Che direzione prenderà la politica monetaria?

A cura di Eric Lonergan, gestore investimenti macro di M&G Investments

I cambiamenti apportati di recente dalle banche centrali mondiali potrebbero segnare una svolta profonda su questo fronte. Dalla crisi finanziaria, quasi tutte le banche centrali principali hanno risposto alla crescita fiacca con tassi sempre più bassi e altri acquisti di obbligazioni. Oggi sembra opinione condivisa che queste politiche appartengano al passato. Non solo: sia la Banca del Giappone che la BCE stanno ammettendo che si tratta in realtà di misure autolesionistiche. Per certi versi, la politica monetaria ultra accomodante ha avuto successo nella misura in cui ha scongiurato le ripercussioni peggiori possibili della crisi finanziaria. Nel caso della BCE, gli acquisti di asset hanno raggiunto l’obiettivo primario: consegnare alla storia il contagio sovrano. Anche l’obiettivo secondario, ossia rafforzare le posizioni fiscali degli Stati europei e sostenerne la solvibilità contabile, è stato raggiunto. Se mai servisse una prova del fatto che il panico sui titoli sovrani europei è stato indotto dal rifiuto del QE da parte della BCE di Trichet nel 2009, Mario Draghi ci ha fornito la situazione controfattuale. Quando la banca centrale è pronta a stampare moneta a sostegno del governo non c’è rischio di credito; è quando lo lascia solo che lo espone al rischio di fughe. Tale è la differenza fra denaro e debito.

Tuttavia, è apparso sempre più chiaro negli ultimi anni che il QE con acquisti di obbligazioni e i tassi d’interesse sempre più bassi rischiano di avere effetti controproducenti. Emerge in modo lampante in due aree: nell’impatto sulla spesa per consumi e nella minaccia alla stabilità finanziaria e al settore bancario. Nel caso della spesa per consumi, la base empirica e teorica dell’effetto di stimolo esercitato dai tassi ufficiali più bassi è debole anche nelle situazioni migliori. Ma in Europa come in Giappone, dove il PIL pro capite è elevato e la distribuzione del reddito relativamente equa, l’ansia per il futuro di fronte ai costi sanitari in ascesa e alla contrazione della forza lavoro fa sì che i tassi bassi in realtà risultino potenzialmente deprimenti per la spesa. Per chi ha bisogno di un importo fisso in un futuro indefinito, i tassi inferiori implicano semplicemente l’esigenza di risparmiare di più oggi. Inoltre, se è vero che l’aumento del debito governativo (e dell’inflazione) può essere una soluzione per un problema di indebitamento del settore privato, non si può considerare l’incremento costante del debito come la via di uscita per un settore privato già eccessivamente esposto.

Ci sono buoni motivi per cui la crescita del credito è stata anemica nonostante il collasso del costo del denaro. L’austerità è inciampata in questo equivoco di fondo. Quanto alle banche, c’è poco altro da dire sull’impatto deleterio dei tassi negativi sui profitti bancari: la reazione del mercato agli interessi sotto zero lo dimostra chiaramente.

Ora le banche centrali sanno che gli strumenti tradizionali non funzionano, ma fino a questo momento sono state limitate dalle interpretazioni ristrette di ciò che comporta la politica monetaria e della natura dei rispettivi mandati. Tuttavia, stanno emergendo segnali di innovazione in grado di offrire un’ancora di salvezza alle economie mondiali.

Bisogna dare credito al governatore della Banca del Giappone Kuroda per il tentativo di innovazione silenziosa. Dal 2000 a oggi, i tassi ufficiali bassi e i periodici acquisti di obbligazioni hanno fatto poco per stimolare l’inflazione, con l’indice IPC al di sopra del 2% solo nel periodo di impennata del petrolio fra il 2007 e il 2008, cui si è aggiunto un incremento dell’imposta sui consumi nel 2014. Tuttavia, Kuroda si rende conto che l’inflazione è responsabilità della banca centrale e il temporaneo fallimento non è un buon motivo per abbandonare la nave. Mettendo alla prova la macroeconomia contemporanea, si è impegnato a stampare moneta fino a quando l’indice IPC giapponese non risalirà al di sopra dell’obiettivo precedente del 2%.

Tenderei a dargli credito. Dubito che siano in molti, a parte uno zoccolo duro di adepti dotati di fervida immaginazione, a credere davvero che le banche centrali, armate della sola determinazione, possano semplicemente innalzare le “aspettative di inflazione” a loro piacimento, quando tutti i dati concreti riflettono un misero fallimento nei tentativi di raggiungere obiettivi molto meno ambiziosi. Ciò non toglie che i brillanti economisti della BoJ e della BCE si siano dati da fare per essere innovativi. Hanno già preso ampiamente il largo da tutto quello che potete trovare in un manuale di politica monetaria. Considerate due meravigliose innovazioni: le riserve a scaglioni e le operazioni TLTRO. Parte del motivo per cui sono così brillanti è l’oscurità. Gli economisti faticano a definire il “denaro”, per non parlare della differenza fra politica fiscale e monetaria. Sembra una caratteristica imprescindibile delle democrazie moderne che l’attività della banca centrale si svolga dietro un velo di ignoranza – un po’ sulla falsariga delle macchinazioni dei servizi segreti. In questo caso, la barriera è lo sforzo cognitivo.

Gli inventori del sistema di riserve a scaglioni e delle operazioni TLTRO meritano entrambi un premio Nobel. Ciò che hanno in comune queste misure è l’effetto di sganciare lo stimolo monetario dal mercato dei tassi d’interesse.

Riserve a scaglioni

Il sistema delle riserve a scaglioni rende esplicito il fatto che la base monetaria e i titoli del Tesoro, per quanto talvolta quasi intercambiabili, sono in realtà qualitativamente diversi. E non vale solo per la Grecia. I titoli sono emessi su un mercato a un determinato prezzo – il tasso d’interesse. L’interesse corrisposto sulle riserve (IOR) è un tasso d’interesse solo nel nome, mentre sarebbe più corretto parlare di un pagamento (o una deduzione) ai titolari delle riserve. Le banche centrali possono fissare i tassi d’interesse di mercato stabilendo un tasso d’interesse su una frazione delle riserve “in eccesso”. Volendo, possono remunerare la parte restante a un premio o a uno sconto. In futuro, è ipotizzabile che si opti per comprimere le riserve obbligatorie usando “tassi d’interesse” negativi e remunerare di più le riserve in eccesso. Ad alcuni economisti teoretici piace liquidare tutto questo come politica fiscale – attraverso il settore bancario. Ma non è così. Si tratta molto chiaramente di politica monetaria, solo non del tipo che conosciamo. L’istituzione è la banca centrale e il denaro viene creato e distrutto. Questa è la definizione più chiara di politica monetaria che riuscirete a trovare. Effettuare trasferimenti consistenti su riserve a scaglioni a tassi superiori a quelli del mercato monetario è il sogno di ogni friedmanita. La politica monetaria non è mai a corto di munizioni. Resta il piccolo problema di stabilire chi riceverà tutta questa ricchezza, ma esigere che le banche la girino al settore delle imprese e delle famiglie è il passo successivo più ovvio.

Definizione delle nuove politiche

Riserve a scaglioni A febbraio 2016 la Banca del Giappone ha introdotto un sistema di riserve a scaglioni che rispecchia quello adottato in Svezia, Svizzera e Danimarca. In questo regime, la banca centrale cerca di mitigare l’impatto avverso dei tassi negativi sui bilanci delle banche private facendo in modo che i tassi negativi si applichino solo a una determinata fascia, o “scaglione”, delle riserve bancarie. In Giappone, su un’ampia parte delle riserve preesistenti il tasso è tuttora positivo, su una piccola quota definita dalla BoJ l’interesse è pari a zero, mentre i tassi negativi sono applicati soltanto sulle nuove riserve create a margine. L’intento di questo sistema è influenzare i prezzi di transazione, ma non la redditività delle banche. Lo scopo è garantire che i tassi negativi siano un incentivo per le banche a prestare le nuove riserve create attraverso il QE, senza però incidere sulla redditività dell’attività bancaria nel suo complesso.

Operazioni di rifinanziamento a lungo termine mirate (TLTRO)

Le TLTRO sono semplicemente un modo di estendere credito agli istituti finanziari. L’aspetto importante è che l’importo accessibile e l’attrattiva delle condizioni dipendono dai prestiti erogati dalle banche alle famiglie e alle imprese. Quanto più la banca concede prestiti, tanto migliori sono le condizioni che ottiene insieme alla possibilità di accedere a importi maggiori. Come le riserve a scaglioni e il piano di sostegno al credito nel Regno Unito (TFS), anche le TLTRO rappresentano un chiaro sforzo per garantire che gli effetti del QE si facciano sentire nell’economia reale, anziché trovare riflesso solo nei bilanci delle banche e nei prezzi degli asset. Anche le TLTRO sono state un’innovazione. In precedenza, la regola di Bagehot era sacrosanta: le banche centrali prestano al settore privato solo ed esclusivamente a tassi “punitivi”, o quanto meno a un premio rispetto a quello che pagano sulle riserve. Ma era solo una convenzione e adesso è morta. Da quando quest’anno la BCE ha annunciato che le TLTRO sarebbero state estese alle banche allo stesso tasso adottato per la remunerazione delle riserve, si è aperto un nuovo mondo per la politica monetaria. La BCE ha reso esplicito che esistono in realtà tre assi lungo i quali è possibile allentare la politica monetaria: la duration, il rischio di credito e il prezzo. Il programma TLTRO sembra molto più radicale del QE, dal momento in cui non esiste letteralmente alcun limite lungo nessuno di questi tre assi. Finora, le TLTRO sono state prorogate per cinque anni, a tassi d’interesse negativi (con alcune limitazioni) e sotto forma di prestiti garantiti. Ma nulla vieta alla BCE di trasformare il programma TLTRO nel suo strumento di politica principale. Il passo successivo è scollegare il tasso d’interesse sulle TLTRO da quello che la BCE paga sulle riserve. E prima che si diffonda il panico per possibili perdite e rischi indebiti a carico della BCE, quell’ostacolo è già stato superato: il rischio non è diverso da quello associato all’acquisto di obbligazioni a lunga scadenza a tassi molto bassi o negativi.

Molti commentatori, incluso Ben Broadbent della Banca d’Inghilterra, sembrano convinti che intraprendere politiche con un reddito da interessi netto negativo per la banca centrale sia per qualche motivo un tabù. Ma è una forma spuria di contabilità mentale. I programmi di QE, sebbene adesso con un reddito netto positivo, espongono le banche centrali alla prospettiva di enormi perdite future (a meno che non impieghino le riserve a scaglioni), come ha fatto giustamente notare Chris Sims. Peraltro, come può avere senso che le operazioni delle banche centrali debbano generare un profitto per il Tesoro e mai una perdita? È un’asimmetria totalmente arbitraria. Anche la Banca del Giappone e la Banca d’Inghilterra hanno programmi di TLTRO, con nomi diversi. Il passo logico successivo è l’aggressiva estensione della duration e della struttura dei prezzi di questi programmi di prestiti “guidati”. Si sentirà qualche voce stridula gridare “sussidi”! Anche questa è contabilità mentale: cos’è l’ “effetto ricchezza” del QE se non un “sussidio” ai detentori di asset finanziari. Secondo questa logica, i tassi d’interesse negativi sarebbero un salvataggio di chi si indebita in modo irresponsabile. Ogni modifica dei tassi d’interesse genera conseguenze distributive, che ci piaccia o no. Il prestito guidato tramite le banche al settore privato mette a disposizione delle banche centrali un nuovo bazooka. Volendo Kuroda può raggiungere il suo nuovo obiettivo e, se ci riesce, il PIL reale giapponese potrebbe essere superiore del 10%.

Altre opzioni La BoJ è stata innovativa anche nel tentativo di intervenire direttamente sul premio al rischio azionario. L’enfasi posta da altre banche centrali sull’acquisto di obbligazioni governative e societarie è il simbolo di quella stessa “avversione al rischio” che stanno cercando di combattere e manca di rigore intellettuale. La grande ironia è che sono di gran lunga più esposte al rischio di subire ingenti perdite di bilancio sui rispettivi portafogli obbligazionari, mentre i banchieri centrali nipponici si danno il cinque incassando guadagni sulle azioni. Il premio al rischio azionario implicito in Europa, Giappone e Regno Unito attualmente è enorme.

Certo, comprare quello che attualmente è un asset a buon mercato nelle quantità in cui sono stati acquistati i titoli governativi potrebbe creare rapidamente una bolla azionaria, ma è un modo molto più logico di innalzare la spesa per investimenti che non mirare ai tassi d’interesse sugli asset presunti “sicuri”, danneggiando così il settore pensionistico, assicurativo e bancario.

Conclusione L’abbandono dei rendimenti obbligazionari sempre più bassi da parte della Banca del Giappone e i suoi tentativi di stimolare la domanda attraverso nuovi strumenti dovrebbero essere accolti con favore. E lo stesso vale per le voci sull’intenzione della BCE di scartare nuove misure di QE. Si sta acquisendo consapevolezza del fatto che queste politiche, una volta efficaci, oggi sono diventate controproducenti. Le nostre economie non hanno bisogno di rendimenti più bassi sui titoli di Stato, né di tassi di riferimento a un giorno più bassi: questo è senz’altro ovvio. Per fortuna, la BoJ e la BCE hanno anche svelato nuovi strumenti di potere monetario illimitato. Il prossimo passo darà la misura del loro coraggio di usarli.

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