Est Europa, la view di Raiffeisen

A cura di Raiffeisen Capital Management
Turchia. A livello di politica estera il presidente Erdogan sta cercando ovviamente di adottare un corso più indipendente dagli USA, e la vittoria elettorale di Trump dovrebbe ulteriormente alimentare questi sforzi. Allo stesso tempo tenta evidentemente di rianimare le ambizioni di una superpotenza ottomana. Ciò dovrebbe servire inoltre a rafforzare la sua posizione politica interna solo apparentemente indiscussa. Rianimare sentimenti nazionalistici, intervenire massicciamente contro le minoranze e allo stesso tempo brandire le armi a livello di politica estera sono, come si sa, dei metodi usati sempre volentieri da migliaia di anni dai sovrani quando la situazione politica interna diventa difficile.
Dopo che da mesi sta utilizzando la forza contro i curdi in Turchia e nelle zone di confine dei paesi vicini Siria e Iraq, di recente Erdogan ha pubblicamente esteso la missione delle sue truppe d’invasione in Siria. L’invasione da parte delle unità, contraria al diritto internazionale, non solo dovrebbe impedire la formazione di uno Stato curdo, ma anche aiutare a far cadere il presidente siriano Assad. In questo contesto diventa sempre più difficile distinguere tra la retorica pubblica e le effettive intenzioni. In ogni caso, ancora più di prima si rischiano incidenti militari in Siria tra le truppe turche, da un lato, e i soldati russi e/o iraniani, dall’altro, e, di conseguenza, un’ulteriore escalation di una situazione regionale e geopolitica già molto tesa. Uno sviluppo dal quale avevamo messo in guardia già da tempo. Allo stesso tempo la Turchia sta già affrontando problemi a sufficienza in termini economici e il mese passato le preoccupazioni del governo e della banca centrale non sono certamente diminuite.
La lira ha ceduto il 10% circa contro il dollaro USA e infine ha spinto la banca centrale a effettuare un aumento a sorpresa del tasso di guida. Contemporaneamente la banca centrale da tempo sta iniettando enormi quantità di liquidità nell’economia, cosa che nel lungo periodo potrebbe avere a sua volta un effetto fortemente inflazionistico e/o distruttivo sul tasso di cambio della lira. Questo difficilmente potrà essere compensato con un rialzo dei tassi d’interesse da solo.
Grecia. Il mercato azionario della Grecia a novembre è stato il più forte tra tutti i paesi emergenti, e sono state soprattutto le azioni bancarie a essere al centro dell’attenzione. Ha tratto profitto dall’aumento delle speculazioni che i ministri delle finanze della zona euro con la partecipazione del FMI probabilmente giungeranno a un accordo sul taglio del debito alla Grecia già entro breve. L’indice azionario di Atene ha guadagnato il 7% circa; dall’inizio dell’anno rimane tuttavia profondamente in perdita.
CE3 – Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria. La crescita economica della Polonia ha deluso nel 3° trimestre crescendo solo del 2,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso invece del 2,9% previsto. Hanno registrato un calo soprattutto gli investimenti, presumibilmente più massicciamente di quanto atteso, dalla banca centrale. Anche la crescita economica della Repubblica Ceca è rimasta sotto le aspettative, sono cresciute meno delle previsioni sia il consumo sia la produzione industriale e i lavori edili. Per contro, i dati sulla crescita economica dell’Ungheria (+2% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso) sono stati abbastanza in linea con le stime di mercato. Governo, sindacati e associazioni degli imprenditori in Ungheria hanno nel frattempo trovato un accordo sull’aumento del 15% dei salari minimi l’anno prossimo, così come un ulteriore aumento dell’8% nel 2018.

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