Commodity in pausa, dollaro in rialzo

A cura di Ole Hansen, Head of Commodity Strategy di Saxo Bank
Dopo quattro settimane consecutive, il rally delle commodities ha segnato uno stop mentre il dollaro continua a rafforzarsi.  L’euro, valuta più attivamente scambiata sui mercati di tutto il mondo contro il dollaro, è scesa sotto €1.09 toccando il suo livello più basso da marzo. Un dollaro così forte si era visto solo contro un paniere di valute asiatiche.
Le aspettative di un aumento dei tassi in dicembre da parte della Fed su aspettative di crescita dell’inflazione (la probabilità è salita al 68% dal 12% di luglio), combinate con i continui stimoli della Banca Centrale Europea e della Bank of Japan, hanno sostenuto il recente rafforzamento del dollaro. Lo yuan cinese, intanto, ha toccato i minimi da sei anni a questa parte, raccogliendo i segnali che la Cina sia preparata a lasciar ulteriormente indebolire la propria valuta in risposta a un capitombolo dell’export.
Il Bloomberg commodity index, che traccia un paniere delle principali materie prime, è sceso dello 0.5%, pari all’incirca alla crescita goduta dal dollaro rispetto ad altre valute. Un’ulteriore debolezza del rame HG sotto $2.085 confermerebbe una interruzione dal triangolo simmetrico che si è sviluppato nei prezzi del rame in tutto il 2016.
E’ il limite più basso di questo modello che si sta attualmente testando e una rottura potrebbe vedere il target del rame HG raggiungere il punto di minimo del 2016 a $1.97. La recente debolezza accade in risposta al rialzo del dollaro e alla debolezza della produzione industriale e dell’import dalla Cina.
Il settore dell’energia è stato spinto al ribasso dai prezzi in discesa del gas naturale mentre si è interrotto il rally durato un mese del petrolio. Il mercato sta ora premiando l’esito positivo dell’iniziativa Opec di tagliare la produzione al fine di stabilizzare i prezzi. Il dettaglio di chi e di quanto si dovrà tagliare la produzione verranno annunciati alla prossima riunione Opec del 30 novembre.
I metalli preziosi hanno continuato a stabilizzarsi a seguito delle vendite generalizzate di inizio ottobre con l’oro scambiato lateralmente per la seconda settimana, da quando la pressione di pesanti vendite da parte dei fondi ha iniziato ad affievolirsi. L’impatto positivo della crescita della domanda fisica dalla Cina e dall’India, così come il proseguimento dell’accumulo di partecipazioni attraverso la Borsa, ha continuato ad essere offuscato dalla crescita del dollaro.
Nel mese scorso, gli hedge funds hanno mantenuto una esposizione sulle commodities relativamente stabile con un grande aumento dell’esposizione sul petrolio e una copertura di breve nei cereali, controbilanciata da una forte riduzione nell’esposizione sui metalli, non da ultimo l’oro.
L’oro si è stabilizzato ma il dollaro lancia la sfida. I fondi sono stati grandi venditori di metalli preziosi nelle passate settimane grazie al rinforzo del dollaro, e i principali livelli tecnici sono stati infranti. Gli hedge fund hanno abbandonato le scommesse sull’oro rialzista ad un ritmo record nelle ultime due scorse settimane. Da quando il 5 luglio era stata raggiunta la quantità record di 287.000 le posizioni lunghe-nette hanno visto una riduzione del 46% verso i minimi da marzo.
Una delle ragioni per le quali i metalli preziosi hanno trovato supporto, nonostante la recente forza del dollaro, si può trovare nelle aspettative di inflazione futura. I rendimenti reali americani sono ricaduti verso lo zero da quando le aspettative di una ripresa dell’inflazione hanno surclassato la recente crescita nei rendimenti obbligazionari.
In termini di oro fisico l’India, il più grande consumatore mondiale, in ottobre è pronta a raggiungere il livello più alto di importazioni da 9 mesi a questa parte, prima della stagione dei festival. La domanda dalla Cina, il secondo più grande mercato mondiale, è stata particolarmente sostenuta in settembre, con una crescita del 64% anno su anno.
I gestori sono stati forti venditori di oro nelle scorse settimane, ripetendo ciò che era accaduto in maggio quando le vendite fecero scendere il prezzo sotto $100. In questa debolezza, sia in maggio sia recentemente, abbiamo visto una continua domanda da parte degli investitori attraverso prodotti di Borsa. Questo è stato interpretato come un segnale che in una prospettiva di lungo termine i prezzi dei metalli rimarranno intatti nonostante le crisi di breve.
Investimenti in oro. L’oro non è ancora fuori pericolo, con il rischio di un ulteriore apprezzamento del dollaro in agguato. La performance della scorsa settimana, tuttavia, ci ha dato i primi segnali che il mercato è di nuovo più ricettivo a notizie positive. Per ora, il mercato rimane bloccato in un range compreso tra $1,245 e $1,275 e ci vorrà un break sopra $1,280 affinché l’outlook tecnico diventi più positivo.
Operatori e investitori del petrolio hanno trascorso le settimane seguenti l’annuncio del taglio della produzione da parte dell’Opec cercando di valutarne la portata. Di conseguenza, il greggio WTI si è unito al Brent nel toccare livelli mai visti lo scorso anno. E ad oltre un mese prima che l’Opec annunci i dettagli dell’operazione rispetto a chi, quanto e quando, il mercato si è attestato su posizioni attendiste.
Guardando l’accumulo speculativo delle posizioni di lungo non vi è dubbio che il mercato si aspetti che venga elaborato un accordo a supporto dei prezzi. I gestori hanno incrementato le proprie posizioni rialziste a toccare quota 689.000 nella settimana dell’11 ottobre. In sole 4 settimane, le posizioni di lungo-netto sono aumentate del 53% e questo ha innalzato rischio che il mercato di nuovo preceda sé stesso. Data la speculazione unilaterale in prezzi più alti, un fallimento nell’effettuare il taglio della produzione come annunciato porta con sé il rischio di innescare una correzione di $5-$10.
Mentre il mercato si è predisposto all’accordo, svariati produttori si comportano come se non ci dovessero essere tagli della produzione, focalizzandosi invece sul taglio dei prezzi per mantenere la competitività e finanche parlando della capacità di incrementare ulteriormente la produzione.
Il mercato del greggio ha mostrato grande volatilità e oscillazioni selvagge nei mesi recenti. Infatti, nelle ultime nove settimane, sono avvenute sei operazioni di ammontare superiore ai 100,000 lotti, quattro delle quali vedevano fondi attivi nel WTI e Brent essere posizionati con tali quantità sin dal 2011.
La volatilità del mercato del petrolio è destinata a non sparire presto e, mentre i principali produttori e compagnie potrebbero aver ragione nella loro convinzione che il nuovo range di riferimento sia $50-$60, lo spazio di errore si è attualmente molto ridotto. Su queste basi, crediamo che la remunerazione del rischio prima e soprattutto dopo il meeting di novembre sia orientata al ribasso.
Questo nella convinzione che l’accordo per il taglio della produzione avrà successo solo se verrà seguito da una chiara indicazione sulla sua vigilanza. E questo in considerazione di quanto scarso sia il track record dell’Opec nell’aderire a limiti di produzione previamente concordati.
Il greggio Brent ha trascorso le due passate settimane consolidandosi sopra $51/b, livello regolarmente toccato in questo periodo. Una rottura inferiore comporterebbe il rischio di una correzione al supporto della linea di trend a $47.50. Il rialzo è attualmente limitato dai doppi top del Q3 2015 a $54.30/b.

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