Yuan cinese verso la trasparenza

A cura di Peter Sengelmann, Senior Portfolio Manager, Emerging Market & Asian Debt – Local Currency e Local Bonds di NN Investment Partners
L’11 agosto lo yuan è sceso dell’1,9% contro il dollar USA. A prima vista questa svalutazione attuata dalla Banca Popolare Cinese è sembrata favorevole. Quando l’Argentina abbandonò l’ancoraggio al dollaro nel 2001, il Peso crollò del 40% in un giorno. La mossa della Svizzera per eliminare il tetto al tasso di cambio con l’euro, lo scorso gennaio, ha causato un rialzo della valuta del 19%. Al confronto, il movimento dello yuan appare insignificante.
Eppure, i mercati hanno reagito in modo drammatico. Il Financial Times ha definito la svalutazione a sorpresa di Pechino una “escalation di guerre valutarie” e il Guardian ha sostenuto che questa iniziativa potrebbe essere “meglio interpretata come un segnale di stress da parte di Pechino”. Per alcuni analisti la svalutazione dello yuan è stata una mossa per rilanciare le esportazioni della Cina  poichè stava perdendo il controllo sulla sua economia. Il timore è che lo yuan sia entrato in una spirale discendente.
Il regime dei cambi in Cina funzionava così: la banca centrale fissava ogni giorno la parità del renminbi, il cosiddetto «midpoint», e nel corso della giornata interveniva per evitare che il tasso di cambio oltrepassasse il limite del 2% sopra o sotto il punto medio. I critici sostengono da tempo che la Cina abbia manipolato la sua moneta per mantenerla artificialmente a buon mercato. Il tasso di cambio giornaliero di riferimento (daily fixing rate), dopo tutto, era una black box, determinato mediante un metodo conosciuto solo dai decisori politici cinesi. Per gran parte dello scorso anno, tuttavia, lo yuan aveva resistito nei confronti dell’apprezzamento del dollaro, mentre le altre valute asiatiche avevano perso fino  all’8% da inizio anno a fine luglio. Il risultato è stato un ancoraggio di fatto pari a circa 6,20 yuan per dollaro nel corso degli ultimi quattro mesi.
La riforma annunciata l’11 agosto ha cambiato queste dinamiche. La banca centrale cinese ha attuato solo una contenuta svalutazione dello yuan e ha dichiarato che il «midpoint» sarebbe stato molto vicino al tasso di chiusura a cui erano avvenuti gli scambi il giorno prima invece di un valore determinato a porte chiuse. Questo ha permesso alla valuta di essere scambiata a un tasso determinato dal mercato, ma ha anche aperto la strada a una debolezza valutaria di breve termine. I timori del mercato su una possibile più ampia svalutazione dei cambi cinesi si sono rafforzati quando il 12 agosto il tasso è stato fissato a 6,3306 e lo yuan è sceso di nuovo. Tuttavia, la Cina stava semplicemente facendo quello che aveva preannunciato, poiché la chiusura di giornata dell’11 agosto era 6,3250. Nel corso dei due giorni, lo yuan è calato del 3% nei confronti del dollaro, facendo temere che questo potesse segnare l’inizio di un deprezzamento sostenuto.
Cosa ha spinto la Banca Centrale Cinese a svincolare il suo regime valutario? Una teoria popolare è che si sia trattato di una mossa per rilanciare la crescita. Tuttavia questo non sembra plausibile. Innanzitutto perchè un calo nominale del 3% dello yuan ha un impatto minimo in termini di cambio effettivo reale. Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, lo yuan è sopravvalutato di circa il 32% rispetto ai suoi partner commerciali e rappresenta la valuta più costosa tra i 60 paesi (escludendo il Venezuela). Se si fa un paragone, India e Indonesia risultano entrambe sottovalutate di circa il 10%. La minima svalutazione dello yuan non è stata certo sufficiente ad aumentare la competitività delle esportazioni.
La banca centrale è inoltre intervenuta per evitare un deprezzamento eccessivo dello yuan e per scongiurare la possibilità di una guerra valutaria. Appena due giorni dopo la svalutazione iniziale, la banca centrale ha ordinato alle banche a partecipazione statale di vendere dollari e comprare yuan per stabilizzare la valuta. La scorsa settimana sono stati apportati circa 150 miliardi di yuan nel sistema bancario, realizzando la maggiore iniezione di denaro dall’inizio di febbraio. Le autorità finanziarie hanno inoltre sottolineato che non vi erano i presupposti per il perdurare della svalutazione e che sarebbero intervenute per frenare fluttuazioni più ampie. Confermando le dichiarazioni fatte, le autorità sono riuscite a mantenere il tasso spot stabile a circa 6,39 nel corso degli ultimi giorni.
La decisione di Pechino di modificare il meccanismo valutario è stata motivata dalla necessità di accelerare la riforma sul tasso di cambio. In primo luogo, questa misura va a integrare l’impegno già mostrato del governo verso la liberalizzazione del settore finanziario e delle attività in conto capitale, considerato che gli investitori hanno ricevuto sempre maggiore libertà nel movimentare grandi somme all’interno e al di fuori della Cina. In secondo luogo, Pechino non ha fatto mistero del suo desiderio di includere lo yuan nel paniere di valute SDR del Fondo monetario internazionale (FMI), che include dollaro USA, euro, yen e sterlina. Il criterio è che la moneta deve essere “liberamente utilizzabile”.
In effetti, il FMI è rimasto impassibile verso la svalutazione attuata dalla Cina. L’ente internazionale ha considerato la misura come un passo positivo nel consentire alle forze di mercato di avere un ruolo più importante nel determinare il tasso di cambio e ha dichiarato che lo yuan è destinato a diventare una valuta a libera oscillazione nei prossimi anni. Altre riforme sui tassi di cambio sono in cantiere, tra cui l’estensione delle ore di trading sullo yuan e la promozione della convergenza tra i tassi di cambio onshore e offshore.
Il cambio fisso dello yuan è stato quindi abbandonato. Il midpoint giornaliero è ora determinato dal cambio a pronti – come evidenziato dalla riduzione del divario tra il tasso a pronti reale e il fixing giornaliero da oltre 8 bps fino a quasi zero oggi-. Tuttavia, lo yuan ha molta strada da fare prima di diventare una valuta a libera oscillazione. Per ora, la banca centrale esercita ancora un controllo significativo e sembra determinata a mantenere il tasso a pronti a 6.40 fino a quando si ridurranno le pressioni di vendita. Tale controllo però grava pesantemente sulle riserve valutarie, accelerandone l’esaurimento.  Considerando però l’altro lato della medaglia, d’ora in avanti lo yuan è destinato a diventare sempre più trasparente.

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