Perchè la ripresa italiana è così lenta?

a cura di Tristan Perrier, Strategy and Economic Research Amundi AM

Nonostante nel 2015 il PIL reale della zona euro sia tornato al livello pre-crisi, risalente al 1° trimestre 2008, il ritardo della ripresa in Italia è evidente: il PIL in Italia ha recuperato solo in minima parte quanto perso dal 2008 (grafico 1). Oggi è pressoché simile al livello di inizio millennio. Questa stagnazione è in contrasto con la crescita pari a circa il 20%, a partire dal 2000, per Francia e Germania, e pari a circa il 26% per Spagna, che è stata duramente colpita dalla crisi degli ultimi anni, ma che, a differenza dell’Italia, è in forte ripresa dal 2013.

Due colpevoli ben identificabili: le banche e la classe politica
Emergono immediatamente due fattori che spiegano la sottoperformance negli ultimi 3 anni, se non altro perché permettono di distinguere chiaramente la situazione dell’Italia da quella della Spagna:
• Il ritardo del sistema bancario nel ritornare all’operatività, in particolare perché l’Italia, a differenza degli altri paesi cosiddetti «periferici» non ha richiesto gli aiuti internazionali, il che ha fatto sì che non ci fosse quella pressione così intensa da parte delle istituzioni europee e internazionali per ristrutturare il sistema bancario. In effetti, anche se vi è stato un notevole miglioramento nell’offerta di credito (i tassi di interesse sui prestiti alle piccole e medie imprese sono diminuiti in modo sostanziale, mentre il Bank Lending Survey trimestrale della BCE mostra un calo regolare del tasso di respingimento delle richieste di prestito, almeno fino al Q2 2016) , lo stress causato dalla situazione del settore bancario sta pesando sulla fiducia generale del settore.
• L’incertezza politica e la fragilità del governo, i problemi ricorrenti del paese che si sono protratti negli ultimi trimestri, e che hanno molto probabilmente giocato negativamente sulla fiducia e la ripresa degli investimenti (è da considerare che il governo spagnolo ha potuto contare su una maggioranza di governo solida nel periodo critico tra il 2012 e 2015, anno delle elezioni).
Questi due freni continuano ad esercitare pressione; ciò è chiaramente evidente nell’attuale contesto, in cui l’incertezza dovuta all’esito del referendum costituzionale (per lo più sul taglio dei poteri del Senato) previsto per il 4 dicembre, e le procedure in corso per la ristrutturazione delle banche italiane più deboli, continuano ad alimentarsi a vicenda.

I tassi bassi hanno giocato a sfavore delle famiglie italiane
In cima a tutto ciò, nonostante una generale revisione favorevole, l’effetto sull’economia italiana dell’allentamento monetario della BCE è stato probabilmente meno unanimemente positivo rispetto all’impatto che lo stesso ha avuto sulle altre economie periferiche della zona euro, per due motivi: (1) il settore privato italiano (imprese e famiglie) è indebitato molto meno rispetto a quello di altri paesi periferici, pertanto il calo dei tassi di interesse non ha avuto lo stesso effetto straordinario in termini di riduzione dei vincoli di liquidità esercitati dal livello del debito. (2) al contrario, se sono sicuramente vantaggiosi per le finanze pubbliche, i tassi di interesse più bassi trascinano verso il basso il margine di interesse per le famiglie che detengono, in media, una buona quantità di prodotti di risparmio.
In termini di cifre, tra il 3° trimestre 2008 e il 4° trimestre 2015, la diminuzione dei rendimenti per le famiglie italiane è stata quasi pari al 5% del loro reddito disponibile lordo, mentre la riduzione dei pagamenti in termini di tassi di interesse ha permesso di salvaguardarne solo il 2%; lo stesso effetto netto è stato nel complesso bilanciato in Germania e Francia e molto positivo in Spagna (si veda il Bollettino economico della BCE, N° 4/2016, giugno 2016).

I mali dell’economia italiana sono molto più profondi e radicati
Nonostante tutto, sarebbe altamente riduttivo dare la colpa della maggior parte del ritardo della crescita italiana alle vicende politiche e bancarie degli ultimi anni, o ad un minore impatto della politica monetaria. La crisi italiana è diversa da quella degli altri paesi periferici ed è dovuta alle difficoltà di lungo termine.Infatti, mentre colpisce la debolezza del rimbalzo ciclico dalla fine del 2012, la sottoperformance economica del Paese risale a ben prima della crisi (crescita media annua intorno all’1,5% per il periodo 1990-2007, contro il 2% di Francia e Germania).
Da dove deriva la sottoperformance di lungo termine? Gli studi sul tema non mancano: per anni, le istituzioni europee hanno instancabilmente sottolineato molte disfunzioni sia nel settore pubblico che in quello privato. I temi più ricorrenti si intrecciano: la mancanza di trasparenza, la mancanza di concorrenza, e molteplici resistenze del mercato del lavoro così come del mercato dei beni e dei servizi.Le principali conseguenze di questi problemi si possono identificare in produttività stagnante rispetto a quella di paesi comparabili, e meccanismi di determinazione dei salari e dei prezzi carenti, con conseguente perdita di competitività esterna, quando l’adesione all’euro non offre più alcuna possibilità di svalutazione.
La potenziale crescita italiana, che, oltre a questi fattori, è molto penalizzata da una debole crescita demografica, che attualmente è praticamente considerata nulla dalla Commissione europea (0,1% nel 2017, contro lo 0,7% per la Spagna, l’1,1% per la Francia e l’1,6% per la Germania), che ha anche rivisto notevolmente al ribasso il dato: in altre parole, l’attuale quasi-surplus, lungi dall’essere una fase di transizione spiacevole, sarebbe più vicino a una nuova normalità.
Bisogna anche ricordare, fra le altre cose, che questa prospettiva di stagnazione virtuale pone anche il problema della sostenibilità dell’ingente livello di debito pubblico ereditato dal passato (debito pubblico oltre il 130% del PIL, un livello ancora in crescita nonostante si sia generato avanzo primario ogni anno per decenni), e quindi della dipendenza del Paese riguardo l’azione della BCE per preservare la fiducia dei mercati.

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