La decisione sui tassi in Regno Unito e le implicazioni sui prezzi degli asset

A cura di Stuart Canning, M&G Investments
Per quanto incredibile possa sembrare, l’attenzione sulle scelte politiche si è intensificata. Il mercato ha espresso un voto di sfiducia sul concetto dei tassi d’interesse negativi e sembra sempre meno convinto della capacità della politica monetaria e del QE di incidere sull’economia reale. Emerge anche una crescente propensione a qualcosa di nuovo, almeno nella comunicazione dell’FMI e del G20, ma anche nelle azioni intraprese da Canada e Corea del Sud.
In questo contesto, le mosse decise ieri dalla Banca d’Inghilterra potrebbero essere importanti. Saranno interpretate come una nuova ondata delle solite misure o come parte di una transizione verso politiche davvero capaci di influenzare l’economia reale? Non crediamo che la previsione delle politiche sia una potenziale fonte di guadagni regolari per molti investitori, ma la comprensione del regime adottato su tale fronte è essenziale per qualsiasi valutazione dei prezzi degli asset.
Politiche adottate nel Regno Unito: erano necessarie?
Le misure decise ieri si possono considerare una risposta necessaria a una minaccia rilevante per la crescita britannica. L’indice PMI dei responsabili degli acquisti pubblicato di recente ha evidenziato un declino, spingendo un commentatore di Bloomberg TV a parlare di “gravi problemi”, mentre un think-tank britannico ha invocato una reazione “poderosa” alla debolezza economica. Le aspettative di crescita sono crollate.
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Tuttavia, come hanno sottolineato i colleghi di Bond Vigilantes questa settimana, esiste un rischio non trascurabile che l’azione politica intrapresa sia prematura. Fino al giorno della Brexit, i dati erano buoni, con la disoccupazione ai minimi, una crescita vigorosa dei salari reali e un boom della domanda di consumi.  Forse le autorità stanno sopravvalutando le loro capacità di prevedere l’impatto della Brexit, ignorando ciò che sappiamo già sullo stato dell’economia oggi.
Non sapremo mai rispondere con certezza a queste domande, dato che non possiamo sapere in quale altra direzione avrebbe potuto svilupparsi la storia. Ma forse la cosa più preoccupante è che ci si aspetta troppo dalla politica monetaria.
Politiche adottate in Regno Unito: contano davvero?
Nel 1968 Milton Friedman tenne un discorso che per molti versi sembra più pertinente oggi che all’epoca. Questo è uno dei passaggi chiave:

“…Credo che la potenzialità della politica monetaria di bilanciare altre forze di rilievo ai fini dell’instabilità sia molto più limitata di quanto si pensi comunemente”.
Milton Friedman, 1968.

Questa tesi è parte del motivo per cui in generale riteniamo che i mercati finanziari pongano un’enfasi eccessiva sulle misure politiche e che questo crei opportunità per chi è disposto a guardare oltre. Cosa possiamo davvero aspettarci da una variazione dei tassi d’interesse di 25 punti base, in termini di impatto sugli utili delle società del FTSE 100? E la domanda è ancora più pertinente considerando che i tassi sono già molto bassi.
Non è una teoria nuova che il taglio dei tassi d’interesse abbia perso gradualmente efficacia come stimolo alla crescita. Eric ha scritto l’anno scorso che i tassi bassi avrebbero potuto avere in realtà un effetto opposto a quello desiderato. Mark Carney ha dichiarato nella conferenza stampa di ieri di non essere “un fan” dei tassi negativi, lasciando trapelare una consapevolezza dell’esigenza di politiche diverse.
In questo senso, il taglio dei tassi base e il nuovo programma di QE sono forse misure di contorno, mentre il piatto forte potrebbe essere il nuovo piano di sostegno al credito denominato Term Funding Scheme (TFS). Il TFS rappresenta un tentativo esplicito di garantire che le misure politiche producano effetti concreti per le famiglie e le imprese.
Strumenti nuovi?
La domanda per gli investitori è se questo cambio d’umore si tradurrà in un cambio di comportamento.
Resta da vedere se l’intenzione di fare in modo che i tassi più bassi incidano in misura più concreta avrà effettivamente il risultato di stimolare i prestiti per scopi produttivi, o se invece più semplicemente il vero problema è la scarsa domanda di credito. Ma forse ancora più importante è capire se il governo britannico stia per intervenire laddove la Banca d’Inghilterra non può farlo, ossia spendendo su progetti propri per dare impulso all’attività economica del Regno Unito.
La spesa pubblica è diventata un concetto carico di implicazioni ideologiche. Tuttavia, l’ipotesi che sia uno strumento degno di considerazione sta riscuotendo un sostegno crescente. Il governo ha la possibilità di spendere senza peggiorare la situazione del debito, indubbiamente comune a molti Paesi occidentali, se la spesa riesce effettivamente a stimolare la crescita a lungo termine.
È un’argomentazione considerata sempre più convincente in tutto il mondo. Nel mese di giugno McKinsey ha pubblicato un lavoro in cui ha ribadito la sua teoria secondo cui molte nazioni potrebbero e dovrebbero spendere di più in infrastrutture per sostenere la crescita. Sia Clinton che Trump hanno dichiarato di voler incrementare la spesa per infrastrutture in caso di vittoria alle elezioni presidenziali. In Regno Unito, le parole del Primo ministro e del Ministro delle Finanze appena insediati sono state interpretate come indicative di un allentamento dell’austerità.
A prima vista, sembra piuttosto ovvio. Secondo McKinsey, la spesa per infrastrutture è diminuita, come percentuale del PIL, in 11 Paesi del G20 dai tempi della crisi, come confermano i dati OCSE.
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Questo accade in un momento in cui alcuni dei Paesi che secondo McKinsey dovrebbero spendere di più hanno la possibilità di ottenere prestiti a tassi bassissimi se non addirittura negativi.
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Può apparire quindi poco logico che le autorità puntino su ulteriori riduzioni degli interessi per incoraggiare il settore privato a spendere, quando neanche i tassi negativi hanno convinto i governi a incrementare la spesa.
Prezzi degli asset
L’effettiva adozione di un approccio diverso per stimolare la crescita potrebbe rivoluzionare completamente l’ambiente delle politiche in cui abbiamo vissuto negli ultimi dieci anni e questo, a sua volta, determinerebbe un cambiamento per quanto riguarda le strategie di investimento vincenti e perdenti.
Finora le autorità hanno risposto alla crescita fiacca con tassi sempre più bassi e ulteriori acquisti di obbligazioni. Questa linea di azione ha contribuito alla performance vigorosa dei titoli obbligazionari e degli asset analoghi e influenzato la percezione degli investitori riguardo alle caratteristiche di “beni rifugio” di tali strumenti. Un cambiamento dello scenario politico a questo punto potrebbe innescare anche un cambio di atteggiamento degli investitori nei confronti di queste tipologie di asset. Se dovesse emergere una crescita vigorosa, per qualsiasi motivo, gli asset e le strategie che hanno sofferto nell’ambiente attuale, come quelli orientati al valore, potrebbero cominciare a riaffermarsi.

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