Stress test sulle banche poco convincenti

A cura di Wings Partners Sim

Dopo l’entusiasmo iniziale per i risultati degli stress test, le banche in Europa sono tornate sotto pressione, in concomitanza con lo svilupparsi di critiche nei confronti dell’EBA sullo scenario a cui sono state sottoposti gli attivi degli istituti di credito. Innanzi tutto da precisare che il campione includeva solo le 51 maggiori banche, nessuna di Portogallo e Grecia, mentre si è considerato il caso in cui i tassi iniziassero a salire dagli attuali livelli, invece di considerare un contesto di tassi sempre più negativi, compatibile con un rallentamento dell’economia e una componente negativa per i ricavi bancari. Inoltre, benché in alcuni casi come Monte Paschi il fallimento sia negativo la BCE non ha emesso nessuna soglia come livello minimo di capitalizzazione da rispettare, né imposto (o suggerito) misure correttive, anche se alcuni suggeriscono tale soglia possa essere un Tier 1 del 5,5%.

Nulla a che vedere dunque con quelli della Federal Reserve che effettua analisi analoghe sugli attivi delle banche operanti negli Stati Uniti, tra cui la brench americana della Deutsche Bank, risultato con capitalizzazione inadeguata per il secondo anno consecutivo, e Banco Santander, al terzo fallimento dei test per l’assenza di pratiche adeguate di gestione del rischio. La Banca Centrale statunitense impone accantonamenti aggiuntivi agli istituti ritenuti con capitalizzazione inadeguata e ha la facoltà di impedire il pagamento di dividendi.

Proprio la mancanza di limiti e condizioni che rendano gli stress tests credibili e poco chiari sono la causa del loro fallimento agli occhi degli operatori, che non possono individuare le banche che necessitino di ricapitalizzazione e quali siano gli importi necessari, perpetrando una situazione di incertezza.

Inoltre sono venute meno le premesse di quattro anni fa, quando l’Eurozona avvio un’unione bancaria volta a garantire a livello comunitario il salvataggio delle banche in difficoltà. Nessuno strumento di salvaguardia è ancora stato previsto e agli Stati viene lasciata l’incombenza di sanare (visto che un default sarebbe politicamente ed economicamente una disfatta che metterebbe in discussione l’esistenza stessa dell’Unione) gli istituti sotto-capitalizzati.

Nel frattempo l’agenda macro ha visto ieri anche la pubblicazione degli indici PMI manifatturieri nell’Eurozona, il cui consuntivo sale a 52, meglio rispetto ad un risultato preliminare di 51,9, ma in calo dal 52,8 relativo a giugno.

Sull’altra sponda dell’oceano anche l’indice ISM manifatturiero ha evidenziato un arretramento a 52,6, inferiore sia al 53 previsto che al 53,2 precedente. Da segnalare anche il calo delle spese per costruzioni sui minimi da un anno, complici fattori stagionali. Reazione composta invece dei mercati con il cambio euro dollaro stabile a ridosso dell’1,12, mentre l’oro si attesta in zona $1.350 per oncia. L’agenda macro non riserva dati rilevanti fino a venerdì, con la pubblicazione dei nonfarm payrolls di luglio.

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