Cosa farà (e cosa dirà) la Yellen?

di Salman Ahmed, Global Strategist di Lombard Odier Investment Managers

In questa nota presentiamo le nostre riflessioni all’apertura della riunione della Fed. Concordiamo con l’opinione sempre più generalizzata che il rialzo dei tassi avverrà più probabilmente a dicembre. Detto questo, crediamo anche che la domanda più importante da porsi sia se la Fed riuscirà ad attuare un ciclo restrittivo prolungato in un mondo di disinflazione e deflazione diffuse.

I motivi contrari al rialzo Sia i pezzi di mercato sia i dati che emergono dai sondaggi evidenziano nelle ultime settimane un chiaro cambiamento di posizione, come risultato del duro colpo inferto da parte della Cina alla fiducia a livello globale. Per esempio, guardando i consenus, un possibile rialzo da parte della Fed è oggi dato con una probabilità ben al di sotto del 50%, rispetto all’80% circa e al 60% di luglio. Questa riduzione delle aspettative nei confronti del rialzo è di per sé un problema per la Fed, poiché un’eventuale mossa in occasione del prossimo incontro sarebbe vista come uno shock, una situazione che i membri senior del Federal Open Market Committee (FOMC) preferirebbero evitare. All’indomani della decisione di lasciar deprezzare la valuta, le recenti e preoccupanti dinamiche della Cina hanno attirato l’attenzione del mercato verso la possibilità di un hard landing della seconda più grande economia del mondo. L’effetto combinato di contrazione dei corsi azionari globali, ampliamento degli spread creditizi e rally del dollaro USA ha inasprito le condizioni economiche negli Stati Uniti. Tutto ciò suggerirebbe un approccio di attesa, visto l’alto grado di incertezze esterne. Per quanto riguarda i dati interni degli Stati Uniti, l’incapacità dell’inflazione di accelerare il passo (sia come inflazione core sia di aumento dei salari), nonostante gli importanti miglioramenti sul mercato del lavoro, continua a fornire buone argomentazioni alle “colombe” del FOMC, che vorrebbero limitare la possibilità di timori di recessione a seguito di un inasprimento prematuro della politica monetaria. La forte riduzione dei prezzi delle commodity nelle ultime settimane ha ulteriormente rafforzato tali argomentazioni, vista la probabilità che l’inflazione scenda nuovamente sotto lo zero nei prossimi mesi.

I motivi a favore del rialzo Se ci concentriamo esclusivamente sui dati relativi alle attività, è difficile sostenere che il contesto economico statunitense non sia pronto a un rialzo dei tassi. In effetti, si potrebbe persino dire che la Fed sia in ritardo rispetto alla curva. Nello specifico, il tasso di disoccupazione rientra nelle naturali aspettative della Fed (dal 5% al 5,2%), il numero di chi è in cerca di prima occupazione è prossimo ai minimi ciclici e i dati delle indagini sulle imprese sono in linea con una buona dinamica di crescita. La relativa solidità delle valutazioni sulle attività sostiene la posizione di “dipendenza dai dati” recentemente adottata dalla Fed, quando ha avviato il lungo e arduo processo di preparazione dei mercati a un eventuale inizio del ciclo di politiche restrittive. Si può certamente affermare che non alzare ora i tassi complicherebbe ulteriormente l’uscita della Fed dalla fase espansiva. Le rappresentazioni standard delle funzioni sulle reazioni, ad esempio la regola di Taylor (che aiuta la comunicazione della banca centrale) diventeranno sempre meno rilevanti, con un’ulteriore perdita di chiarezza delle politiche e, potenzialmente, della credibilità.

La stretta della Fed in un mondo di disinflazione e differenziazione Dal nostro punto di vista, gli eventi delle ultime settimane mostrano chiaramente che implementare una politica monetaria indipendente continua a essere difficile per le principali banche centrali come la Fed. La Banca Centrale Europea (BCE) e la Bank of Japan (BoJ) si stanno preparando a una nuova dose di stimolo monetario, visto che il calo repentino dei prezzi delle commodity genera, ancora una volta, una pressione prolungata sugli obiettivi d’inflazione. Modificando i parametri tecnici dell’attuale programma di acquisti, Draghi ha già inviato un potente segnale: la BCE è pronta ad ampliare il quantitative easing per raggiungere l’obiettivo d’inflazione. Dal nostro punto di vista, la BoJ probabilmente seguirà l’esempio, data la debolezza dell’economia nipponica. Inoltre, la dinamica di diversi importanti mercati emergenti resta preoccupante e i segnali di un più deciso rallentamento della crescita in Cina si accompagnano a gravi rischi idiosincratici in paesi come Russia, Brasile e Turchia. La continua pressione al rialzo sul dollaro USA (in parte legata all’aumento dei tassi della Fed) ha peggiorato le cose per i mercati emergenti, vista la forte crescita dell’indebitamento nelle loro economie nazionali dal 2010. La Fed continua a sostenere che la propria politica monetaria per l’economia nazionale. Tuttavia, le sempre maggiori interrelazioni globali (finanziarie e commerciali), unite all’importanza del dollaro USA come principale valuta per contrarre prestiti fanno sì che l’attuale percorso divergente tra USA e resto del mondo abbia aggiunto una dimensione molto importante alla definizione delle politiche monetarie della Fed. Anche nell’eventualità che la Fed dovesse avviare il ciclo di rialzo nei prossimi giorni o mesi, crediamo che sarà complicato sostenere questo percorso, visti i diffusi segnali di disinflazione globale che, secondo noi, suggeriscono un ulteriore easing monetario, e non una sua riduzione.

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