A cura di Corrado Caironi, investment strategist di Ricerca & Finanza
Volatilità intraday vicino a 30. Prima le rassicurazioni del presidente Draghi sul buon andamento del QE lanciato a marzo dalla BCE, poi il calo dal 5,3% al 5,1% del tasso di disoccupazione negli Stati Uniti, ed infine la pausa del mercato cinese per le festività nazionali, non sono riusciti a frenare un mercato azionario ormai da tempo sotto pressione. Anche l’esito della riunione del G20 in Turchia non è stato poi così convincente; le promesse della Cina per una migliore gestione delle politiche monetarie, dei mercati finanziari e di indirizzo economico orientato alla stabilità, non hanno convinto molto: gli insuccessi sulla gestione delle bolle mobiliari ed immobiliari cinesi non sono stati troppo velati, mentre la convinzione che il rallentamento economico continui è posto in secondo piano rispetto all’indecisione della Fed sul piano di rialzo dei tassi di interesse.
Prospettive non così negative per i gestori. Gli analisti ritornano comunque a guardare con fiducia ai mercati nei prossimi mesi; le valutazioni così ridimensionate sono sicuramente più appetibili. In termini fondamentali, la crescita economica non è poi così in difficoltà: rimangono buone le prospettive su tutte le aree sviluppate e di stabilizzazione per quelle emergenti; inoltre il rialzo dei tassi in Usa è un segno positivo se visto come ripresa di potere monetario da parte della banca centrale in un processo di normalizzazione dei rendimenti. Infine le statistiche indicano che dal 1980 tutti i rialzi dei tassi di interesse promossi dalla FED hanno visto, almeno nella fase iniziale un buon andamento delle borse. La riflessione rimane comunque legate a questo ciclo ‘new normal’; nei precedenti rialzi il ciclo economico era in una fase matura e l’inflazione cominciava ad essere un rischio evidente! Ora la situazione non sembra poi così verosimile: l’economia viaggia ad un passo comunque lento e anche dal punto di vista inflazionistico i rischi rimangono veramente contenuti.
Principali dati attesi in settimana. In Europa: Industrial Production e riunione BoE in UK, Activity Data nell’area Euro Area. In Asia: Revised real GDP Growth e Machinery orders in Giappone e tasso di disoccupazione in Australia. Negli Emerging Markets: GDP e dati CPI in diversi paesi; Central Bank Meetings in Peru, Malesia, Russia e Korea.
Yuan Sopravalutato? Forse Sì! Il tasso di cambio tra dollaro Usa e Yuan sembra stabile sotto 6,4 (USDCNY:CUR) mentre i mercati finanziari tornano a scommettere sui tempi del rialzo della FED con un recupero del dollaro. La preoccupazione di una svalutazione della valuta cinese è stata per il momento arginata, dopo gli interventi della banca centrale PBoC (People Bank of China), e le immissioni di liquidità atte a tenere il sistema finanziario cinese in equilibrio. Le tensioni erano in corso da qualche tempo per l’estenuante caduta dei listini azionari cinesi, mentre si sono acuite recentemente in seguito al calo di fiducia sull’economia orientale che ha invaso tutti i mercati internazionali.
Una svalutazione limitata. La domanda ancora in testa agli investitori è: “Il calo dello Yuan rispetto al dollaro statunitense è stato sufficiente o ci si devono aspettare altre svalutazioni?” In effetti la perdita di valore della moneta cinese si è dimostrata limitata al 4% e questo lascia aperti alcuni dubbi sugli effetti reali rispetto ad eventuali obiettivi politici. In verità se si fosse pensato ad un rilancio di crescita economica ed aumento delle esportazioni, il calo doveva essere più marcato, nella misura di oltre il 10%, per essere capace di generare un impatto sulla seconda economia mondiale. Gli interventi della PBoC a sostegno della sua moneta escluderebbero quindi una strategia di svalutazione se non estremamente controllata. Bisogna anche sottolineare che in questi anni è molto cresciuto l’indebitamento privato in valuta forte, quale il dollaro Usa, e questo porterebbe problemi sui rimborsi.
Movimenti premonitori? Gli analisti per rispondere indirettamente alla domanda sottolineano che la Banca Internazionale dei Regolamenti (Bank of Interna-tional Settlements) stima una sopravalutazione dello Yuan di oltre il 30% rispetto ai suoi partner commerciali e alle valute più ‘costose’ tra i 60 paesi più importanti. In effetti aggiungono che storicamente la Cina ha saputo giocare con attenzione il ruolo della sua moneta a livello internazionale. Prima della crisi del 2008 il governo ha mantenuto basso il valore dello Yuan per sostenere la competitività e aumentare le proprie riserve valutarie. Dopo la crisi finanziaria si è assistito ad un lento e graduale apprezzamento contro dollaro, da 6,8 fino a 6,05 di inizio anno, trascinato dall’espansione economica e dall’aumento del credito. Negli ultimi due anni la situazione economica internazionale è cambiata, con il calo dell’Euro, la debolezza di mercati emergenti e la caduta dei prezzi delle materie prime, ingenerando importanti variazioni nel livello dei cambi.
PBoC vuole ancora il controllo. Gli analisti sono convinti che sarà il decoupling di politica monetaria ad indurre la successiva svalutazione dello Yuan in virtù di due politiche monetarie opposte, la FED orientata alla normalizzazione al rialzo dei tassi di interesse e la PBoC che continuerà nella sua politica accomodante. Le attese vedono gli interventi della banca centrale cinese dare spazio ad una maggiore flessibilità del tasso di cambio sebbene con un monitoraggio continuo. La valutazione stessa per l’ingresso della moneta cinese nel paniere delle valute convertibili del Fondo Monetario Internazionale è stato spostato al prossimo anno e questo sembra sostenere la tesi di un processo di un ulteriore aggiustamento nei rapporti valutari anche alla luce delle prossime scelte della FED.
Crescita in Asia sotto revisione. L’andamento alquanto altalenante dei mercati azionari sta riportando l’attenzione alle singole economie ed in particolare sulla capacità di sostenere prospettive economiche rispetto alle potenzialità di crescita. Da questo punto di vista gli analisti si sono maggiormente soffermati sulla regione asiatica che nelle ultime settimane è l’epicentro di un picco di volatilità.
New Normal. Il punto di partenza è il grado di cambiamento introdotto dal corso economico indentificato come “new normal” ovvero di tassi di sviluppo più moderati dopo la crisi finanziaria del 2008, aventi oggetto un lungo periodo di deleveraging. La nuova regolamentazione ed i modelli di controllo della leva finanziaria, principalmente nel sistema bancario, hanno condizionato l’espansione del credito privato e rallentato le aree di sviluppo. Per compensare questa realtà regolamentare, il ruolo di generatori di liquidità è stato delegato alle banche centrali attraverso politiche monetarie convenzionali e non. Ora serve capire quanto siano cambiate le prospettive alla luce di questo scenario e soprattutto delinearne il potenziale trend di sviluppo.
Potenziale crescita in Asia. Secondo gli economisti, l’Asia rimane la regione con più potenzialità di crescita anche nei prossimi anni. La moderazione dei tassi di sviluppo trovano comunque motivo in una crescita più lenta della popolazione in età lavorativa in molti paesi, oltre a fattori strutturali quali l’aumento dello stock di capitale e la produttività totale dei fattori produttivi. Rispetto ai due precedenti cicli economici, prima e dopo la recessione globale, ci si aspetta che Sud Corea, Tailandia e Singapore vedano un declino più forte nel potenziale di crescita nei prossimi anni, mentre Malesia, Indonesia, Filippine e India possano mantenere un buon trend. Secondo le recenti analisi la Cina, quale soggetto più influente, dovrebbe rimanere l’economia a più rapida crescita con tassi di espansione tendenziale di circa il 6,7% da qui al 2020.
Tassi di cambio. La capacità di individuare un trend di tassi potenziali di crescita economica ‘corretti’, trova una sua ragione nell’interpretare le mosse di politica monetaria delle banche centrali e nello stabilire tassi di cambio in equilibrio. Infatti il calcolo teorico di un Real Effective Exchange Rate (REER), tasso di cambio coerente con le diverse velocità potenziale di crescita economica, deve fare affidamento comunque alla produttività totale dei fattori: i paesi con una maggiore produttività dovrebbero vedere un apprezzamento più veloce dei loro tassi di cambio reali effettivi. Nell’attuale valutazione del potenziale disallineamento delle valute, è stato il caso di Singapore, Corea del Sud, Filippine e Cina nel corso degli ultimi anni; il Baht tailandese si è apprezzato meno della crescita implicita di produttività, mentre Indonesia, India e Malesia hanno visto i loro REER deprezzarsi.
Flussi commerciali. Secondo gli analisti finanziari molto è stato fatto in termini di riaggiustamento dei tassi di crescita potenziale in Asia, anche se fattori quali scelte di politica fiscale, velocità delle riforme strutturali e rischio inflazione, rimangono elementi determinanti nei risultati e delle possibili azioni tattiche monetarie. La Cina ad esempio nel suo piano di sviluppo non solo sta procedendo a compensare le mancate esportazioni con la necessità di creare le condizioni per maggiori consumi interni e servizi, ma di fare altrettanto sulle importazioni, soprattutto di materie prime, cercando di investire sul proprio territorio per esserne meno dipendente dall’esterno. Processi che trovano mutamenti sostanziali nei flussi commerciali e nei rapporti valutari futuri.