultimi sondaggi, moltissimi investitori si sono lasciati convincere da questa presumibile certezza.
Così facendo hanno violato in un colpo solo due regole fondamentali della gestione dei rischi: 1) mantenere sempre la facoltà di pensare liberamente e avere il coraggio di contraddire le opinioni prevalenti, sopratutto se unanimi. 2) Guardarsi dai rischi nettamente asimmetrici. Il rischio associato al referendum lo era in modo evidente: mentre il voto a favore del “Remain” avrebbe costituito quasi un non evento, la maggioranza a sorpresa a favore del “Leave” avrebbe inevitabilmente avuto un forte impatto negativo sui mercati, come è avvenuto.
Questa vicenda ci permette anche di ricordare che la gestione dei rischi non si ferma qui. Ora che i mercati sono rimasti scottati dalla breve esuberanza speculativa, dovremo includere questo nuovo elemento in un’analisi obiettiva dei rischi e chiederci se in questo caso i mercati non siano stati esageratamente accecati dalla paura. Gestire i rischi, infatti, significa anche avere il coraggio di assumerli, anche al costo di essere sempre in anticipo e di sbagliare, a volte. La gestione dei rischi, prima di essere una competenza tecnica, è innanzitutto una valutazione soggettiva e una questione di carattere. Per dirlo con una metafora, la competenza consiste nel sapere che il pomodoro è un frutto della famiglia delle Solanacee, la saggezza consiste nel non metterlo nella macedonia.
L’indebolimento della crescita globale rappresentava già il rischio principale per i mercati, la Brexit conferma questa analisi. Il voto britannico non avrebbe tanta importanza se l’economia mondiale non fosse così fragile. Dobbiamo tenere a mente il cambiamento di regime che si sta verificando sui mercati sul quale abbiamo già insistito nelle Note di luglio 2015 (“É iniziata la grande transizione”), di marzo (“I sonnambuli”) e di aprile 2016 (“Danza sul vulcano”). Il rialzo del 70% segnato dai mercati azionari mondiali tra il 2011 e il 2015 nonostante gli utili aziendali siano rimasti invariati in quest’arco di tempo, si fondava esclusivamente su un atto di fede. Scommetteva sul fatto che entro breve tempo gli utili aziendali sarebbero aumentati per effetto di una crescita globale più sostenuta, grazie all’intervento persistente delle Banche Centrali. Questa fiducia ha iniziato a vacillare dal 2015. Nel momento in cui la Banca Centrale statunitense terminava il terzo ciclo di creazione monetaria, i risultati delle aziende hanno iniziato globalmente a peggiorare. Da allora i mercati azionari hanno iniziato a erodere le performance passate e il calo dei tassi lunghi si è aggravato. La credibilità della Banca del Giappone e della BCE ha iniziato a sua volta a sgretolarsi mentre la modesta crescita faticosamente raggiunta (otto anni dopo il fallimento di Lehman Brothers l’Eurozona conta ancora 4,5 milioni di disoccupati in più rispetto al 2007) era più che mai vulnerabile agli shock esterni. Da allora gli “shock” sono stati tre (la svalutazione del renminbi in agosto 2015, il crollo dei prezzi petroliferi in gennaio 2016 e l’ultimo, il voto sulla Brexit) e ogni volta hanno messo a dura prova la crescita globale, esacerbando l’instabilità dei mercati.
L’intreccio tra rischi economici e politici. L’assenza di crescita economica inizia a tradursi in effetti politici tangibili. Negli Stati Uniti, la stagnazione del salario reale medio dal 2000, in particolare da quando il quantitative easing ha arricchito considerevolmente le famiglie già facoltose, aumenta la popolarità della strategia  populista e protezionistica di Donald Trump. In Europa, le scarse prospettive economiche dell’Unione hanno contribuito a far sì che David Cameron fosse incapace di convincere la maggioranza degli elettori britannici a rimanere nell’Unione europea. E poiché stesse cause producono stessi effetti, la mancanza di successo economico in Europa rischia di continuare ad alimentare lo scontento (già in giugno 2014 la Note s’intitolava “Il ritardo accumulato dall’economia europea”, e in dicembre dello stesso anno “Lost in Stagnation”). Alle prossime scadenze elettorali i voti di protesta aumenteranno, facendo planare lo spettro della disintegrazione, se l’Europa non riesce a ritrovare la strada della crescita. Se vuole evitare i pericoli di una crescente riflessività tra le tensioni politiche e il rallentamento economico, l’Europa, e in primo luogo la Germania, devono prendere atto dei rischi associati al mantenimento dell’ortodossia economica.
Paradossalmente, la Brexit potrebbe essere un elettroshock benefico, o addirittura salvifico? È quindi plausibile che i mercati inizino a posizionarsi in vista della fase successiva, che potrebbe essere il riconoscimento dell’inefficacia economica delle politiche monetarie, comprese quelle straordinarie, lasciando spazio all’ipotesi del ricorso a politiche di stimolo fiscale, finora considerate “impossibili” alla luce delle condizioni delle finanze pubbliche. Sul piano politico, di fronte alla minaccia incombente, la classe politica “tradizionale” sarà capace di un insperato sussulto? In ogni caso, gli elettori moderati ammaliati dalle retoriche di rottura saranno più consapevoli del pericolo che si corre giocando con il fuoco. Speriamo anche che la resa disonorevole di Boris Johnson, pochi giorni dopo il “trionfo” della sua campagna a favore del “Leave”, spinga a un maggiore spirito critico nei confronti degli argomenti grossolanamente demagogici. Sotto questo aspetto, i risultati inferiori alle previsioni del movimento Unidos Podemos alle ultime elezioni in Spagna, subito dopo il referendum sulla Brexit, sono un segnale incoraggiante. Nel frattempo, è quantomeno probabile che il sostegno delle Banche Centrali a breve termine venga confermato o rafforzato. La Banca d’Inghilterra lo ha già dichiarato e dal canto suo la Fed negli Stati Uniti sarà probabilmente ancora più esitante nel procedere verso la normalizzazione della politica monetaria.
Priorità all’equilibrio dei portafogli. I maggiori rischi di rallentamento economico globale ci spingono a mantenere invariata la struttura globale dei portafogli. Manterremo la diversificazione geografica e l’equilibrio tra i titoli a forte visibilità, il credito europeo del settore bancario, i titoli del settore aurifero, le valute rifugio, i Titoli di Stato USA, che hanno pienamente svolto la loro funzione in occasione della flessione dei mercati del 24 giugno. L’instabilità dei mercati, che si è manifestata tre volte, come noi avevamo previsto, conferma la scelta di una gestione estremamente attiva dei tassi di esposizione per sfruttare al meglio le oscillazioni intermedie dei mercati.
In un contesto di tassi d’interesse a zero o negativi, la promessa di generare performance a lungo termine senza assumere rischi sarebbe più che mai ingannevole. La ricerca della performance presuppone la necessità di osare e sforzarsi di avere, in media, più spesso ragione che torto. Benché sembri evidente, questo obiettivo di lungo termine non ha nulla di scontato: alcune analisi indipendenti hanno dimostrato che le migliori gestioni a lungo termine vantano una percentuale di decisioni giuste del 60% circa. Ma non tutti gli errori hanno uguale valore: per esempio, i cinque mesi peggiori dell’indice S&P 500 nell’arco di venti anni hanno determinato una perdita del 50% della performance accumulata (passata da +560% a +236%).
Una gestione senza audacia non è performante, ma una gestione senza disciplina è pericolosa. La gestione dei rischi presuppone un’attenzione meticolosa verso i rischi asimmetrici e la costante consapevolezza della propria responsabilità nei confronti dei clienti. Ed è resa possibile dalla libertà di pensiero.
 
Strategia di investimento
Valute. Il voto del Regno Unito a favore dell’uscita dall’Unione europea ha avuto dei contraccolpi in tutti i mercati. Come avevamo previsto, i movimenti più violenti si sono verificati sui cambi, con un indebolimento significativo della sterlina inglese e un aumento altrettanto significativo dello yen giapponese, che ha svolto pienamente la funzione di moneta rifugio. Nonostante l’indebolimento nei confronti del dollaro a seguito del referendum britannico, l’euro si è dimostrato relativamente stabile contro il biglietto verde nel corso del mese. In questo contesto, la nostra strategia di cambio equilibrata ma attiva, con posizioni buy sulla valuta giapponese e coperture sulla sterlina, ha contribuito positivamente alla gestione dei rischi per superare l’ondata di volatilità.
Obbligazioni. Dopo il voto sulla Brexit, le obbligazioni rifugio come i Titoli di Stato USA, tedeschi o giapponesi hanno svolto in pieno la loro funzione, registrando ribassi dei tassi dell’ordine de 10 – 30 punti base. In compenso, gli altri mercati obbligazionari sovrani non hanno registrato tensioni significative. I rendimenti delle obbligazioni periferiche europee sono rimasti nettamente inferiori a quelli di inizio anno. Meglio ancora, le obbligazioni sovrane emergenti di paesi come il Messico o il Brasile hanno continuato a registrare ribassi. I timori legati alla Brexit riguardo alle prospettive di crescita e le ripetute dichiarazioni delle Banche Centrali sulla loro disponibilità a intervenire per attutire lo shock hanno creato un clima favorevole per l’insieme dell’universo obbligazionario. Di conseguenza, abbiamo mantenuto una duration modificata moderata e un posizionamento diversificato tra obbligazioni periferiche europee, obbligazioni corporate e obbligazioni sovrane emergenti.
Azioni . Dopo avere erroneamente anticipato il voto a favore del “Remain” nel Regno Unito, i mercati azionari hanno subito una netta flessione, per poi riprendersi negli ultimi giorni del mese. La performance netta a seguito di questa instabilità è particolarmente negativa per i mercati dell’Eurozona e per il mercato giapponese, che ha segnato una flessione di più del 7,5%. Al contrario, sostenuto dalla valvola di sicurezza derivante dal calo della sterlina, il mercato inglese si è collocato tra i più solidi, con un rialzo del 5% durante il mese. Questi movimenti riflettono chiaramente quanto sia importante una struttura di portafoglio equilibrata e includere il cambio tra i fattori da prendere in considerazione nella gestione dei rischi. Il posizionamento su titoli poco sensibili al ciclo economico, come le società del settore healthcare (nel quadro della nostra strategia globale il tema della longevità è la nostra principale ponderazione), insieme all’inserimento di posizioni in grado di attenuare il rischio globale dei portafogli (come le miniere d’oro che hanno registrato un rialzo superiore al 15% durante il mese), hanno permesso al nostro approccio patrimoniale di svolgere la propria funzione in questo periodo di turbolenza.
Materie prime. In giugno Carmignac Portfolio Commodities ha registrato una performance stabile. In linea con la gestione globale dei rischi, a inizio mese abbiamo rafforzato l’esposizione nelle miniere d’oro, con l’acquisto di una posizione in Royal Gold. Durante il mese abbiamo inoltre aperto una posizione sul titolo petrolifero ENI. Infine, a fine mese abbiamo approfittato della volatilità dei mercati per aumentare il tasso di esposizione del Fondo a prezzi interessanti.
Fondi di Fondi . I Fondi di Fondi hanno registrato una performance stabile in giugno. Il posizionamento equilibrato rappresenta la chiave di volta della nostra gestione dei rischi, che ha permesso ai diversi profili di assorbire la volatilità dei mercati.

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