Commissioni di performance nella consulenza

A cura di Daniele Bernardi, Ad Diaman Scf
I servizi di consulenza possono avere o meno le commissioni di performance? E ancora, è possibile allineare gli interessi dei clienti e del consulente utilizzando le performance fee? La scorsa settimana, come commento al post Tributo ad Ascosim un investitore mi ha scritto che gli sarebbe piaciuto avere qualcuno che veniva pagato in base ai risultati e non con una commissione fissa.
Partendo dal presupposto che la consulenza finanziaria punta ad allineare gli interessi dei propri clienti a quelli del consulente, possiamo aspettarci che l’obbiettivo minimo sia di trovarsi dopo molti anni di rapporto ad una reciproca soddisfazione: il cliente ha raggiunto i suoi obbiettivi finanziari e il consulente ha guadagnato correttamente per la prestazione erogata.
Sappiamo bene che nell’industria del risparmio gestito tradizionale, il gestore viene remunerato tipicamente con un modello misto che prevede un fisso annuale (che normalmente varia tra un 0,5% ad un 2%) e una commissione di performance che varia da un 10% ad un 20% del risultato del cliente.
Nel 2004 la Banca Hypo Tirol insieme a noi ha lanciato una gestione patrimoniale (SAVE Dynamic Affluent, esiste ancora oggi) che prevede una commissione esclusivamente di performance in base ai risultati ottenuti; il cliente in tal caso paga il 25% della performance ottenuta con un modello cosiddetto “high water mark”, ovvero che bisogna ogni volta tornare sopra i massimi precedenti per poter prelevare la commissione.
Questa linea di gestione è stata fortemente voluta dal sottoscritto, perché credevo all’epoca che fosse il modo corretto per gestire i clienti, allineando i loro interessi a quelli di chi faceva le scelte di investimento, ma la realtà mi ha dimostrato che così non è.
Premesso che tale linea di gestione ha rappresentato nel tempo un massimo del 3-4% delle masse che noi avevamo “under advisor” poiché sono stati raccolti 7 milioni di euro su questa linea, mentre sulla linea con commissioni miste c’erano all’epoca oltre 100 milioni, il fatto che i clienti ritenevano il 25% dei propri guadagni una cifra troppo elevata da pagare evidentemente gli faceva propendere per una linea tradizionale dove le commissioni erano del 2% e del 10% di commissioni di performance.
Se avessi deciso di basare il business della DIAMAN esclusivamente su tale approccio, la realtà è che avrei chiuso la società molti anni fa, perché i costi fissi di una società seria che svolge attività di consulenza sono elevati, e se i ricavi sono incerti dopo pochi anni il meccanismo si rompe e quindi non c’è allineamento di interessi tra clienti e consulenti in quanto il cliente magari avrà pagato meno ma si trova senza consulente e il consulente è costretto a trovarsi un altro lavoro, ovvero uno scenario non proprio convergente di interessi…
Inoltre ipotizzando che un consulente avesse avuto 10 clienti partiti in periodi diversi con un tale approccio, se il primo cliente dopo aver pagato per alcuni anni si trova un 2008 dove perde il quindici per cento (come effettivamente è successo), il cliente è contento perché ha perso molto meno del mercato, ma il consulente sa che da quel cliente per almeno un paio di anni non guadagnerà più, e quindi se vuole continuare a lavorare deve concentrarsi su clientela nuova che gli portino, grazie alle performance fee una redditività che gli permetta di vivere; sarebbero allineati in questo momento gli interessi del consulente e del cliente? Ovviamente no.
Immagino già che qualcuno obbietterà: ma per allineare gli interessi del cliente al consulente bisogna fargli dei portafogli che non perdono mai, così il cliente è contento e anche il consulente. Che è sul mercato da diversi anni ha già la risposta a questa obiezione, per gli altri che sono sui mercati finanziari da meno tempo gli chiedo di avere un po di pazienza e capiranno anche loro…
Qualcuno potrà dire, allora facciamo un servizio a solo commissione fissa, senza performance fee che porta il consulente (o il gestore è uguale) a rischiare di più di quello che dovrebbe con la conseguenza che se fa bene ne ha un beneficio economico e se fa male è il cliente che ci rimette.
A questa obiezione non mi sento di rispondere con i concetti filosofici ma con un esempio pratico: visto che la consulenza costa molto meno del servizio di gestione al cliente, sia esso istituzionale come nel nostro caso che privato come per i consulenti indipendenti, senza un minimo equilibrato di gestioni di performance derivante dal lavoro che abbiamo svolto, avremmo comunque chiuso l’azienda perché con le sole commissioni ricorrenti non avremmo pagato le spese fisse per diversi anni; per evitare di chiudere avrei dovuto alzare le commissioni fisse andando fuori mercato e creando comunque un’iniquità nei confronti del cliente perché se dovessi prendergli il 2% all’anno senza commissioni di performance, in 10 anni gli avrei prelevato oltre il 20% del capitale investito indipendentemente dai risultati ottenuti, e questo è iniquo lo stesso.
Quindi non essendoci una soluzione perfetta, la combinazione mista, commissioni ricorrenti e di performance, se sono equilibrate e corrette sono la soluzione migliore per il cliente, perché gli da garanzia che il servizio verrà erogato con professionalità e nel tempo.
Ovviamente le percentuali e le modalità di erogazione delle commissioni fanno la differenza e devono essere di buon senso per non far rischiare il clienti di più di quello che il suo profilo e i suoi obbiettivi richiedono, ma questo è un’altro argomento che magari tratteremo in futuro.

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