Exane: quali asset class privilegiare nell’attuale contesto di mercato?

A cura di Exane Derivatives

Reflazione, steepening e rotazione
Il 2016 era iniziato con una forte avversione al rischio: timori relativi ad un hard landing in Cina, timori di un default a catena nel settore energetico, timori relativi a problemi bancari in Europa… Col senno di poi, avviandoci alla fine dell’anno, bisogna constatare che questi timori si sono rivelati eccessivi. Da diverse settimane, si osserva un movimento di reflazione, in particolare in Europa. L’inflazione attesa è stata rivista al rialzo e i tassi a lungo termine dei paesi core della zona Euro hanno registrato un rialzo, determinando una rotazione dei portafogli. Gli investitori internazionali dovrebbero smettere di alleggerire il peso dei titoli europei in virtù del loro momentum positivo reso possibile dalla ripresa delle valorizzazione dei settori Financials e Consumer Discretionary. Il rischio di duration dovrebbe, inoltre, determinare un nuova allocazione anche nel comparto obbligazionario a favore dei titoli High Yield vs Investment Grade e dei titoli finanziari vs corporate. Infine, le anticipazioni di un rialzo dei tassi da parte della Fed a dicembre dovrebbero continuare a sostenere il dollaro: l’apprezzamento della valuta americana riduce la performance potenziale dei titoli rischiosi americani e potrebbe causare un aumento della volatilità sulla maggior parte delle asset class dei mercati emergenti.

La tematica della reflazione comporterà numerose rotazioni sui mercati: le azioni europee beneficiano di un momentum positivo grazie al recupero della valorizzazione dei titoli Financial e Consumer Discretionary; la rotazione di portafoglio potrebbe interessare anche il mercato obbligazionario per via del rischio di duration, favorendo i titoli HY rispetto all’IG e le obbligazioni finanziarie rispetto a quelle corporate; il dollaro è sostenuto dalle attese di un secondo rialzo dei tassi da parte della Fed, evento che limita il potenziale di performance degli asset rischiosi americani e potrebbe determinare un ritorno della volatilità sulle asset class emergenti. Il debito dei mercati emergenti in hard currency dovrebbe tuttavia mostrare una buona resistenza, grazie ai numerosi flussi di cassa in entrata registrati dall’estate. Infine, la valorizzazione relativa dei titoli giapponesi offre un potenziale rimbalzo sul piano teorico; tuttavia, quest’ultimo è alterato dal fortissimo apprezzamento dello Yen dall’inizio dell’anno.

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Banche centrali: da un obiettivo di stimolo a una strategia di stabilizzazione
I programmi di QE, più ammortizzatori di shock che driver di crescita Nel 2016, la crescita mondiale ha affrontato diversi stress test: speculazioni su un hard landing in Cina, fallimento a catena di alcuni produttori di materie prime, inefficienza delle politiche monetarie, conseguenze estremamente negative del Brexit (si veda il grafico 1)… Sebbene non sia stata dinamica, va evidenziato che la crescita mondiale si è dimostrata resistente agli shock. Nonostante tutti i timori appena elencati, attualmente la volatilità annua della crescita dei paesi del G20 è circa pari a 0 (si veda il grafico 2). Questa resistenza è una conseguenza diretta dei programmi di QE. Aumentando la pressione sugli spread di credito, i QE hanno contenuto il peggioramento delle condizioni di finanziamento delle imprese attraverso i mercati obbligazionari. Per tal motivo, i QE, nonostante siano stati deludenti driver di crescita e inflazione, hanno giocato un ruolo chiave nell’assorbire gli shock.

Le banche centrali preferiscono un «approccio assicurativo» Le principali banche centrali sembrano condividere sempre di più questa idea, privilegiando ormai un «approccio assicurativo» rispetto allo stimolo dell’attività. A settembre, la BoJ ha preferito adottare una strategia di yield target invece di aumentare ulteriormente la size del QQE. La BCE dovrebbe annunciare un prolungamento del QE a dicembre 2016, senza però aumentare l’ammontare degli acquisti. A nostro parere, nel corso del primo semestre del 2017, la BCE potrebbe diventare più flessibile e acquistare dei titoli di Stato con l’obiettivo di stroncare i problemi di liquidità di alcuni paesi (si prega di fare riferimento alla sezione tassi). Sebbene la Fed dovesse aumentare i tassi a dicembre, J. Yellen ha comunque sottolineato a Jackson Hole che la banca centrale americana resterà accomodante in questa fase del ciclo. La Fed ha, infatti, indicato che il nuovo livello di equilibrio di lungo termine dei tassi Fed Funds dovrebbe essere circa pari al 2%, considerata la debolezza della produttività e della crescita reale. La Fed privilegia quindi un approccio «risk management», dato che una sua stretta monetaria provocherebbe un apprezzamento del dollaro troppo destabilizzante per i paesi emergenti. Dato che l’attuale obiettivo della politica monetaria americana è la stabilizzazione congiunturale, potrebbe risultare difficile per la Fed utilizzare gli stessi strumenti in occasione della prossima recessione (dato che il margine di manovra recuperato dall’Istituto è ridotto). Un certo numero di membri dell’FOMC ha dichiarato che si potrebbe optare per l’arma «fiscale», che rimanda alle politiche di helicopter money.

Si stima un recupero delle valorizzazioni dei titoli europei In termini di asset allocation, l’«approccio assicurativo» delle banche centrali limita la volatilità delle valute evitando una forte correzione degli asset rischiosi americani (correzione che dovrebbe aver luogo qualora il dollaro si apprezzasse significativamente). Tuttavia, a nostro parere tali asset rimangono relativamente cari e raccomandiamo di sotto-ponderarli nei portafogli. Il rialzo dei tassi della Fed, che secondo noi dovrebbe avvenire a dicembre, potrebbe determinare un rialzo della volatilità dei mercati emergenti nel breve termine. Tuttavia, il debito emergente denominato in hard currency dovrebbe ben resistere in assenza di movimenti significativi del dollaro. In Europa, la politica monetaria più conservatrice della BCE e il rimbalzo dell’inflazione provocato dagli effetti base sulla componente energetica dovrebbe far aumentare lo steepening della curva dei tassi dei paesi core. I settori Banks e Consumer Discretionary dovrebbero beneficare di questo contesto. Il recupero delle valorizzazione atteso in questi settori dovrebbe alimentare una sovra-performance dei titoli europei nel corso dei prossimi mesi. In Giappone, se lo Yen non dovesse registrare un significativo calo (la valuta giapponese si è apprezzata di circa il 15% YTD), l’andamento degli EPS rischia di essere deludente, spingendo gli investitori a ridurre la propria posizione su questa asset class.

La tematica della reflazione è favorevole alle azioni europee

Le azioni europee supportate dalla tematica della reflazione I timori relativi alla deflazione hanno pesato particolarmente sulla performance delle azioni europee dall’introduzione del QE da parte della BCE (la credibilità dell’istituto e le stime sulla crescita nominale erano sicuramente in gioco). Le variazioni dei tassi di cambio sono fondamentali in merito alla probabilità che questi rischi di concretizzino. L’indice Euro Stoxx mostra un’elevata correlazione con il tasso di cambio nominale effettivo dell’euro (NEER) negli ultimi anni. Da inizio settembre, molti fattori hanno alimentato la possibilità di una reflazione nella zona Euro. Questo trend permetterà alle azioni europee di mostrare una dinamica positiva, con una sovra-performance dei settori Financial, Energy, Consumer Discretionary e Materials.

La dinamica della reflazione dovrebbe continuare Secondo noi, il trend della reflazione dovrebbe continuare fino alla fine dell’anno alla luce dei seguenti fattori:

  • l’inflazione totale dovrebbe registrare un netto rialzo, supportata dagli effetti base sulla componente energetica. Il dato dovrebbe attestarsi all’1,5% entro febbraio 2017 (+1% rolling alla fine dell’anno), nonostante fosse solamene pari a 0,2% annualizzata ad agosto 2016;
  • dopo la battuta d’arresto del secondo e terzo trimestre del 2016, il rimbalzo dei leading indicator in Europa e negli Stati Uniti (PMI, IFO e ISM) permette di stimare un’accelerazione del ciclo mondiale nel quarto trimestre del 2016.
  • storicamente, è possibile osservare una relazione inversa tra il cross eurodollaro e i prezzi del petrolio. Questa correlazione si è indebolita recentemente. L’accordo dell’OPEC sostiene i prezzi del petrolio mentre l’attesa di un secondo rialzo dei tassi da parte della Fed a dicembre supporta un apprezzamento del dollaro. Per la zona euro, questa combinazione – deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro e aumento dei prezzi del petrolio è ottimale in un’ottica di reflazione nel breve termine.
  • nel suo ultimo comunicato di politica monetaria, la BCE ha riaffermato il suo impegno a mantenere una politica monetaria super-accomodante fin quando l’inflazione non ritornerà in « maniera durevole e sostenibile » verso il suo livello target. La correlazione tra queste due varibili si è ridotta. Considerando che l’inflazione sottostante è rimasta strutturalmente inferiore all’1% a partire da ottobre 2013 (superando questa soglia solo una volta a ottobre 2015), la possibilità di un’estensione del QE ci sembra molto più probabile rispetto all’inizio della normalizzazione monetaria. Al fine di mantenere il suo programma, la BCE dovrà comunque modificarne i criteri di acquisto. In caso contrario, la BCE si troverà a far fronte a numerosi vincoli in termini di liquidità, considerando che attualmente acquista una quantità di titoli pari a 3 volte il deficit pubblico della zona euro (si prega di fare riferimento alla sezione tassi). Riducendo il rischio di squeeze della liquidità, la BCE contribuirà ad aumentare l’inclinazione della curva dei tassi dei titoli di Stato core della zona Euro favorendo la trasformazione bancaria in questi paesi e, infine, la distribuzione del credito.

Di conseguenza, l’inflazione attesa dovrebbe continuare a registrare un rialzo in zona euro. Sebbene lo swap inflation euro 5Y5Y sia sceso sotto l’1,3% durante l’estate, attualmente è circa pari a 1,45% e, sostenuto dai suoi fondamentali (euro NEER e petrolio), e dovrebbe spingersi a 1,6%/1,7% per la fine dell’anno.

Un momentum micro-economico ugualmente favorevole Sul piano macro-economico, la tematica della reflazione dovrebbe continuare a supportare le azioni europee. Anche il momentum micro-economico dovrebbe essere un elemento favorevole. Durante il primo semestre 2016, i timori relativi ad un hard landing in Cina, i timori di un default a catena nel settore energetico e le conseguenze molto negative del Brexit hanno spinto gli analisti a rivedere fortemente al ribasso le loro stime di crescita sugli utili per azione in molte zone geografiche. Alla fine, l’economia mondiale si è mostrata resistente e la dinamica di revisione degli EPS è decisamente migliorata negli ultimi mesi. Per la zona Euro, il ratio (upgradedowngrade)/ total revisions ha smesso di essere negativo dopo l’ultima settimana di luglio sulla base delle statistiche IBES. La recente dinamica positiva dei leading indicators lascia presagire che tale movimento possa continuare, come sembrano indicare le prime pubblicazioni societarie per il terzo trimestre 2016 che vantano, in media, risultati migliori delle attese. Un contesto favorevole ai settore Financials e Consumer Discretionary Come indicato precedentemente, i settori tradizionalmente più sensibili all’inflazione dovrebbero sovra-performare nell’attuale contesto di reflazione. In merito alla loro valorizzazione, questi settori non offrono tuttavia lo stesso potenziale. Il posizionamento del PE 12m fwd rispetto al dato medio di lungo termine spinge a privilegiare i titoli Financials e Consumer Discretionary. Infatti, questi settori beneficiano di fattori specifici in questo contesto:

  • Lo steepening della curva dei tassi dei paesi core dovrebbe essere favorevole alle banche europee poiché migliora la loro capacità di trasformazione e quindi la loro redditività
  • In un contesto in cui la fiducia delle famiglie rimane relativamente positiva e in cui i fondamentali del reddito reale sono ancora buoni (ribasso del tasso di disoccupazione in Europa e accelerazione nelle retriburzioni negli Stati Uniti), il forte rialzo del tasso di risparmio osservato nel corso dell’anno nelle economie sviluppate permetterà ai consumi di restare dinamici.

BCE: verso un prolungamento del QE ma più flessibile

L’attuazione del QE della BCE facilitata dal rialzo dei tassi in estate In seguito alla vittoria del sì al referendum britannico, il rendimento dei titoli di Stato nella maggior parte dei paesi della zona Euro è crollato. Questa situazione rendeva estremamente delicato (addirittura impossibile per alcuni paesi come il Lussemburgo) l’attuazione del QE da parte della BCE perché moltissime obbligazioni non rispettavano più i criteri previsti. Il rimbalzo dei tassi a partire dal 15 agosto ha ridotto i vincoli di liquidità rendendo più facile l’esecuzione operativa del QE. Alla luce di ciò, la BCE ha optato per il mantenimento dello status quo ad ottobre e dovrebbe annunciare un prolungamento del suo programma di acquisto titoli a dicembre senza necessariamente modificarne i criteri (secondo noi, l’Istituto aumenterà soltanto la percentuale di titoli che può detenere per comparto (33%), limitando comunque questa misura ai titoli di Stato con il rating migliore per ridurre i rischi di ritrovarsi coinvolta in caso di ristrutturazione).

Rischio di una nuova ondata di problemi di liquidità nel 2017 Considerando che la BCE ha acquistato più di tre volte il deficit pubblico della zona Euro, i problemi di liquidità rimarranno nel 2017 (soprattutto se la situazione economica dovesse peggiorare negli Stati Uniti durante il secondo semestre 2017, come da noi stimato nello scenario centrale). Per questo motivo, pensiamo che la BCE modificherà il suo approccio durante il primo semestre 2017, privilegiando l’obiettivo della stabilizzazione. La BCE potrebbe iniziare a comunicare l’ammontare massimo di acquisti mensili (80 Mld di €), piuttosto che l’ammontare effettivo di acquisti mensili. L’Istituto, qualora dovesse giudicare che, per alcuni paesi (Germania, Lussemburgo,…), le condizioni di mercato siano diventate sfavorevoli, potrebbe ridurre la size del suo programma per un periodo definito. Ne conseguirebbe un cambio implicito dei criteri di ripartizione, senza aumentare il risk sharing. Questa strategia non aumenterebbe il rischio di credito della BCE ma potrebbe ridurre il rischio di duration dei paesi core.

L’idea di una stretta monetaria è prematura La possibilità riportata precedentemente potrebbe essere percepita come una forma di tapering dato che le banche centrali nazionali potrebbero diminuire i propri acquisti in alcuni periodi. Tuttavia, questa iniziativa non deve essere ricondotta ad una forma di stretta monetaria perché il suo obiettivo sarebbe quello di aiutare la BCE a prolungare il QE senza vincoli di liquidità. Secondo noi, la BCE non è pronta ad avviare una stretta monetaria. Durante la conferenza stampa, Draghi ha sottolineato che la BCE conserverà un livello importante di allentamento monetario fin quando l’inflazione non sarà circa pari al livello target in «maniera sostenibile e per un lungo periodo». Tuttavia, da quasi 3 anni l’inflazione sottostante si mantiene in maniera strutturale sotto l’1% (livello solitamente considerato dalle banche centrali come il livello che evidenzia l’inizio di un rischio deflazionistico elevato) e, quindi, è ben lontano dall’obiettivo della BCE. Qualora la BCE dovesse comportarsi come da noi stimato (scenario centrale), la sua politica monetaria sosterrà i titoli rischiosi dimostrando il suo impegno a supportare l’economia europea nel lungo termine, vegliando, nel contempo, a non causare un appiattimento della curva dei tassi e preservando l’intermediazione bancaria.

In tal caso, il rialzo dell’inflazione attesa dovrebbe continuare a sostenere al rialzo il bund che dovrebbe attestarsi sullo +0,3% a fine 2016. Tale situazione potrebbe portare ad un aumento del rischio di duration in zona euro con conseguente riallocazione della poche obbligazionaria dei portafogli a favore dell’HY vs IG e dei titoli Financials vs Corporates. In questo contesto, privilegiamo il debito subordinato delle compagnie assicurativa.

Quanto saranno resistenti i mercati emergenti al rialzo dei tassi da parte della Fed?

Gli asset emergenti restano sul podio in termini di performance dall’inizio dell’anno, e questo, nonostante i continui rumours su un rialzo dei tassi da parte della Fed. Questa sovra-performance è legata a un contesto esterno favorevole in cui non vi erano fattori di rischio. Il prezzo del petrolio (WTI) è passato da 26 dollari al barile a febbraio – il livello più basso dopo aprile 2003 – a più di 50 dollari ad ottobre; la situazione economica in Cina si è stabilizzata e gli analisti hanno successivamente rivisto le stime di crescita al rialzo dopo l’estate; la Fed non ha ancora aumentato i tassi Fed funds. Queste condizioni quasi perfette sembrano giungere ad una conclusione dal momento che la Fed dovrebbe aumentare i tassi d’interesse a dicembre. Dobbiamo prepararci a ingenti outflows come accaduto durante il taper tantrum? Pensiamo che gli asset emergenti mostreranno una maggiore resistenza, in particolare il debito emergente denominato in dollari.

I fondamentali delle economie emergenti sono migliorati Il differenziale di crescita rispetto ai paesi sviluppati si è considerevolmente ridotto dopo il 2008 e il 2016 dovrebbe segnare un giro di boa per la stabilizzazione di questo scarto. Tale divario dovrebbe aumentare nel 2017 a seguito della stabilizzazione della crescita cinese e di un’accelerazione della crescita in Russia e in Brasile dopo diversi trimestri consecutivi di contrazione del PIL. Il deficit corrente non è più un problema per gli emergenti come durante la crisi della bilancia dei pagamenti. Pochi paesi presentano un deficit corrente a livelli allarmanti. Tra i paesi con un deficit corrente negativo, il finanziamento del deficit è comunque migliorato. La parte di capitale di breve termine (flusso di gestione del portafoglio) si è ridotta nel corso degli ultimi tre anni. Le eccezioni sono la Colombia e in misura minore il Messico con un peggioramento del saldo corrente tra il 2013 e il 2015. L’inflazione resta moderata poiché la maggior parte dei paesi emergenti ha vissuto una fase deflazionista. Il tasso di inflazione dovrebbe essere in linea con l’obiettivo ufficiale o addirittura ridursi. Questa miglioramento sarà significativo in Russia, Brasile, Colombia e Cile. I fattori domestici dei paesi emergenti sono piuttosto positivi, un quadro che rende la situazione attuale diversa rispetto al periodo in cui la Fed aveva annunciato il tapering (aprile 2013) e aumentato i tassi per la prima volta(novembre 2015).

I flussi di capitale dovrebbero essere meno volatili In passato, il QE della Fed è stato una fonte importante di flussi che hanno alimentato i mercati emergenti. Dalla conclusione dell’espansione del bilancio della Fed (inizio 2015), i flussi di capitale in uscita hanno contribuito alla performance negativa dei mercati emergenti nel 2015. Dopo aver registrato diversi shock (soprattutto il ribasso del prezzo del petrolio, il crollo dei mercati e il deprezzamento dell’RMB nell’estate 2015), i mercati emergenti hanno registrato degli inflows da febbraio 2016. Questi capitali, più che una conseguenza meccanica dell’aumento della liquidità a livello globale, sono stati determinati dal miglioramento dei fondamentali nei paesi emergenti. Del resto, gli investitori, alla ricerca di rendimento, non ignoreranno i mercati emergenti. Quindi, ingenti outflows sembrano poco probabili.

Il debito denominato in dollari sembra offrire una maggiore resistenza in caso di apprezzamento del dollaro Innanzitutto, è poco probabile che i profitti delle società dei paesi emergenti decollino considerata la relativa debolezza della crescita. Inoltre, avendo già messo a segno un rialzo (o un recupero) del 14,7%, la valorizzazione dell’universo MSCI Emerging non è più così debole. Il P/E a 15,8 è di gran lunga superiore a 14, il livello medio registrato negli ultimi due anni (dati al 26/10/2016). Il mercato obbligazionario, rispetto alle azioni, dovrebbe beneficiare di un miglioramento del rischio di credito grazie alla stabilità economica e alle condizioni di finanziamento favorevoli. Ricordiamo che due terzi di questo universo è investment grade e che il rendimento YTM è pari al 5,1% per il debito governativo emesso in hard currency e al 6,3% per quello denominato in valuta locale (al 26/10/2016). Le obbligazioni sono dunque da privilegiare alle azioni. Per analizzare in modo più approfondito l’impatto del dollaro sulle diverse asset class emergenti, è opportuno soffermarsi sulla sensibilità del loro rendimento agli indicatori finanziari come l’indice dollaro (DXY), il VIX e il tasso americano a 10 anni. La stima a partire da dati settimanali* sul periodo 2006-2016 è stata effettuata in 4 scenari diversi, delineati associando la variazione del dollaro (deprezzamento vs apprezzamento) con l’andamento dei tassi a lungo termine americani (rialzo o ribasso).

 

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