Dopo Grecia e Cina è la volta degli Usa essere nel mirino

di Mark Burgess, Chief Investment Officer EMEA e Responsabile azionario globale di Columbia Threadneedle Investments

Nelle ultime settimane due problematiche hanno dominato i mercati: la Grecia e la Cina. Riguardo alla Grecia riteniamo che un “accordo” sia forse meglio di niente a breve termine e che elimini il rischio immediato di un’uscita del paese dall’area euro, la cosiddetta “Grexit”. I mercati hanno accolto la notizia con favore e il senso di inquietudine che ha aleggiato tanto a lungo si è leggermente attenuato.

Le conseguenze a lungo termine del fallimento greco e dell'”accordo” con l’Eurogruppo sono molto meno favorevoli. Diversi osservatori, inclusi eminenti economisti come il premio Nobel Paul Krugman, hanno aspramente criticato la proposta di salvataggio. Occorre riconoscere che il piano di salvataggio rappresenta il fallimento della democrazia e l’erosione della sovranità, dal momento che i greci avevano già respinto un piano di riforme economiche molto meno oneroso mediante un referendum.

L’aspetto più negativo della crisi e i cui effetti si propagano ben oltre la Grecia è che probabilmente nessuno degli altri Stati membri dell’area euro si fiderà più delle intenzioni della Germania in futuro. Sarà inoltre interessante vedere in che modo il trattamento riservato alla Grecia dall’Eurogruppo influenzerà gli elettori britannici nel prossimo referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’UE.

Indipendentemente dai punti di vista riguardo alla crisi greca (o all'”accordo” proposto dall’Eurogruppo), la verità irrefutabile è che ora il debito della Grecia non è più sostenibile di quanto non fosse in precedenza. Il grafico in allegato illustra che in una lieve recessione, uno scenario tutt’altro che improbabile alla luce dell’entità dei tagli della spesa in programma, il rapporto debito/PIL della Grecia rimarrà assolutamente ingestibile su un livello del 170% del PIL per alcuni anni.

A nostro avviso, affinché il debito greco diventi sostenibile, è essenziale una forma di ristrutturazione. Persino l’FMI, uno dei maggiori creditori del paese, ha sollecitato un alleggerimento del debito “nettamente superiore al livello finora considerato”. Tuttavia, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha più volte affermato che un condono del debito è semplicemente “fuori discussione”.

In Asia, le borse della Cina continentale hanno subito un crollo nel secondo trimestre. Le autorità hanno reagito con una serie di misure volte a stabilizzare il mercato, tra cui tagli dei tassi d’interesse e dei coefficienti di riserva obbligatoria, la sospensione delle IPO (che riducono la liquidità del mercato), il divieto ai maggiori azionisti di vendere i loro investimenti per sei mesi, l’imposizione di limitazioni alle vendite allo scoperto e l’incoraggiamento a banche, società di intermediazione e compagnie assicurative ad acquistare azioni. Anche le regole relative alle operazioni di marginazione (“margin lending”) e ai collaterali sono state allentate. Tuttavia, l’intervento più deciso è giunto dalla banca centrale cinese, che si è impegnata a fornire “abbondante liquidità” e a proteggere il paese dai rischi sistemici e regionali.

Anche se probabilmente il mercato azionario cinese rimarrà volatile nel breve periodo, riteniamo che l’impatto sull’economia reale del paese sarà limitato, poiché la debolezza delle borse si sta verificando in un contesto di aumento della liquidità. Vale la pena di ricordare che il finanziamento con capitale di rischio ha iniziato ad assumere maggiore rilievo in Cina solo di recente: le banche e i mercati obbligazionari rimangono la principale fonte di finanziamento per le società. La durata del boom dei mercati azionari e ora il suo fallimento sono stati troppo brevi per poter avere effetti significativi sul benessere finanziario del paese (e da inizio anno la borsa è ancora in rialzo per il 2015), anche se l’incipiente ripresa del mercato immobiliare può risentire delle recenti dinamiche.

Alla luce degli sviluppi in Grecia e in Cina, gli Stati Uniti sono passati in secondo piano nelle ultime settimane, ma dalla presidente della Fed Janet Yellen è giunto il segnale finora più chiaro che gli aumenti dei tassi negli USA sono estremamente probabili e potrebbero verificarsi già a settembre. L’orientamento della Fed è in contrasto con quello dell’FMI, secondo cui i tassi d’interesse statunitensi dovrebbero rimanere invariati per quest’anno. Abbiamo affermato sin dall’inizio che i mercati e le economie avrebbero affrontato un lungo percorso verso la normalizzazione, ma ora sembra che la Fed sia pronta al decollo.

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