L’impatto finanziario delle ineguaglianze salariali

a cura di Pierre Olivier Beffy, Chief Economist di Exane BNP Paribas

Un investitore mi ha recentemente segnalato un paper di ricerca molto interessante scritto  da Simcha Barkai che tratta la diminuzione del lavoro e delle quote capitali. Una delle questioni più dibattute tra gli economisti è la diminuzione della quota del lavoro; ovvero, la remunerazione dei lavoratori in proporzione al PIL. In molti paesi sviluppati, la quota del lavoro è diminuita drasticamente negli ultimi decenni. Quando la diminuzione è contenuta, come in Francia, è dovuta al fatto che i contributi sociali versati dalle società e dai lavoratori sono aumentati, compensando in parte, la riduzione dei salari.

Ci sono diverse spiegazioni per questo fenomeno. Nello specifico, l’aumento dell’ineguaglianza dei salari, l’impatto negativo della recente globalizzazione e della rivoluzione digitale sul potere d’acquisto della classe media nei paesi sviluppati. Tuttavia, c’è poca ricerca per quanto riguarda l’altra faccia della medaglia: la quota capitale. Quello che non rientra nella retribuzione (calcolata in modo residuale) viene distribuito ai detentori di capitale. Tenendo conto di questo, i proprietari di capitale hanno ricevuto una fetta sempre più grossa del PIL negli ultimi anni.

In teoria, i detentori di capitale realizzano un ritorno sul capitale investito o generano profitti attraverso il potere di fissazione dei prezzi oppure tagliando i costi. In realtà, molti investitori si saranno accorti che il ritorno sul capitale investito è diminuito, soprattutto in seguito alla crisi finanziaria. Oltretutto, a livello macro, il ritorno sul capitale investito è diminuito negli ultimi decenni. Di conseguenza, la parte di profitti non derivante dall’accumulo di capitale è aumentata.

Che cosa significa questo per l’ottimizzazione finanziaria? Innanzitutto, la redditività delle società è aumentata ma, tenendo conto della diminuzione del ritorno sul capitale investito, le società hanno sempre meno incentivi ad investire. Il fatto che l’incremento nei profitti non è dovuto agli investimenti riflette il fatto che l’ottimizzazione finanziaria (attraverso M&A e riacquisti di azioni) è un ottimo modo per aumentare la redditività a favore degli azionisti. (vedere grafico sottostante).

Che cosa significa per il mark-up delle società (la differenza tra i prezzi di vendita ed il costo del venduto)? Qua il paper di Simcha diventa molto interessante. Egli trova una forte correlazione tra la concentrazione di un determinato settore industriale e la diminuzione della quota del lavoro. In altre parole l’M&A potrebbe aumentare il mark-up delle società, tuttavia ha un impatto contenuto sulla produttività e sul rendimento del capitale investito. Questo potrebbe significare che si sta verificando un incremento dell’ineguaglianza tra le società: alcune grandi società hanno molto potere in merito alla fissazione dei prezzi, mentre altre società stanno lottando in una situazione di sovra-capacità. Questo viene ben rappresentato negli Stati Uniti dai grandi accumuli di liquidità da parte di società come Apple, mentre a livello macro, le società statunitensi hanno bisogno di prendere a prestito per poter investire (il gap finanziario è negativo).

In conclusione il dibattito tocca uno dei punti salienti della situazione economica attuale: la distruzione creativa. Alcune società si trovano in un buon momento e sono quindi in grado di investire, altre invece saranno costrette a tagliare la produzione negli anni a venire. Questo processo aumenta durante i periodi di stress (la recessione a livello globale e le crisi politiche) ed è rallentato da determinate manovre a livello pubblico (QE e gli stimoli fiscali). Tuttavia, malgrado l’attuale reflazione ciclica, fino a quando l’ottimizzazione finanziaria verrà preferita all’investimento di capitale, significa che non ci sarà nessun cambiamento a livello di regime economico e rimarremo in un contest di bassa crescita e bassa inflazione.

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