Usa vs Ue, dove soffierà il vento?

A cura di Olivier Arpin e Patrice Gautry di Ubp

Otto anni dopo l’inizio della crisi finanziaria e a cinque anni di distanza da quando la crisi del debito dell’Eurozona ha raggiunto il picco, l’attività economica sta di nuovo crescendo – anche se lentamente – sia in Europa, sia negli Stati Uniti. A fine del 2015, il PIL pro capite dell’Eurozona era ancora sotto dell’1% rispetto al picco del 2007, mentre quello degli Stati Uniti era più elevato di un modesto 3%. Entrambe le aree geografiche ci hanno impiegato quindi del tempo per riprendersi. Al 10,1%, il tasso di disoccupazione dell’area Euro resta più elevato di quanto non sia mai stato tra il 1998 e il 2009, mentre Usa e Regno Unito sono vicini alla piena occupazione. Tali differenze in parte esistono perché gli Usa sono stati molto rapidi nell’adottare misure di politica monetaria e fiscale espansive, al contrario di quanto accaduto in Europa, dove la Bce ha assunto un approccio eccessivamente cauto e una serie di misure di austerità. Tuttavia, le sfide che Usa ed Europa devono affrontare sono molto simili.

La crescita è stata guidata dalla spesa dei consumatori in entrambi i lati dell’Atlantico, anche se la domanda è stata più forte negli Stati Uniti e nel Regno Unito, che spiega gran parte delle differenze nei tassi di disoccupazione e nell’inflazione (2,3% negli USA, 1,3% nel Regno Unito e 0,8% nell’Eurozona). Gli investimenti delle imprese –  altro driver tradizionale della crescita economica – sono rimasti deboli. I bassi investimenti hanno ridotto la produttività e le conseguenze che ne derivano già si stanno sentendo. Una delle sfide principali di Europa e Stati Uniti sarà quella di adottare le misure necessarie per dare una spinta alla produttività: questo è l’unico modo per aumentare il potenziale di crescita in un momento in cui la forza lavoro crescerà inevitabilmente a un ritmo più lento.

Prevedibilmente, la crescita della produttività è stata un po’ più elevata negli Stati Uniti che in Europa negli ultimi dieci anni, ma ha rallentato in entrambe le regioni in confronto agli ultimi dieci anni. Ampi passaggi delle analisi economiche evidenziano come l’innovazione sia il driver principale della crescita della produttività e il contesto generale – in termini di normative, libera circolazione dei capitali e portata del mercato interno – continuerà per molto tempo a favorire maggiormente l’innovazione negli Stati Uniti piuttosto che in Europa. Tuttavia, l’innovazione in Europa sarà supportata dalle riforme strutturali e dalle iniziative di governo come il “piano di Junker”. Tassi d’interesse molto bassi stanno dando ai governi la possibilità di incoraggiare investimenti più elevati, che è ciò che entrambi i candidati alle presidenziali statunitensi vorrebbero vedere.

La crescita degli investimenti ha rallentato negli ultimi tre trimestri, ma non c’è alcun bisogno di preoccuparsi. Il rallentamento è principalmente dovuto al crollo della spesa nel settore petrolifero, in risposta ai prezzi più bassi del petrolio che sono anche alla base del calo degli utili societari aggregati. Un prezzo del petrolio più stabile dovrebbe portare a un miglioramento di questi due principali indicatori economici degli Stati Uniti. Nell’Eurozona, l’aumento degli investimenti nel settore privato nel corso degli ultimi trimestri è incoraggiante, e il voto sulla Brexit non sembra ancora aver spinto le aziende ad assumere un approccio più difensivo.

Nel contesto attuale di crescita debole, la fiducia nella stabilità delle istituzioni è più essenziale che mai per eventuali investitori. Dobbiamo sperare che le elezioni in arrivo negli Stati Uniti e in UE non alterino il trend attuale, che è positivo ma fragile.

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