Petrolio, l’OPEC cambia tattica, chi ci guadagnerà?

A cura di Valentijn van Nieuwenhuijzen Head of Multi Asset di NN Investment Partners

Gli sforzi dell’OPEC per gestire il flusso di greggio che ha fatto crollare i prezzi di più della metà negli ultimi due anni hanno avuto una svolta sorprendente il mese scorso, quando i membri del cartello hanno raggiunto un accordo sul taglio della produzione per la prima volta in otto anni. Il piano dell’OPEC punta a spingere in alto i prezzi riducendo l’output e si è ulteriormente rafforzato settimana scorsa, quando le autorità russe hanno detto che il Paese è disposto a raggiungere un accordo sull’offerta, limitando la propria produzione.

L’accordo dell’OPEC prevede di limitare la produzione riducendola a una forbice che andrebbe dai 32,5 ai 33 milioni di barili al giorno, ma i dettagli devono ancora essere concordati nel meeting di Vienna del prossimo 30 novembre. Una forbice di questo tipo si tradurrebbe in una riduzione della produzione che oscillerebbe fra i 200.000 e i 700.000 barili al giorno, considerando le stime di output odierne. Come sempre, quando si tratta dell’OPEC, l’applicazione disciplinata dell’accordo sarà la sfida maggiore. L’organizzazione ha un track record decennale in cui ha oltrepassato i limiti che si era posta e la sua credibilità dovrà essere provata ancora una volta.

Eppure, anche solo per il fatto che i membri dell’OPEC sono riusciti a raggiungere un accordo, è stato mandato un segnale importante al resto del mondo. Questo messaggio sembra dire che i vincoli di bilancio stanno finalmente costringendo i produttori di petrolio a trovare un compromesso pur di stabilizzare il mercato, nonostante questo implichi delle sfide. Il fatto che il maggior produttore non appartenente all’OPEC, la Russia, che ancora produce a livelli record (più di 11 milioni di barili al giorno), voglia partecipare, dà particolare credibilità a questo messaggio.

L’OPEC è stata forzata ad abbandonare la strategia che ha perseguito con successo a partire dal novembre del 2014 in risposta alla comparsa di nuova offerta rappresentata principalmente dai produttori di shale-oil statunitensi. Invece che ridurre la propria produzione per sostenere i prezzi, l’OPEC ha mantenuto la produzione e ha aumentato la propria quota di mercato. Il crollo dei prezzi che ne è risultato ha spinto molti produttori americani fuori dal mercato, ma ha portato anche a un grande calo delle entrate e un deficit di budget per molti dei paesi dell’OPEC.

Il cambiamento di tattica adottato di recente, però, non è privo di rischi. Il sostegno ai prezzi del petrolio potrebbe rappresentare un incentivo affinché i produttori di shale-oil americani tornino prima di quanto si pensi. Gli impianti di trivellazione americani sono già aumentati del 30% da maggio e, in tale contesto di rialzo dei prezzi, questo processo potrà giovare di una nuova spinta, che permetterebbe ai produttori americani di riconquistare quote di mercato cedute all’OPEC. Non è ancora chiaro se l’Arabia Saudita, il più grande produttore dell’OPEC e, di fatto, il paese leader dell’organizzazione, sia davvero pronto a permettere tutto ciò. L’equilibrio del mercato potrebbe quindi rimanere incerto ancora per un po’. L’OPEC dovrà agire con prudenza per evitare di perdere tutte le quote di mercato guadagnate negli ultimi due anni.

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