Borse in preda della sindrome cinese e greca

A cura di Giuseppe Sersale, strategist di Anthilia Capital Partners

Dopo un primo trimestre fin troppo facile e ottimista, questo 2015 sta diventando l’anno dei fantasmi. Il primo, comparso ad Aprile/Maggio, fa quasi tenerezza, a distanza di appena 4 mesi. Una correzione dei rendimenti dei bonds comparsa in concomitanza con un timido rimbalzo di petrolio e commodities venne additata da molti come l’inizio di una fase di reflazione, tale da destabilizzare i tassi, impattare sulle politiche monetarie globali, addirittura condurre ad una conclusione anticipata del QE di Draghi. In realtà si trattava degli effetti della liquidazione di un eccesso di posizionamento sui bonds europei nato da un equivoco sull’impatto del QE di Draghi sul mercato governativo europeo.

Il secondo, onestamente, è stato assai più reale, alla fine. La crisi greca, per la quale il normale buonsenso suggeriva l’epilogo che poi si è avuto, è giunta, a inizio luglio, ad un passo da una pericolosa deriva, prima che Tsipras, messo con le spalle al muro dall’ EU, facesse un passo indietro dal burrone. Resta però da vedere se l’impatto sui mercati sarebbe stato cosi nefasto. Ed ora ci troviamo ad avere a che fare col fantasma dell’implosione dell’economia cinese, a turbare il sentiment globale. L’incauto posizionamento della manovra sul cambio ha esacerbato un clima già reso cupo dal calo delle commodities, fornendo gli ingredienti per una “growth scare globale” Che la matrice della recente fiammata di volatilità sia quella lo si nota anche dalla performance degli asset più interessati da un eventuale crollo della domanda cinese (vedi DAX – 10% in 8 sedute). Per le commodities è un circolo vizioso. Più scendono, più alimentano i timori macro, che riverberando sulla domanda attesa, le indeboliscono.

Il fatto che le minute FED ieri abbiano riportato preoccupazioni sulla situazione cinese (nota che il FOMC a cui si riferiscono è quello di fine luglio) ha più che bilanciato l’effetto della dovishness delle stesse. Tanto e vero che Wall Street, dopo un rimbalzo, è tornata a scendere.

Ne stamattina in Asia il sentiment poteva essere diverso. Dopo il Vietnam ieri, anche il Kazakstan ha svalutato la sua divisa (23%) abbandonando il peg. Dopo la Cina, tutti si sentono autorizzati a farlo. E’ evidente che è tra i piccoli emergenti c’è una corsa al recupero di competitività. Un’altra seduta volatile di Shanghai non ha aiutato. Tokyo è giunta a ridosso del supporto di 20.000 punti di Nikkei (e salvo sorprese stanotte aprirà sotto quel livello). Tra gli altri indici solo Taiwan, stra ipervenduta, ha tenuto.

Con queste premesse, l’Europa oggi non poteva aprire bene ed infatti si è trattato di un altra mattinata cupa, con gli occhi puntati ai dati del pomeriggio in US a caccia di segnali del rallentamento globale. Agli indici europei non ha giovato la forza dell’€, ovviamente in denaro contro dollaro alla luce della riduzione delle probabilità di una mossa a Settembre.

Nel pomeriggio, non è che questa stringa di dati US abbia fornito molto supporto alla teoria del rallentamento. Se i jobless claims restano a livelli frizionali, il Philly Fed di agosto, che molti temevano sui livelli dell’Empire Manufacturing, ha invece battuto le stime (8.3 da prec 5.7 e vs attese per 6.5). I dettagli confermano sostanzialmente la positività, con le attese a 6 mesi ai massimi da gennaio. Ancora meglio le vendite di case di luglio ai massimi da 8 anni (+2% da prec +3% e vs attese per -1.1%).

Nondimeno, Wall Street ha preso robustamente la via del ribasso, trascinando ad una chiusura pessima gli indici europei, sul cui mood ne pomeriggio può aver anche pesato la notizia che Tsipras sarebbe intenzionato a sciogliere il parlamento e indire nuove elezioni in settembre. Sicuramente lo ha avuto sui bond periferici, che hanno cancellato i progressi di giornata, costruiti grazie a aste spagnole ben accolte. Personalmente, non mi sembra una mossa cosi insensata da parte del Premier greco, una volta assicurato il nuovo programma, di puntare ad un governo con maggiore sostegno, e ridurre i membri radicali. Ovviamente ci sono dei rischi, ma a mio modo di vedere non superiori al proseguire con un governo di minoranza, quando vi sono tutti i provvedimenti promessi nel memorandum da attuare.

La giornata europea ha i toni della disfatta, con cali superiori al 2% per la maggior parte degli indici. Nemmeno un mini rimbalzo del petrolio ha alleviato la risk adversion. L’Eurostoxx si sta avvicinando ad ampie falcate al minimi segnato il 7 di luglio, 2 giorni dopo la vittoria del Si al refererendum greco (un altra giornata come oggi e lo tocca). Il Dax, danneggiato dai legami con la Cina di molti dei suoi “campioni” (si veda il settore auto), tratta addirittura sotto, trovandosi a circa 4 punti percentuali dal livello di 10.000 punti abbandonato a gennaio. Le controparti riferiscono volumi oltre il 50% superiori alla media mensile, il che suggerisce che, nonostante agosto, l’ammontare di capitulation nel mercato oggi sia stata significativa, degna di precedere un bottom di breve. Il buonsenso suggerisce che i supporti citati dovrebbero tenere (in particolare alla luce della rapidità con cui son stati raggiunti). Ma il buonsenso sembra merce rara quest’estate.

Inoltre oggi abbiamo la pubblicazione dei PMI flash di agosto in molti paesi (Cina, Giappone, Eurozone, Germania, Francia e US) e rilevanti miss difficilmente verrebbero accolti bene, in particolare in Cina ed Europa. Il Market News China Business Indicator di agosto, uscito stamattina ai massimi da un anno (57.1 da 48.8 di luglio) lascia been sperare, anche se i mercati lo hanno totalmente ignorato. Incrociamo le dita. Personalmente, come illustrato i giorni scorsi, resto convinto che i timori sulla Cina siano esagerati, e il pessimismo sugli emergenti, per una volta, eccessivo. Illuminante, per definire l’attuale sentiment sui mercati è il “fear and greed index” di CNN Money, stabilmente su “extreme fear” da alcuni giorni.

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