La Cina svaluta lo yuan. Titoli del lusso in affanno a Piazza Affari

Ormai è una guerra e la Cina ci è entrata a pieno titolo e in diretta concorrenza con il dollaro. Gli ultimi dati del mercato auto con un -7% annuo e il -8,3% dell’export, sono stati un ulteriore input per il governo di Pechino per intervenire sullo yuan a rilancio di un’economia che non perde occasione per lanciar segnali di allarme e debolezza.
Molte le critiche piovute addosso alle autorità cinesi, ree di aver preso provvedimenti troppo pesanti oltre che costosi e a fatti già accaduti. Un risultato pari a -30% dopo una serie di corse sfavillanti che sono state nutrite soprattutto da una popolazione di 90 milioni di traders per lo più sprovveduti, come nella “migliore” tradizione del parco buoi.

La svalutazione Ecco allora che le autorità di Pechino hanno deciso di portare il punto medio dell’oscillazione giornaliera massima al 2% con l’intento di dare “peso alle forze di mercato” ma anche con il risultato di rafforzare il dollaro ulteriormente.
Un altro tassello della guerra valutaria, questa volta con un marchio potentemente interventista da parte del governo centrale cinese, marchio che appanna la reputazione dello yuan come possibile valuta di scambio internazionale. Un contrasto fra le due strategie, entrambe adottate dal governo cinese, che ha il sapore del panico e che conferma oltre i timori di un’economia anemica (o per lo meno incapace di reggere gli standard degli ultimi decenni) anche una forte indecisione di sottofondo.

Da parte sua, intanto, il FMI ha rinviato al prossimo anno, per la precisione a settembre 2016, la decisione circa l’inserimento dello yuan nel paniere dei diritti speciali di prelievo.

Le conseguenze Tra le conseguenze più immediate dell’odierna svalutazione dello yuan, impossibile non citare i timori del comparto export italiano, moda su tutti, che vede, nell’indebolimento della moneta, anche una diminuzione delle esportazioni, proprio adesso che i dazi sulle merci importate erano stati praticamente dimezzati per molti grandi nomi. Guardando ai nomi Salvatore Ferragamo perde il 2,65%, di più Tod’s con il 3,56% mentre Luxottica si ferma all’1,93% e Moncler al 2,15%.

Le strategie Pechino deve affrontare una situazione, quella del crollo finanziario, che i vertici non avevano previsto né nel suo nascere e tantomeno nella sua esplosione e che, trovatasi davanti, è stata calvalcata con un’entusiasmo che difficilmente avrebbe potuto essere creduto genuino visti i precedenti storici internazionali: possibile che il Dragone non avesse intuito che qualcosa non andava? Difficile crederlo.
Anche perché è dal 2011 che si stanno creando le basi per una liberalizzazione del mercato e uno stimolo della domanda interna, quindi erano più che prevedibili non solo le attuali instabilità, ma anche il calo reale dell’economia: 12% solo 4 anni fa, 7% oggi, almeno stando alle stime ufficiali le quali, a loro volta, non sono prese mai tanto sul serio dal momento che qualcuno azzarda a un 5% di Pil se non addirittura a proiezioni che vogliono una stabilizzazione intorno al 3-4% per i prossimi anni.
Insomma un miracolo cinese, in un secolo cinese che alla fine diventa nulla più che una realtà adagiata sugli standard europei dei tempi migliori.

Ricchezza e finanza Ma il conteggio del Pil cinese merita un discorso a parte perché è il classico esempio della diatriba fra numeri e ricchezza ovvero fra finanza ed economia: i numeri parlano di una crescita continuata ede effettiva con stadi che vengono costruiti, cità intere che si alzano nel giro di pochi mesi, interi quartieri edificati per esigenze abitative e investimenti statali che continuano ad arrivare.

Salvo poi non creare ricchezza alcuna dal momento che le case restano vuote e le infrastrutture spesso sono inutilizzate. Eppure sulla carta hanno permesso al Pil di arrivare al 7% anche quest’anno senza che nessuna ricchezza venisse creata: un giro inutile di numeri a vuoto. Ecco allora spiegato il calo della vendita di auto e le difficoltà, almeno sul momento, di stimolare la domanda interna.

A tutto discapito delle commodity in primis, dal momento che la Cina divorava la metà della produzione mondiale e, con ogni probabilità, era lei a sostenere il mercato intero.

Attualmente i prezzi delle materie prime hanno subito cali che oscllano tra il 30% e il 50% e con un petrolio che continuerà a cadere morso nella stretta della tempesta perfetta formata da un continuo surplus di offerta, ottimizzazione dei metodi estrattivi e bassa crescita mondiale.
a cura di Trend Online

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