Le agende politiche dettano i tempi, dagli Usa all’Eurozona

A cura di Laurence Boone, Head of Research and Investment Strategy, AXA Investment Managers
I partiti politici tradizionali sembrano cadere uno dopo l’altro, lasciando spazio a partiti non convenzionali. Eppure i mercati non reagiscono alle sorprese sul fronte politico in modo coerente. Nell’Investment Strategy di questo mese esaminiamo le ragioni della reflazione dei mercati e ci chiediamo se è sostenibile. Serve più cautela sui mercati, soprattutto in Europa, dove l’agenda politica resta intensa, mentre persiste l’incertezza in vista dell’imminente referendum in Italia. Manteniamo pertanto un’asset allocation abbastanza conservativa, per ogni evenienza.
Nonostante il famoso sito web “FiveThirtyEight” ci avesse avvertito che le probabilità di vittoria di Donald Trump erano salite molto alla vigilia del voto, il risultato schiacciante da lui ottenuto il 9  novembre ha colto di sorpresa la maggior parte degli operatori del mercato. Il suo discorso iniziale dai toni concilianti ha scatenato un rally sui mercati che ora si aspettano un rialzo della crescita e dell’inflazione negli Stati Uniti, trainato dagli stimoli che introdurrà il nuovo Presidente, nonostante qualche difficoltà per i mercati emergenti (soprattutto il Messico). Cosa possiamo dedurre in questa fase?
Ciò che conosciamo in questo momento sono le posizioni di Trump, quelle del Partito Repubblicano e i provvedimenti che potrebbero rivelarsi costosi nel breve e lungo termine.
Potenzialmente attuabili nel breve termine: ampi tagli fiscali a favore di famiglie e imprese, parziale deregolamentazione del settore finanziario e sospensione delle politiche ambientaliste.
• Questioni probabilmente più controverse tra i Repubblicani e la Casa Bianca, e costose nel breve termine: restrizioni agli scambi commerciali internazionali, piano di spesa per le infrastrutture e Obamacare.
Un’incognita importante: politica della Federal Reserve e sostituzione dei suoi rappresentanti (fino a 4 nomine entro la metà del 2018).
Possiamo dunque dedurre che lo scenario più plausibile è un forte stimolo per la domanda, per quanto più modesto rispetto a quanto annunciato in campagna elettorale. A nostro giudizio ci saranno modifiche sul fronte fiscale, la parziale deregolamentazione del settore finanziario e una politica più favorevole alle fonti di energia tradizionali. Il resto sarà probabilmente più difficile da ottenere o ci vorrà comunque più tempo. Questo programma dovrebbe alimentare rapidamente la crescita, che in questo momento prevediamo in media del 2% nel 2017-2018, oltre a far salire l’inflazione, dato che gli scarsi investimenti limitano la capacità produttiva.
Potrebbe salire in media dal 2,1% nel 2017 al 2,5% nel 2018 e questo ci porta a rivedere le mosse della Fed: dopo un rialzo dei tassi nel 2016, ci aspettiamo due rialzi nel 2017 e tre nel 2018. La vittoria di Trump non sarà senza conseguenze dolorose: i mercati emergenti, in particolare il Messico, ne hanno già risentito doppiamente. Primo, la retorica belligerante di Trump sugli scambi commerciali getta un’ombra sul Messico e su tutti gli altri Paesi del NAFTA. Secondo, l’ascesa del dollaro e dei rendimenti dei Treasury graverà sui Paesi con un debito elevato denominato in dollari. Di conseguenza, il peso messicano è crollato e i mercati azionari e obbligazionari dei Paesi emergenti ne hanno risentito (entrambi in calo del 4,5% circa dopo le elezioni).
In prospettiva, non ci aspettiamo che siano introdotte tutte le proposte di Trump in campo commerciale e nel settore immigrazione, ma potrebbero essere rinegoziati gli accordi commerciali esistenti. Tali dinamiche peserebbero su queste economie molto più che sugli Stati Uniti, senza contare eventuali aggravi derivanti dalle accuse alla Cina di manipolazione della valuta o dall’imposizione di pesanti dazi doganali sulle esportazioni cinesi.
Tornando all’Europa, le ripercussioni delle elezioni negli Stati Uniti hanno provocato un improvviso rialzo dei  rendimenti obbligazionari, degli spread e delle curve. Mentre l’effetto sulla  curva sarà accolto con favore dalla comunità finanziaria e l’aumento dei rendimenti è un fattore positivo per il QE della BCE (sono rientrati nel piano 60-70 miliardi di euro di Bund, di fatto estendendolo di tre mesi), queste dinamiche sono accompagnate da una rivalutazione dei rischi.
Gli spread in Francia, Paesi Bassi, Spagna e Italia si sono ampliati (di circa 25-30 punti base). In futuro ci aspettiamo che la Banca Centrale Europea riveda interamente le sue prospettive economiche e finanziarie alla luce delle notizie provenienti dagli Stati Uniti. Di conseguenza, la conferenza stampa della BCE di dicembre probabilmente prolungherà il QE di sei mesi (calcolando l’estensione di tre mesi determinata dal rialzo dei rendimenti dei Bund).
E ora arriva la parte complessa: l’agenda politica intensa in Europa potrebbe fare da guastafeste. Ci attendono importanti eventi politici nell’Eurozona, con le elezioni in Olanda, Francia e Germania. Ma prima di tutto ci sarà il referendum in Italia del 4 dicembre, dove il “No” sembra raccogliere più consensi secondo 32 sondaggi pubblicati da 11 diverse società dal 21 ottobre. La percentuale degli indecisi resta però alta, come abbiamo visto in occasione delle  elezioni negli Stati Uniti.
A nostro giudizio, se vincessero i “No” non ci sarebbero cambiamenti sostanziali della politica economica poiché il Presidente del Consiglio Renzi probabilmente formerebbe un nuovo governo dopo le dimissioni. Tuttavia il risultato minerebbe la sua capacità di portare avanti le riforme. Inoltre, col repricing dei rischi, questo risultato scatenerebbe un altro ampliamento degli spread gravando sui finanziari (che non rientrano nel piano di acquisto di titoli della BCE). Lo stress del mercato incrementerebbe la correlazione tra la politica e l’andamento dei prezzi degli asset, dato che in tutti gli altri tre Paesi dove si terranno le elezioni i partiti anticonformisti stanno sfidando il potere costituito in Europa.
Mentre la politica assume sempre più un ruolo centrale, l’asset allocation richiede cautela. Primo, c’è molta incertezza sulle modalità con cui il Presidente Trump porterà avanti il suo programma elettorale, che secondo noi i mercati hanno sottostimato sin dal voto. Secondo, sembra giunto il momento di una rivalutazione dei rischi nell’Eurozona.
La BCE apparentemente è in grado di intervenire ma solo se mantiene il sostegno politico. Abbiamo chiuso le nostre posizioni sovrappesate nei mercati emergenti, nonostante le valutazioni interessanti e i fondamentali in miglioramento. La correzione dei tassi di interesse sembra sostenibile, pertanto ci aspettiamo deflussi di capitale dai mercati emergenti verso gli Stati Uniti. Prepariamoci a un periodo movimentato.

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