Proteggersi dall’inflazione

di Chris IggoChief Investment Officer, Fixed Income di Axa IM

Quest’anno non c’è stata inflazione nei paesi sviluppati, ma le obbligazioni inflation linked hanno riportato ottime performance in termini di rendimento complessivo, in particolare nel Regno Unito. Questo risultato dipende principalmente dal calo dei rendimenti reali e riflette sia lo spostamento degli investitori verso duration più lunghe, sia la necessità di proteggersi dal rischio di una futura inflazione. Certamente questi rendimenti non sono sostenibili.

L’inflazione nel Regno Unito dovrebbe comunque salire, considerato che il valore dell’indice dei tassi di cambio ponderato su base commerciale è sceso del 13% nell’ultimo anno. L’indice manifatturiero più recente mostra l’impatto del calo della sterlina: export in significativo aumento, ma i costi delle risorse produttive parimenti sono saliti con la massima rapidità degli ultimi 5 anni. Il Quantitative Easing potrebbe gettare benzina sul fuoco. A mio giudizio, gli investitori dovrebbero continuare a proteggersi dall’inflazione, evitando però di incrementare troppo il rischio di duration.

Una soluzione parziale potrebbe essere rappresentata dalle obbligazioni indicizzate all’inflazione a breve scadenza. Nel frattempo prosegue la pantomima della Federal Reserve che oscilla tra la volontà di intervenire e di mantenere le cose come stanno. Il pubblico ha perso interesse e il mercato non sconta un rialzo dei tassi fino a fine anno. Se l’inflazione tornerà a salire negli Stati Uniti, le cose potrebbero mettersi male per il mercato obbligazionario.

Bersaglio mancato A luglio, l’indice dei prezzi al consumo nel Regno Unito è salito solamente dello 0,23% da inizio anno. Questo significa che la Banca d’Inghilterra ha mancato non di poco il suo target d’inflazione. Effettivamente, l’inflazione è bassa dalla metà del 2013. Se esaminiamo l’andamento dell’inflazione rispetto al target in periodi di due anni a partire dal momento in cui la banca centrale fu resa indipendente dal governo laburista nel 1997, i risultati più lontani dal bersaglio sono concentrati nel periodo più recente.

Nei primi dieci anni di indipendenza, l’inflazione si attestava abbastanza vicino al target, anche se leggermente inferiore, ovvero il livello effettivo dei prezzi saliva a un tasso costante e relativamente prevedibile. Dal 2008 al 2012, l’inflazione è rimasta inferiore al target, principalmente a causa dell’impatto del brusco calo della sterlina nel 2008. Con il successivo rialzo della sterlina dal 2014 e il calo globale dell’inflazione, il target non è mai stato raggiunto nell’ultimo periodo.

È un dato interessante alla luce del recente dibattito di politica monetaria negli Stati Uniti sulla possibilità di stabilire come target un determinato livello dei prezzi (quindi in termini assoluti) come alternativa all’inflazione (che misura la variazione percentuale). Se partiamo dal maggio 1997 ed esaminiamo l’evoluzione dell’indice dei prezzi al consumo rispetto al livello che i prezzi avrebbero raggiunto se l’inflazione fosse stata stabile a un tasso annualizzato del 2%, il livello effettivo dei prezzi oggi non è molto diverso dal valore teorico. La differenza è dell’1,8% soltanto. Dunque nel lungo termine il controllo dell’inflazione ha avuto successo.

Tuttavia, il punto di partenza è molto importante. Se ripetiamo la stessa analisi ma prendiamo come punto di partenza marzo 2009, il mese in cui è iniziato il Quantitative Easing, il livello effettivo dei prezzi è stato prevalentemente al di sopra del target, sebbene oggi i due dati presentino un divario dell’1,5% soltanto. Se partiamo da maggio 2013, lo scenario appare molto diverso. Il livello effettivo dei prezzi è più basso del 4% rispetto al livello che avrebbe raggiunto se la Banca d’Inghilterra fosse riuscita a rispettare il target inflazionistico del 2% annualizzato da metà 2013.

La sterlina traina l’inflazione Si tratta di un esercizio puramente accademico dato che la Banca d’Inghilterra non adotta un sistema di controllo del livello dei prezzi. Se lo facesse, e questo vale per tutte le principali banche centrali che adottano un target inflazionistico a medio termine come riferimento per la politica monetaria, sarebbe stato necessario generare un’inflazione molto più alta nel breve termine per riportare i prezzi sul livello target, soprattutto se si fa riferimento a un punto di partenza recente.

Questo ragionamento ha già evidenziato un problema nel sistema di definizione del livello target dei prezzi, ovvero qual è il punto di partenza adeguato? Inoltre c’è la questione della capacità delle banche centrali di influire direttamente sul tasso dell’inflazione. Abbiamo visto che con la prima fase del QE, l’inflazione nel Regno Unito era sopra il target (così come il livello dei prezzi). Tuttavia, dal 2013 entrambi gli indicatori sono rimasti ben al di sotto del target. Una valutazione alquanto superficiale di questi dati ci porterebbe a concludere che ciò che conta è l’impatto sul tasso di cambio, mentre il Quantitative Easing c’entra poco.

Il calo della sterlina nel 2008 è iniziato prima del lancio del QE (nonostante il profondo taglio dei tassi di interesse) e la flessione più recente ma meno drammatica della sterlina è avvenuta prima che la Banca d’Inghilterra decidesse di ripristinare il QE per proteggersi contro gli shock economici collegati alla Brexit. La conclusione logica sarebbe che l’inflazione nel Regno Unito salirà ancora durante il prossimo anno per via dell’effetto del tasso di cambio, mentre il QE contribuirà a mantenere la sterlina su livelli più bassi come avvenne nel 2009-2011. Affinché l’indice dei prezzi al consumo raggiunga i livelli previsti nel maggio 2017, l’inflazione annuale deve salire molto rapidamente intorno al 3% entro il nuovo anno. In questo momento sembra improbabile, ma l’indice dei tassi di cambio ponderati su base commerciali della Banca d’Inghilterra è sceso del 13% rispetto a un anno fa.

Linker in testa Il mercato delle obbligazioni indicizzate certamente ritiene che l’inflazione nel Regno Unito sia destinata a salire. Il breakeven a 10 anni, ovvero la differenza tra il tasso nominale (dei gilt convenzionali) e quello reale (dei gilt indicizzati all’inflazione), è salito al 2,6% negli ultimi mesi dal minimo del 2,154% di fine febbraio. Per chi ha investito in obbligazioni indicizzate all’inflazione nel Regno Unito, il 2016 è stato un anno eccezionale anche se l’inflazione è stata praticamente pari a zero. L’indice Bank of America/Merrill Lynch sui Gilt indicizzati all’inflazione ha avuto un rendimento complessivo del 29,8% da inizio anno, battendo l’indice equivalente sui titoli non indicizzati del 6,2%. La componente del mercato da 1 anno a 10 anni ha registrato un rendimento del 9,8%, mentre la componente da 15 anni in su ha guadagnato il 39%. Sì, avete letto bene, il 39%. Nel segmento a lungo termine del mercato, il rendimento reale è sceso dal – 0,68% al -1,80% da inizio anno ma i breakeven in genere sono scesi fino ai giorni recenti. Questa performance deriva quasi interamente dal prezzo (le cedole sui linker sono piuttosto basse e l’inflazione maturata quest’anno è stata contenuta), e il prezzo è trainato dal calo dei rendimenti. La domanda di titoli a lunga scadenza nel Regno Unito, in risposta al nuovo lancio del QE da parte della Banca d’Inghilterra, unitamente alle preoccupazioni per una risalita dell’inflazione hanno prodotto questi rendimenti strabilianti. Difficilmente si ripeteranno.

Carney nel panico? L’inflazione nel Regno Unito risalirà nel breve termine per effetto del cambio. L’indice manifatturiero Markit/CIPS ad agosto non solo ha evidenziato un imprevisto rimbalzo del saldo headline per il settore manifatturiero da 48,3 a 53,3 a luglio, ma ha anche segnalato un brusco aumento dei prezzi delle risorse produttive collegato alla debolezza della sterlina. In base all’indice, i prezzi degli input sono saliti con la massima rapidità degli ultimi 5 anni, il 44% delle imprese riferisce di un incremento dei costi di acquisto e dei prezzi alla produzione.

Per gli investitori obbligazionari che hanno riportato rendimenti eccezionali nel 2016 è giunto il momento di pensare ai rischi. Per la maggior parte dei settori del mercato obbligazionario, i rendimenti sono stati trainati prevalentemente dai tassi più bassi e dagli spread di credito più ristretti, ma è la componente dei tassi a trovarsi sulle valutazioni più estreme, certamente nel segmento investment grade dove il calo dei tassi sottostanti è stato più consistente rispetto alla contrazione degli spread di credito.

Naturalmente, ogni variazione del livello dei tassi dipende molto dalle dichiarazioni e dagli interventi delle banche centrali, ma c’è il rischio che la Banca d’Inghilterra commetta un errore: l’economia britannica non sta cadendo a pezzi e l’inflazione risalirà. Sia i tassi nominali sia i tassi reali potrebbero rimbalzare rapidamente producendo rendimenti negativi negli strumenti a più lunga scadenza. Tutte le obbligazioni in sterlina hanno riportato ottime performance a causa del calo dei tassi sottostanti, ed è evidente che c’è un rischio importante che prima o poi si inverta la tendenza. Detto questo, sono ancora convinto che sia necessaria una protezione contro l’inflazione in un portafoglio a reddito fisso o multi-asset, pertanto un’esposizione sugli spread di breakeven senza un’esposizione sulla duration è una strategia interessante nei prossimi mesi.

Rialzo o non rialzo? L’inflazione globale resta su livelli inferiori a quelli desiderati dalle banche centrali. Negli Stati Uniti, i tassi di breakeven sono rimasti stabili tra 1,4% e 1,5% su un orizzonte a 10 anni, in Europa sono ben al di sotto dell’1%. L’inflazione negli Stati Uniti si è attestata allo 0,8% su base annua relativamente ai prezzi al consumo headline e nell’Area Euro resta stabile. La politica monetaria resterà estremamente accomodante e non possiamo escludere un ulteriore ampliamento del QE in Europa prima della fine dell’anno.

Il Regno Unito potrebbe seguire un percorso diverso, con la flessione della sterlina rispetto al dollaro e all’euro come principale fattore trainante. Non sarebbe una novità, considerate le periodiche ondate di debolezza del cambio nella storia del Regno Unito. I breakeven su scala globale restano analogamente bassi, ma io credo che sia una forma di protezione relativamente conveniente dal momento che le prospettive a medio termine indicano che sia l’inflazione sia i tassi d’interesse rischiano di salire più che di scendere rispetto ai livelli attuali.

Per il resto dell’anno dovremmo assistere a un aumento dell’inflazione negli Stati Uniti per poter ipotizzare un rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve, nonostante nelle ultime settimane diversi suoi rappresentanti abbiano cercato di agitare la carota di fronte ai mercati. Nel complesso, il mercato non è convinto; la probabilità implicita che la Federal Reserve alzerà i tassi il 21 settembre è del 34% soltanto, e del 59,8% che il rialzo sarà a dicembre. I mercati possono sbagliarsi ma sembra che la Federal Reserve in questo momento voglia assistere a un rialzo dell’inflazione e a un calo dei tassi reali prima di convincersi a procedere con la stretta monetaria. Una ragione in più per assumere una posizione al rialzo sui breakeven.

Come gonfiare il prezzo L’inflazione non manca tra i calciatori professionisti: secondo i mezzi di informazione le squadre della Premier League hanno speso più di 1 miliardo di sterline in giocatori durante la recente campagna acquisti. Ci sono stati molti rimpiazzi presso le grandi squadre e durante la stagione continueremo a chiederci se ne è valsa la pena. Mio figlio è vicino al diploma e ha deciso, con mio grande piacere, di studiare economia.

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