Rotazione settoriale in atto

A cura di Banca del Piemonte

La volatilità, quella vera, è stata la caratterizzante della scorsa settimana. Gli esempi più calzanti sono stati l’andamento del mercato azionario giapponese (-5,36% mercoledì, +6,72% giovedì) e l’andamento intraday del rapporto di cambio tra Euro e Dollaro: mercoledì, ad esempio, tale rapporto è partito su valori di poco superiori a 1,10, ha toccato un massimo di 1,13 per chiudere poi la settimana sotto 1,09.

L’evento che ha causato queste fluttuazioni è quello che ha segnato profondamente gli ultimi giorni: l’esito delle elezioni presidenziali statunitensi con la netta vittoria di Donald Trump. Dopo un iniziale momento di sbandamento, dovuto più che altro all’effetto sorpresa (la comunità finanziaria era nettamente a favore della candidata Clinton), i mercati hanno fattorizzato il nuovo Presidente e si sono messi al lavoro per implementare, sul lato dell’asset allocation, i risvolti economico-finanziari della presidenza repubblicana.

A pagarne le spese sono stati i titoli di Stato americani, il cui rendimento è esploso ben oltre il 2,10% (rispetto all’1,85% del giorno precedente le elezioni), tirandosi dietro gli omologhi europei ed asiatici: nel programma elettorale di Trump, infatti, è previsto il sostegno alla crescita economica con una politica fiscale più aggressiva, che comporterebbe, come contraltare, la necessità di tassi di rifinanziamento più elevati.

La risalita dei tassi nominali è stata accompagnata, anche se con minor intensità, da una ripresa delle aspettative di inflazione. Il combinato disposto delle due ha evidenziato una discreta ripresa dei tassi reali. La sostanziale stabilità degli spread sull’universo corporate ed HY solo in leggero allargamento, fa il paio con una performance del comparto azionario in netto recupero, sostenuto da aspettative di accelerazione della crescita economica (per via della politica fiscale di cui sopra) prima negli Stati Uniti e poi in Europa.

A livello settoriale è stata marcata la performance in crescita di tutti quei settori positivamente correlati con l’andamento macroeconomico (banche, materiali di base, industriali), mentre hanno patito i comparti inversamente correlati all’andamento dei tassi d’interesse (utilities, telefonici, immobiliare) e quelli più difensivi (alimentari). La mancata vittoria della Clinton ha rappresentato il carburante per l’impennata del settore farmaceutico ed in particolare delle biotecnologie, zavorrato nei mesi passati dal programma della candidata democratica, che ipotizzava un freno all’aumento del prezzo dei farmaci. L’evento ha avuto un impatto anche sui mercati emergenti, soprattutto quelli latinoamericani, le cui valute hanno velocemente invertito il trend di apprezzamento, trainate al ribasso dal tonfo del Peso messicano. L’effetto emotivo, in ogni caso, è ancora fresco sui mercati e ci vorrà qualche tempo prima che la polvere sedimenti.

Al di là dei movimenti di breve periodo, sembra comunque chiara la strada intrapresa dai tassi d’interesse, mentre le letture sul ciclo economico e le ricadute sulla classe azionaria si direbbero più soggette a revisioni. In particolare l’atteggiamento protezionistico del neo eletto Presidente potrebbe risultare un’arma a doppio taglio: l’effetto negativo sul commercio internazionale, infatti, potrebbe colpire le principali società multinazionali in modo indiscriminato, sia quelle europee (come testimonia la performance del settore lusso negli ultimi giorni) che i grossi esportatori asiatici, ma potrebbe compromettere anche i player globali americani, dai beni di consumo, all’alimentare, alla tecnologia. A ben vedere, quest’ultimo potrebbe essere uno dei punti della campagna elettorale destinato ad avere le probabilità più basse di venire implementato.

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