Ecco perché gli investitori scelgono sempre più l’impacting

A cura della Redazione di Borsa del Credito
Una mamma a basso reddito di New York si trasferisce nel suo nuovo appartamento in città: lo deve ai finanziamenti erogati dal New York City Acquisition Fund, fondato nel 2004 per facilitare la costruzione di 10mila case economiche in una città dove l’abitazione costa sempre di più. Nella Tanzania rurale, uno studente legge di sera grazie a una lampadina alimentata da un pannello solare: lo ha comprato la sua famiglia a credito da un distributore locale, grazie a un investimento di un fondo no-profit. In Cambogia una piccola azienda sta crescendo grazie al microcredito di una banca che è stata finanziata da un fondo di Morgan Stanley e Blue Orchard, un asset manager svizzero che mette in comunicazione investitori istituzionali, come i fondi pensioni, che vogliono fare investimenti etici e il micro credito.
Tre esempi – molto diversi – di un fenomeno nuovo che nel mondo della finanza sta crescendo a vista d’occhio. E promette di diventare sempre più core nelle gestioni di portafoglio: agli investitori non interessa più solo il profitto ma anche il miglioramento del pianeta. Una derivazione di quella Felicità Interna Lorda che dovrà sostituire l’idea che il solo Prodotto Interno Lordo sia una misura efficace della ricchezza.
Si chiama Impact investing, secondo la locuzione coniata nel 2007 dalla casa di affari JpMorgan Chase e dal Rockfeller Institute. Si tratta, in buona sostanza, dell’investimento in aziende, organizzazioni e fondi con la precisa intenzione di generare un impatto sociale e/o ambientale, oltre che il ritorno finanziario. Un mercato che ha la potenzialità di sbloccare significative somme di denaro privato da affiancare alle risorse pubbliche e filantropiche per affrontare le sfide globali sempre più pressanti. Come quelle di avere un’agricoltura sostenibile; di approvvigionarsi da fonti di energia rinnovabile; di consentire l’accesso generale a servizi di base come casa, salute e istruzione; di finanziare piccoli business per cui i canali tradizionali del credito non hanno orecchi. Organizzazioni ad hoc come la Global Impact Investing Network monitorano il fenomeno, mentre l’interesse intorno a questa filosofia di investimento cresce sempre più.
A interessarsene sono soprattutto i Millenials, coloro che detteranno legge nei mercati del prossimo futuro. Non solo. Secondo l’ultimo World Wealth Report di CapGemini, i ricchi del mondo con un patrimonio di almeno un milione di euro si rivolgono sempre più a investitori professionali con una specifica competenza nell’impact investing. Globalmente, il 31% dei portafogli di questi paperoni già si basa sul concetto di “guadagno sociale” e circa la metà di essi vuole aumentare la quota di impacting nei prossimi due anni. Se si guarda agli under 40 la percentuale di investitori etici diventa del 40% e quella di chi vuole aumentare la sua quota in questo ambito arriva al 64%. Si tratta di un mercato che corre ma che, essendo appena nato, globalmente è  ancora molto piccolo. Lo stesso Giin stima che valga appena 60 miliardi di dollari – su asset under management totali di 500 trilioni. Ma, come precisa il Monitor Institute di Deloitte, se solo l’1% di questo patrimonio fosse investito in modo etico, il valore del comparto salirebbe rapidamente a 500 miliardi. Il che lascerebbe ancora ampio spazio di crescita. In Italia, secondo le stime più accreditate, l’impacting varrà tra 1 e 4,8 miliardi nel 2017 e tra 4,2 e 8,4 miliardi nel 2020.
La parte del leone degli investimenti a impatto – in Italia e nel mondo – la fa oggi la microfinanza che rappresenta i due terzi del totale. La microfinanza è un’invenzione del bengalese economista e premio Nobel della pace Muhammad Yunus, che la concepì come una forma di finanziamento dei poveri, che quindi prescindesse da qualsiasi valutazione del merito di credito, ma che richiede comunque la figura di un garante. Una teoria che è stata poi messa in pratica dalla Grameen Bank, la “banca del villaggio”, che è persino in attivo: il 98% dei prestiti erogati viene restituito con un tasso che oggi è dell’11% – inferiore a quello governativo, viene precisato dall’istituto.
Il microcredito si è evoluto e ha assunto forme diverse nel tempo, dal crowfunding al marketplace lending, che ne sono derivazioni più sofisticate e moderne. Il concetto di base è simile: ovvero finanziarie piccole cifre all’economia reale, a microimprese che non avrebbero altrimenti accesso alle forme tradizionali di credito (come quello bancario) né alle alternative, come obbligazioni o quotazione in Borsa, non sostenibili economicamente senza massa critica. In comune queste forme di microcredito hanno anche la caratteristica di impattare sulla società: un impatto facilmente misurabile attraverso i numeri delle aziende finanziate, da quelli di bilancio a quelli delle nuove assunzioni. Il marketplace lending finanzia l’economia reale e garantisce agli investitori un prodotto di investimento di elevata qualità: i borrower sono altamente solvibili, in quanto il merito di credito viene valutato in base a parametri quantitativi e qualitativi. Il rischio è dunque controllato e, in caso di default, ci si avvale anche dell’intervento del fondo di garanzia che rimborsa il prestatore.

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