Clinton o Trump? Ecco i settori che guadagneranno con la nuova presidenza

A cura di Fidelity International
I dati storici indicano che il mercato azionario USA ha registrato risultati migliori durante le presidenze democratiche:
• dal 1929, le presidenze democratiche hanno offerto un rendimento annualizzato del mercato azionario del 14,7% contro il 5,4% delle presidenze repubblicane;
• i rendimenti azionari USA risultano positivi durante ogni presidenza democratica dal 1929;
• anche escludendo la presidenza di Herbert Hoover (marzo 1929 – marzo 1933), concomitante con la Grande Depressione, il rendimento medio annualizzato repubblicano sale al 9,2% ma risulta ancora nettamente inferiore al 14,7% democratico.
“Nonostante la storia mostri che i listini statunitensi hanno registrato migliori performance sotto le amministrazioni democratiche – spiega Kasia Kiladis, Investment Director di Fidelity International – è, tuttavia, utile sottolineare che ciò potrebbe essere in primo luogo il risultato di contesti di mercato differenti. Le elezioni non sembrano avere un’influenza diretta sulla performance complessiva del mercato azionario, maggiormente influenzato dalle condizioni macroeconomiche, dalle valutazioni e dalle politiche monetarie. Per contro le politiche governative possono avere un impatto molto significativo a livello di specifici settori e aziende”. Riteniamo, pertanto, utile analizzare i programmi politici dei due candidati per comprendere in particolare le maggiori implicazioni settoriali che potrebbero emergere a seguito delle elezioni (vedere anche la tabella di sintesi).
Impatti settoriali a confronto: Donald Trump. Se alcune delle politiche di Trump sono in linea con le idee tradizionali del Partito Repubblicano come il capitalismo liberale, l’interventismo minimo e il conservatorismo delle politiche sociali, d’altro canto il candidato se ne discosta notevolmente, soprattutto in materia di commercio e immigrazione. Trump è contrario a una maggiore liberalizzazione degli scambi e ostile agli accordi commerciali già in essere (come il TTIP e il TPP), mentre favorisce dazi doganali e restrizioni agli scambi, opponendosi all’uso dei cambi valutari come strumento di politica. Le minacce di pesanti dazi sui prodotti cinesi rappresentano un fattore di rischio per ogni settore o società USA che dipenda da quelle importazioni.
Al contempo i dazi doganali contro Pechino potrebbero favorire i comparti produttivi nazionali che hanno subito la concorrenza cinese, come ad esempio il settore dell’acciaio. Trump ha recentemente dichiarato di voler spendere il doppio della sua rivale in infrastrutture e questo potrebbe dare slancio alle società edili. Il finanziamento pubblico con ogni probabilità giungerebbe da un aumento delle emissioni di debito visto il suo impegno per la riduzione fiscale. Trump propone, inoltre, una significativa riforma del sistema fiscale, con la riduzione degli scaglioni di imposta sul reddito da sette a tre e il drastico abbassamento dell’aliquota massima sulle società dal 35% al 15%. Le proposte fiscali di Trump sono ambiziose e l’eventuale riduzione dell’aliquota sulle società al 15% sosterrebbe le aziende statunitensi. Questi tagli fiscali potrebbero dare slancio alla crescita economica, ma la conseguente perdita di entrate nelle casse pubbliche potrebbe incrementare il deficit.
Trump è scettico sui cambiamenti climatici e contrario alle normative ambientali, da lui giudicate eccessivamente gravose per le imprese. La forte opposizione di Trump alla normativa ambientale favorisce i settori che più hanno risentito di queste regole in passato, come i produttori di combustibili (gas e petrolio da scisti). Lo svantaggio nel caso di una vittoria repubblicana sarebbe, invece, a carico del settore delle energie alternative, soprattutto solare ed eolico, dal momento che le generose sovvenzioni federali per questi comparti (sotto forma di credito d’imposta) potrebbero essere tagliate. Il settore del carbone statunitense, attualmente in calo, potrebbe trarre particolare beneficio dalla presidenza Trump, viste le sue promesse di salvare il comparto. Infine entrambi i candidati hanno parlato di un aumento nell’ambito delle spese militari, ma in base alle dichiarazioni e al profilo complessivo si prevede Trump possa essere più aggressivo rispetto alla Clinton. Il magnate ha infatti puntualizzato che l’attuale quota del 3% del PIL USA destinata alla spesa militare è troppo bassa e che intende riportarla attorno al 6% come in passato. Ciò favorirebbe dunque i produttori di attrezzature militari e di armi.
Impatti settoriali a confronto: Hillary Clinton. Il programma politico di Hillary Clinton è molto più in linea con la tradizione del suo partito. Ciò significa porre l’accento sulla riduzione delle disparità sociali ricorrendo a normative e interventi statali. Le politiche della candidata sono, inoltre, ritenute in linea con quelle dell’attuale presidente democratico Barack Obama. Come per Trump, le infrastrutture rappresentano un obiettivo politico fondamentale anche per Hillary Clinton, nonché l’ambito di maggiore intesa tra i due candidati. Tuttavia, stando alle dichiarazioni possiamo presupporre che i piani di spesa infrastrutturale della candidata democratica (per un totale di 275 miliardi di dollari in 5 anni) siano meno ambiziosi in termini di portata e finanziati ampiamente da aumenti selettivi delle imposte e con una maggiore enfasi sulle reti di trasporto pubblico. Goldman Sachs stima che i piani della candidata democratica implichino un impulso del 17% all’edilizia pubblica totale ogni anno e del 3,6% all’attività edilizia complessiva.
La campagna della candidata democratica ha puntato molto sulla lotta agli aumenti dei prezzi “ingiustificati” e “predatori” da parte dei produttori di farmaci. L’eventuale presidenza Clinton avrebbe un impatto contrastante sul settore sanitario, penalizzando alcuni produttori di farmaci, ma offrendo continuità all’Affordable Care Act di Obama, che ha portato a un aumento della copertura assicurativa con un conseguente incremento della domanda di servizi sanitari.
Entrambi i candidati si sono espressi a favore di un aumento della retribuzione minima dagli attuali 7,25 dollari all’ora. Clinton sostiene un notevole incremento del salario minimo federale a 12 dollari all’ora, lasciando spazio per aumenti superiori a livello locale. L’eventuale presidenza Clinton sarebbe meno favorevole per i settori che impiegano molta manodopera a basso costo. Potrebbero, dunque, risultare penalizzati comparti come la ristorazione e l’alberghiero, costretti potenzialmente a ridurre le ore di lavoro e/o ad aumentare i prezzi.

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