Banche Centrali al limite, si torna ai fondamentali

A cura di Brian Smith, Senior Vice President US Fixed Income di TCW

A partire dalla crisi finanziaria, i fondamentali economici non sono più stati il driver primario dei prezzi degli asset. Sono state le azioni delle Banche Centrali a guidare le valutazioni degli asset finanziari. Spingendo i tassi a zero, se non in territorio negativo, ed espandendo in modo massiccio i loro bilanci, le Banche Centrali globali hanno avuto successo nel gonfiare i prezzi azionari, comprimere gli spread sul credito e ripristinare i massimi pre-crisi nel mercato immobiliare.

I fondamentali non hanno tenuto il ritmo di queste mosse. La crescita economica resta stagnante, i profitti societari sono in calo e sui consumatori pesa la bassa crescita salariale. Questa situazione ha creato molte tensioni in molte imprese e ha provocato un’ondata di populismo e risentimento verso gli establishment esistenti.

Perché i fondamentali sono passati in secondo piano? Anzitutto perché le Banche Centrali hanno convinto gli investitori che i fondamentali non contano, reagendo in modo aggressivo a qualsiasi notizia economica negativa. Gli investitori, di conseguenza, si sono abituati ad aspettarsi una cura ancora prima di ammalarsi. Ora però, vediamo segnali crescenti che le Banche Centrali dei principali mercati sviluppati non godono più del sostegno degli investitori.

Negli Stati Uniti, la Federal Reserve continua a trovare motivi per non normalizzare i tassi. Ciò implica che la Fed ha molto poco spazio per allentare ulteriormente la politica monetaria, nel caso in cui l’economia dovesse rallentare. Janet Yellen si è detta molto scettica nei confronti dei tassi negativi. Inoltre la volontà di attuare altri QE in caso di necessità sembra limitata.

In Giappone, la Bank of Japan ha annunciato di porsi come obiettivo un target sul rendimento dei bond decennali. Questa mossa ha come vero scopo quello di rendere più ripida la curva dei rendimenti e favorire così i margini netti di interesse delle banche nipponiche. Se il rendimento del decennale governativo dovesse portarsi a -0,30%, l’unico modo per rendere più ripida la curva sarebbe quello di vendere i titoli a 10 anni, il che equivarrebbe a un inasprimento monetario che probabilmente rafforzerebbe lo yen, ottenendo l’opposto rispetto a quanto sperato. La BoJ non appare come un player assertivo e in controllo, quanto più come uno speranzoso e che si muove solo in risposta agli avvenimenti.

In Europa, la Banca Centrale Europea non ha prolungato il QE nell’ultimo meeting. Il mercato se lo aspetta prima o poi, ma iniziano a comparire delle crepe nelle fondamenta del QE. La riluttanza nel posticipare la scadenza mette in evidenza la messa in dubbio dell’efficacia del programma e la crescente consapevolezza verso gli effetti indesiderati negativi sulla profittabilità delle banche. E quando le banche faticano a sopravvivere, diminuiscono le concessioni di credito su cui si fa affidamento per l’espansione dell’economia. Ciò crea un circolo vizioso difficile da rompere.

In Gran Bretagna, la Bank of England ha tagliato i tassi, aumentato gli acquisti di asset e istituito un programma di prestito, oltre ad aver dichiarato di accettare un’impennata dell’inflazione nel breve termine, per compensare la debolezza economica attesa dopo il voto di giugno sulla Brexit. Il governatore Mark Carney ha però in seguito affermato che l’economia sta resistendo meglio di quanto temuto. Il mercato ha letto questa affermazione come un’ammissione del venir meno del bisogno di allentamenti monetari andando avanti. Ciò conferma che si è fatto troppo affidamento sulle politiche monetarie e che alla fine queste ultime hanno raggiunto il limite.

Sono in molti ad augurarsi che le politiche monetarie passino il testimone agli stimoli fiscali, ma non è chiaro quanto questi possano risultare efficaci dato il carico elevato di debito a livello globale. Abbiamo atteso per anni che i fondamentali migliorassero a sufficienza da raggiungere le valutazioni, ma ora che le Banche Centrali hanno raggiunto il limite, è più probabile che siano le valutazioni a tornare indietro a livello dei fondamentali. Non è chiaro quale tipo di shock possa spingere l’economia globale in recessione, ma è certo che, qualora ciò dovesse succedere, scatenerebbe una reazione negativa degli asset di mercato, in quanto gli investitori si renderebbero conto che le Banche Centrali non hanno più sostegno.

Posizionarsi in vista di questa futura probabilità di calo delle valutazioni al livello dei fondamentali vuol dire favorire gli asset pieghevoli (ad es. il credito IG, i CMBS e gli ABS con rating AAA) e quelli sicuri (ad es. titoli di Stato, MBS di agenzie governative) nella composizione del portafoglio. Per quanto riguarda gli asset rompibili (ad es. bond High Yield, alcuni asset nei Mercati Emergenti), meglio attuare in maniera molto graduale una strategia di investimento Dollar-Cost Average (DCA), via via che tali asset si riprezzano in modo tale da rispecchiare i veri fondamentali.

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