Liquidità: la festa non è ancora finita

di di Pierre Olivier Beffy, Chief Economist di Exane Bnp Paribas

La scorsa settimana, abbiamo pubblicato il nostro nuovo scenario macro-economico. Riteniamo che ci siano diversi fattori che invitano ad essere prudenti sul fronte macro nel brevissimo termine. Nonostante la stabilizzazione di diverse valute asiatiche, il terzo aggiustamento (da maggio 2013) del mercato valutario dei paesi emergenti potrebbe non essere ancora giunto ad una conclusione. Inoltre, le elezioni greche e spagnole hanno contribuito ad aumentare l’incertezza politica in Europa e continuiamo a credere che la FED proceda con un rialzo dei tassi quest’anno nonostante le recenti turbolenze sui mercati.

Detto questo, occorre fare un passo indietro per osservare cosa potrebbe accadere nei prossimi 6/12 mesi. Se non facessimo così, significherebbe che ci accontenteremmo di commentare quello che non va  quando i mercati ne sono già a conoscenza perdendo la nostra abitudine ad anticipare i principali movimenti macro.

Da un punto di vista macro, la domanda principale in questo momento è sapere se l’economia globale sia sull’orlo di una recessione. Ritengo ci siano diverse analogie con il 1998. Dopo la crisi del Sud-Est asiatico, ben peggiore rispetto a quella attuale, le economie dei mercati sviluppati hanno beneficiato di un significativo rialzo dei consumi grazie al calo del prezzo del petrolio e dei beni di importazione. La differenza principale sta nel fatto che oggi le economie emergenti rappresentano una quota molto più grande dell’economia globale. Per questo ritengo che il rallentamento dei paesi emergenti peserà sulla  crescita globale come già avviene dal 2011. Detto questo, non riesco a capire come ciò potrebbe mettere a rischio le economie dei paesi sviluppati i cui driver sono principalmente domestici.

Sebbene credo che la prossima crisi finanziaria sarà sicuramente nei paesi emergenti, ritengo che il fattore scatenante della prossima recessione globale sarà una recessione negli Stati Uniti. Il rialzo degli spread dei corporate americani e l’apprezzamento del dollaro dovrebbero essere gestibili nel 2016, specialmente ora che la politica fiscale è neutrale negli Stati Uniti. Nutriamo, invece, timori sul 2017, anno che segue le elezioni statunitensi e ricco di una serie di fattori (tempistica del picco dei margini aziendali, ammontare dei finanziamenti privati che arriveranno a scadenza, agenda elettorale, ecc.) che suggeriscono un aumento della probabilità che possa verificarsi una recessione negli USA. In particolare, ritengo che si potrebbe registrare un cambio di direzione della locomotiva americana nel secondo semestre del 2017.

Per quanto riguarda la liquidità globale, il forte calo delle riserve internazionali nel corso dell’ultimo anno  (600 mld di dollari) ha sollevato timori sul livello di liquidità complessiva in dollari del sistema finanziario, con conseguente pressione al rialzo sui rendimenti obbligazionari. Non penso che questi timori siano condivisibili. Al contrario, il calo dell’inflazione attesa e l’incapacità delle banche centrali di portare l’inflazione al livello target mostra come il rischio maggiore sia deflazionistico e non inflazionistico. Inoltre, in un momento in cui le riserve mondiali sono in calo, la base monetaria accelera maggiormente. Infine, tenuto conto dell’ultima conferenza stampa della BCE che conferma la nostra view in merito ad un possibile annuncio di un QE twist a dicembre, è probabile che la liquidità globale in dollari continuerà ad aumentare anche più di quello che ci saremo aspettati nei prossimi 18 mesi.

Un’altra spiegazione per il basso livello dei rendimenti obbligazionari è l’eccesso di risparmio a livello globale attualmente presente. Sebbene tale dato sia difficile da misurare correttamente, la scarsa performance del settore manifatturiero rispetto al settore dei servizi, non solo in Cina ma anche in molti altri paesi, è coerente con un’assenza di investimenti e con il rialzo dei consumi indotto da costi di rifinanziamento più bassi e dal minore prezzo del petrolio. Tenuto conto della significativa capacità di produzione globale e dello sviluppo di un modello economico “on demand”, questa tendenza potrebbe durare per anni: l’eccesso di risparmio globale non è ancora giunto ad una conclusione.

Sebbene l’aggiustamento strutturale dei paesi emergenti, che ha avuto inizio nel 2012, non sia ancora finito ed è probabile che possa sfociare in crisi economiche e sociali, va evidenziato che i dirigenti ma soprattutto i responsabili delle politiche monetarie e fiscali cinesi hanno ancora margini di manovra. Inoltre, anche se abbiamo leggermente rivisto al ribasso le stime di crescita sui paesi sviluppati, il contagio proveniente dai paesi emergenti verso quelli sviluppati sembra essere limitato in questa fase, tanto più che il rialzo dei consumi di quest’ultimi compenserà  il calo della domanda negli emergenti.

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