Fed e Cina pesano sulle Borse: esposizione azionaria ridotta a livello neutrale

A cura di Pictet Asset Management Strategy Unit
Anche se nel mondo sviluppato prosegue la ripresa economica, riteniamo sia giunto il momento di diminuire l’allocazione alle azioni. L’investimento nell’asset class è stato infatti ridotto a neutrale. Il prossimo inasprimento dei tassi USA, per quanto graduale, potrebbe infatti esercitare un impatto negativo sulla liquidità globale e limitare i corsi azionari. Contestualmente, aumentiamo la quota di cash e manteniamo un assetto neutrale sul reddito fisso, dove il recente rally dei titoli di Stato sembra destinato a svanire.
Gli indicatori del ciclo economico segnalano una modesta ripresa dell’economia globale in giugno, il secondo mese consecutivo di espansione. Tali dati riflettono i progressi della congiuntura statunitense, ancora sostenuta dal solido trend di crescita del mercato del lavoro, senza contare la forza relativa del settore immobiliare. D’altro canto, nel secondo trimestre si è registrata una contrazione della produzione industriale, in linea con quanto accade in diversi altri Paesi.
Mentre la fiducia dei consumatori e gli stipendi aumentano, la produzione industriale è debole o in flessione. Forse i produttori stanno mettendo mano alle scorte per far fronte alla domanda: in tal caso, una volta esaurite le scorte, la produzione riprenderebbe. In Europa, la ripresa prosegue anche se l’attività è in rallentamento rispetto ai mesi scorsi, essenzialmente a causa delle incertezze suscitate dalla questione greca. Lo slancio economico, dopo il picco di febbraio, è stato frenato dalla debolezza della Germania. Una decelerazione in parte compensata dalle principali economie della periferia europea, come la Spagna. Tuttavia, mentre i consumi crescono in tutta la regione, sinora non si è visto un incremento significativo degli investimenti.
In Giappone la spesa al consumo è sostenuta dall’aumento degli stipendi, mentre la produzione industriale e gli investimenti in c/c languono a indicazioni soddisfacenti circa i volumi di affari. causa della scarsa domanda delle economie asiatiche (in rallentamento) e in particolare della Cina; di qui la flessione di alcuni indicatori prospettici. L’andamento della crescita nipponica non è ancora motivo di preoccupazione, dal momento che la domanda interna resta solida, come dimostrano le vendite al dettaglio e l’irrobustimento del mercato residenziale. Preoccupa invece il rallentamento del la Cina, importante motore dell’economia che negli ultimi cinque anni ha rappresentato il 35% della crescita globale.
Vi sono però segnali di un’imminente inversione di tendenza. Gli ultimi dati sono risultati superiori alle attese e la maggiore robustezza del settore dei servizi cinese sembra compensare in parte la scarsa performance di quel lo manifatturiero. La recente volatilità del mercato azionario costituisce un rischio politico. I frequenti interventi delle autorità non sono serviti ad arginare la flessione delle piazze azionarie interne, sollevando dubbi sulla validità delle decisioni e sull’efficacia del processo di riforma del mercato. Molti altri Paesi emergenti appaiono ancora relativamente deboli rispetto alle economie avanzate, con alcune eccezioni, l’India ad esempio.
Quanto alla liquidità, i nostri indicatori suggeriscono che la crescita della massa monetaria ha raggiunto il livello massimo nel primo trimestre per poi rallentare, probabilmente a causa della minore offerta negli USA in vista del primo rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve, previsto per la fine dell’anno. Tali sviluppi potrebbero preannunciare l’arrivo di un periodo volatile, poiché i nostri modelli indicano che le correzioni del mercato si verificano circa uno o due trimestri dopo il picco minimo della liquidità. Al contempo, la flessione dei nostri indicatori del ricorso al credito (che si basano sulle variazioni dei flussi di credito per prevedere cambiamenti nell’attività di prestito) sia negli USA che in Giappone segnala un possibile rischio per la crescita. Molto dipenderà dalle tempistiche e dalla portata dell’inasprimento della Fed.
A nostro avviso, il primo rialzo avverrà quasi certamente entro fine anno, ma, date la continua debolezza dell’economia mondiale e le pressioni deflazionistiche legate ai bassi prezzi di energia e commodity, il ritmo dell’inasprimento sarà probabilmente molto più lento che nei cicli precedenti. Passando al sentiment, all’inizio del secondo semestre il rally dell’S&P 500 è rappresentato da un numero sempre inferiore di società, data la costante flessione della percentuale di titoli che scambiano sopra i massimi a 50 giorni.
La situazione attuale ricorda quella che ha preceduto la bolla azionaria di fine anni ‘90. Altri indicatori del sentiment sono nel complesso neutrali, anche se i flussi suggeriscono un posizionamento nel complesso cauto. Quest’anno, gli investimenti retail su fondi azionari hanno totalizzato 40 miliardi di dollari contro i 110 miliardi di dollari investiti in fondi obbligazionari. Guardando alle valutazioni relative delle varie asset class, riteniamo che il rally azionario possa essere prossimo ad una fase di assestamento. I P/E si attestano tuttora decisamente al di sopra degli standard di lungo periodo, soprattutto negli USA dove le azioni sono scambiate quasi a 18 volte gli utili del 2015.
Gli scarsi rendimenti obbligazionari hanno sostenuto le valutazioni azionarie, ma affinché i corsi salgano dai livelli attuali, occorre un’accelerazione degli utili di cui ancora non v’è traccia. I risultati del secondo trimestre sono stati sinora eterogenei. Nel complesso, le società hanno battuto le stime di consensus sugli utili sia negli Stati Uniti che in Europa, ma non hanno fornito indicazioni soddisfacenti circa i volumi di affari.

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