Wall Street beneficia dell’effetto liquidità

A cura di Banca Intermobilare

I mercati finanziari continuano ad essere fortemente guidati dalle politiche monetarie delle Banche Centrali. Nelle ultime settimane questa influenza è diventata particolarmente evidente a Wall Street, dove l’S&P500 sembra ormai avere assunto le caratteristiche di un mercato obbligazionario. Bassissima volatilità e performance contenute sono i temi conduttori del momento:

  • nelle ultime tre settimane l’indice ha registrato una variazione giornaliera inferiore al punto percentuale;
  • in ben 14 delle ultime 16 sedute ha evidenziato una variazione inferiore al mezzo punto percentuale;
  • dallo scorso 14 luglio l’indice si muove in uno strettissimo trading range di un punto percentuale.

Questo andamento trova probabilmente spiegazione nel fatto che:

  • da un lato l’effetto liquidità dispiega pienamente il suo impatto positivo su un indice che presenta caratteristiche evidentemente difensive; l’S&P500 è costituito dalle migliori aziende a livello mondiale che sviluppano una parte rilevante del loro
    business sull’economia che in questa fase fornisce le maggiori garanzie sul fronte della crescita;
  • dall’altro i livelli valutativi di molti settori (soprattutto quelli meno ciclici) limitano in misura significativa lo spazio di rialzo.
    Situazione decisamente diversa sul fronte europeo dove i mercati azionari, seppure nettamente più a buon mercato, restano molto volatili, in scia soprattutto:
  • all’incertezza sull’evoluzione dell’economia, tra l’altro accentuata dopo l’evento Brexit (le ultime rilevazioni degli indici PMI hanno fornito segnali di peggioramento, soprattutto sulle economie periferiche);
  • alle difficoltà del sistema bancario che, al di là dell’impatto diretto sull’andamento delle Borse, riveste un ruolo determinante anche sulla crescita economica.

L’intervento annunciato venerdì scorso sul Monte dei Paschi di Siena al momento conferma l’intenzione di scaricare sulla componente azionaria l’onere della pulizia di bilancio ed al tempo stesso introduce nuovi punti di riferimento per il comparto bancario, alcuni positivi altri meno.

Le banche dovranno rettificare ulteriormente il portafoglio di crediti dubbi, non solo le sofferenze, ma anche le inadempienze probabili (quelli che in passato erano definiti incagli): se l’intervento sulle prime era atteso, il livello di copertura sugli incagli richiesto al Monte Paschi è andato al di là delle previsioni (anche se su quest’ultimo aspetto occorre tenere presente che è difficile fare delle valutazioni senza avere visibilità sulla qualità dei crediti dubbi residui e delle relative garanzie).

In positivo, l’operazione conferma i livelli e la capacità di intervento del fondo Atlante: le sofferenze escono dal bilancio della banca ad un valore del 27% ed Atlante riesce ad impostare la cartolarizzazione con una leva superiore a 17x (ciò vuol dire che con una dotazione di partenza di 5 mld potrebbero essere rilevati oltre 85 mld di crediti dubbi).
A queste condizioni una parte considerevole delle banche dovrebbe essere in grado di ridurre in misura significativa lo stock di sofferenze senza dover ricorrere ad un nuovo aumento di capitale.

L’impressione è quindi che in termini valutativi siano già state ampiamente incorporate le future “pulizie” di bilancio, anche se questo al momento non riesce a frenare la speculazione al ribasso, che trova ancora terreno fertile a causa:

  • dei lunghi tempi di implementazione delle cessioni delle sofferenze;
  • della sensazione di scarsa lucidità e coordinamento delle varie authority coinvolte nel risanamento del sistema;
  • dei pesanti effetti tecnici derivanti dalle operazioni di ricapitalizzazione che dovranno essere realizzate nei prossimi mesi (tra quelle più rilevanti sicuramente l’annunciato aumento di Monte dei Paschi, ma probabilmente anche quello di Unicredit).

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