Gli Usa scelgono Trump. Saranno davvero “Great Again”?

A cura di Valentijn van Nieuwenhuijzen, Chief Strategist e Head of Multi Asset di Nn Investment Partners
Sembra che, ancora una volta, i sondaggi siano sbagliati e Donald Trump ha conquistato una vittoria inaspettata nelle elezioni americane. È già visibile una reazione iniziale negativa sugli asset rischiosi, come peso messicano e dollaro americano.
La questione chiave sarà capire se Trump dimostrerà o meno di essere un presidente populista o pragmatico. Eppure, anche un approccio più pragmatico sarà visibile solo dopo un po’ di tempo e quindi le prospettive di breve termine sono comunque offuscate dall’incertezza geopolitica.
Per i mercati finanziari, la vittoria di Trump inaugura un periodo di incertezza, perché la sua presidenza potrebbe portare a una chiara rottura dello status quo. Il clima di incertezza riguarda in particolare le possibili misure monetarie e di bilancio, gli scambi commerciali internazionali, l’immigrazione e le questioni di politica estera come l’accordo con l’Iran. Per gli asset rischiosi saranno tempi duri finché il quadro sarà incerto, un periodo che si prospetta piuttosto lungo visto che il presidente si insedierà solo il 20 gennaio. Anche dopo quella data, la visibilità potrebbe continuare a essere limitata finché non sarà chiaro se Trump deciderà, in un impeto di pragmatismo, di stemperare alcune delle minacce e delle promesse fatte durante la campagna elettorale, oppure vorrà attuare il suo programma populista.
I Mercati Emergenti e i relativi asset appaiono molto vulnerabili, in quanto gli investitori temono misure protezionistiche che inciderebbero pesantemente sulle importazioni USA dai paesi emergenti. Particolarmente esposte le economie che esportano soprattutto verso gli Stati Uniti, tra le quali spicca il Messico con l’82% delle esportazioni destinato ai vicini a nord del confine. Il settore esportazioni è una delle maggiori fonti di occupazione del paese e la crescita dell’export deve tenere il passo con quella dell’import per impedire un eccessivo ampliamento dello squilibrio nei conti con l’estero.
Anche la Cina è esposta a un’eventuale svolta nelle politiche commerciali statunitensi, visto che il 18% delle sue esportazioni è destinato agli Stati Uniti. Considerate le prospettive non particolarmente brillanti della domanda interna cinese, il paese deve raggiungere un livello accettabile di crescita delle esportazioni per impedire un netto rallentamento della crescita economica.
L’impatto del risultato elettorale è una lama a doppio taglio per la politica monetaria e i rendimenti obbligazionari. Nell’immediato si prevede una reazione di avversione al rischio, con il conseguente calo dei rendimenti governativi. Inoltre l’incertezza dovuta alla vittoria di Trump farà probabilmente aumentare la cautela della Fed nell’alzare i tassi di interesse. Questo potrebbe essere un fattore positivo per le economie emergenti che contano più sui capitali esteri che sulle esportazioni verso gli Stati Uniti, anche se forse l’effetto netto sarà comunque negativo dato l’orientamento protezionistico di Trump. Il dollaro probabilmente sarà penalizzato nel breve periodo dalla maggiore cautela dell’outlook della Fed e dal timore di misure protezionistiche.
Nel medio periodo, però, la piena attuazione del programma di Trump comporterebbe un forte aumento del disavanzo di bilancio, visto che il neo presidente prevede una spesa infrastrutturale “almeno doppia” rispetto a quella indicata da Clinton, associata a tagli fiscali. I fondamentali di bilancio e le pressioni inflazionistiche derivanti dalla politica di Trump potrebbero quindi invertire il trend dei rendimenti obbligazionari spingendoli al rialzo, soprattutto se la Fed assumerà un atteggiamento più restrittivo per contenere le aspettative di inflazione. In realtà, la creazione di barriere commerciali e i limiti all’immigrazione potrebbero portare a un’accelerazione di prezzi e salari, uno sviluppo difficilmente apprezzato dai mercati finanziari – sia azionari che obbligazionari. Un simile contesto di tassi danneggerebbe le obbligazioni locali e le valute dei mercati emergenti e potrebbe incidere anche sui metalli preziosi sensibili ai tassi.
Naturalmente, ciò che conta sono i risultati. La presidenza Trump potrebbe non essere poi così negativa se il neo presidente dovesse alleggerire la sua agenda politica. Una spesa per infrastrutture più elevata, minori imposte sulle imprese e una maggiore deregolamentazione non sono di per sé sfavorevoli per i mercati azionari. Se cedesse almeno sul protezionismo, la fase di reflazione potrebbe proseguire, sostenendo le azioni rispetto al reddito fisso. Per esempio, l’esenzione fiscale sul rimpatrio degli utili (a un’aliquota del 10%) proposta da Trump in campagna elettorale sarebbe una manna per le aziende americane e favorirebbe gli asset statunitensi, tanto le azioni quanto gli strumenti di credito. Infine, per quanto riguarda la possibile svolta nei rapporti internazionali e nella politica commerciale su cui ha tanto insistito il neo presidente nella sua campagna, non sarà così facile fare marcia indietro. La situazione potrebbe quindi rivelarsi meno negativa di quanto sembri.

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