Giappone, crescita bassa e debito alto mettono in dubbio l’Abenomics

A cura di Wings Partners Sim

Il Giappone continua con la sua ondata di stimoli monetari, senza rinunciare ad un incentivo fiscale che porta il passivo del Governo a crescere progressivamente. Il debito totale dello Stato ammonta a due volte e mezzo il prodotto interno lordo annuale, ma anche il settore privato risulta altamente esposto a prestiti: il rapporto complessivo tra debito e PIL nipponico è al 600%. D’altro canto i tassi d’interesse sono tenuti bassi da un lato dal quantitative easing della banca centrale e dall’altro dall’interesse degli investitori che ritengono lo yen e i bond giapponesi come un asset di rifugio.
Ad oggi l’elevata domanda di titoli di Stato non pone alcun il problema, tuttavia la situazione è chiaramente insostenibile e le difficoltà si manifesteranno nel momento in cui gli investitori non saranno più disposti a prestare capitali e il Paese non sarà più in grado di espandere ulteriormente il debito complessivo.

In generale la prospettiva è quella di una fase di alta inflazione o di un aumento del tasso di risparmio dei cittadini nipponici, entrambe le ipotesi avrebbero un impatto negativo sulla crescita del futuro, come evidenziano gli analisti di Pimco. Oltre ai dubbi sulla solvibilità, una disaffezione degli investitori per i bond locali potrebbe portare ad una fuga di capitali, con un indebolimento dello yen che avrebbe a sua volta effetti di iperinflazione, potenzialmente costringendo la Bank of Japan ad interrompere il QE, che accentuerebbe la problematica della salita degli interessi, generando inoltre una perdita in conto capitale per i bonds detenuti nel proprio portafoglio. Alcuni sostengono addirittura che la BoJ potrebbe addirittura condonare il debito del Governo detenuto, per renderlo di una dimensione “sostenibile”.

Al momento la crescita del Giappone resta bassa, così come l’inflazione, contenute anche da uno yen forte, avendo guadagnato il 17% contro il dollaro rispetto ad inizio anno, impattando negativamente sui profitti delle compagnie esportatrici. In questo contesto l’aumento dell’IVA, dall’8% al 10% previsto per il 2019, rischia di slittare nuovamente, e con esso la riduzione del deficit governativo, incrementando potenzialmente le problematiche del futuro.

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