Nella guerra valutaria la sterlina guadagna su tutti. Petrolio ai minimi da sei anni

Le svalutazioni della PBoC hanno rimesso i riflettori sulle cosiddette “guerre valutarie”, ovvero alla lotta tra i vari paesi per deprezzare la propria divisa e ottenere dei vantaggi competitivi per le proprie imprese domestiche. Ma sono veramente “guerre valutarie”? Crediamo che al momento siano soprattutto i fattori fondamentali a muovere il mercato valutario e non decisioni unilaterali delle banche centrali per spingere le esportazioni.
Guardiamo le valute dei paesi emergenti. Nelle ultime settimane contro il dollaro statunitense il ringgit malese ha perso il 7%, la rupia indonesiana il 2,6%, il bhat thailandese il 2%. Le prossime manovre restrittive della FED hanno portato, come in passato, a un forte deflusso di capitali dai paesi emergenti verso lidi più convenienti. Con il rialzo dei tassi statunitensi le attività statunitensi diventeranno infatti sempre più appetibili da parte degli investitori, aumentando così lo spostamento di capitali da emergenti a Stati Uniti (e altri paesi occidentali).
Oggi, con la pubblicazione dei verbali dell’ultima riunione del FOMC di luglio (che tuttavia non terranno conto delle recenti mosse della PBoC) e l’annuncio delle cifre sull’inflazione avremo maggiori dettagli sulle tempistiche del rialzo del costo del denaro negli States. Soprattutto i dati sui prezzi al consumo saranno fondamentali per convincere anche i membri più dovish (e sono tanti) della commissione operativa che è arrivato il momento di cambiare rotta in politica monetaria. Manteniamo ancora forti dubbi che la FED possa rialzare i tassi già da settembre soprattutto sulla scia di recenti cifre macro non particolarmente brillanti.
Forti deprezzamenti anche per le valute dell’economie legate al petrolio. Nella seduta di ieri il light crude si è avvicinato ai bottom degli ultimi 6 anni a 41,40 dollari al barile. Riteniamo che le prospettive sui prezzi oil nel medio periodo (3 mesi) siano ancora negative sulla scia di un prolungamento dell’oversupply con il probabile aumento della produzione di greggio in Iran. Osservando le valute, notiamo che il rublo russo contro dollaro negli ultimi 3 mesi ha perso il 30%, il peso messicano il 10%, la corona norvegese il 14%.
Tra le valute sofferenti dobbiamo citare anche la lira turca. La divisa di Istanbul crolla sulla scia sia delle tensioni geopolitiche ai propri confini con i problemi con la popolazione curda e l’avanzata dello Stato Islamico che delle questioni politiche (forti difficoltà a formare un nuovo governo).
Unica eccezione è la Cina che con le spalle al muro per il forte rallentamento dell’economia sta provando a rivitalizzare il sistema con stimoli monetari e con la svalutazione dello yuan per spingere le esportazioni. Sarà molto interessante seguire il simposio organizzato dalla FED di Kansas City (fine agosto) nello Wyoming a Jackson Hole dove si riuniranno tutti i principali banchieri centrali del mondo. Ci aspettiamo una forte critica da parte degli Stati Uniti sulle misure inattese della PBoC.
In controtendenza rispetto all’andamento delle principali valute è la sterlina UK. Ad apprezzare la divisa del Regno Unito (oggi regina del Forex) è stata la pubblicazione di inattesi dati sull’inflazione. I prezzi al consumo su base annuale hanno evidenziato un rialzo dello 0,1% e quelli core dell’1,2%. La Bank of England sta monitorando attentamente le variabili macroeconomiche per intervenire con un incremento dei tassi (al momento al minimo storico dello 0,50%).
Crediamo tuttavia che la BoE aspetterà la FED prima di agire sui tassi. Ci aspettiamo, quindi, un rialzo dei tassi in Gran Bretagna nel primo trimestre 2016.
A cura di Filippo Diodovich, market strategist IG

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