Il lavoro Usa perde spinta e il mercato punta al rialzo tassi nel 2016

a cura di Vincenzo Longo, market strategist di IG

L’US Bureau of Labor Statistics (BLS) ha comunicato che, a settembre, sono stati creati 142 mila nuovi posti di lavoro nei settori non agricoli, in calo rispetto alle attese (fissate a +203 mila unità). Il tasso di disoccupazione è rimasto stabile al 5,1%, mentre il tasso di partecipazione al lavoro è scivolato al 62,4% dal 62,6%. È il dato più basso dall’ottobre del 1977. Riviste al ribasso sia le cifre di luglio che di agosto, portate rispettivamente a +223 mila unità (da +245 mila) e a +136 mila da (+173 mila). Entrambe le revisioni hanno un effetto combinato di -59 mila posti di lavoro. Stabile la crescita dei salari, che è stata confermata al 2,2% a/a. Il settore più deludente rimane quello minerario, che da inizio anno ha registrato un deflusso di 102.000 unità.

Il report di oggi è stato veramente deludente, su tutti i fronti. Il mercato del lavoro sembra perdere spinta e a confermalo è la crescita mensile media dei posti di lavoro, che da inizio anno è pari 198.000 unità, in sensibile calo rispetto a quella del 2014 (260.000 unità). Il sentore che i dati potessero essere non eccezionali era già nell’aria, dopo le figure deboli affiorate nel comparto manifatturiero ed energetico, ma di certo non ci si aspettavano dati simili. Probabilmente dietro queste figure si mascherano le prime avvisaglie di contagio da rallentamento cinese.

E ora cosa farà la Fed? Se nella riunione di settembre, la Yellen aveva invocato ulteriori miglioramenti del mercato del lavoro prima di poter alzare i tassi e le figure di oggi sicuramente allontanano questo scenario. Salvo improbabili revisioni importanti nei prossimi mesi, queste figure sono in grado di far slittare un rialzo dei tassi al 2016, in opposizione alle recenti dichiarazioni dei vari membri Fed, che hanno sostenuto lo scenario di un ritocco dei tassi entro la fine dell’anno. A sostenere uno slittamento del rialzo dei tassi vi è anche il continuo deterioramento delle aspettative inflattive di medio lungo periodo, che questa settimana hanno visto il breakeven inflation rate sui Treasury (scadenze 1, 5 e 10 anni) toccare i livelli più bassi dall’aprile 2009.

Dopo i dati di oggi, i Fed Fund Futures hanno visto schizzare le probabilità di un rialzo dei tassi a gennaio 2016 al 41% e a marzo 2016 al 52%, mentre quelle di ottobre 2015 e dicembre 2015 si sono ridotte al 2% e al 29%, rispettivamente.

Sui mercati, la reazione è stata univoca, con vendite massicce sul dollaro statunitense. Il cambio Eur/Usd è passato da 1,1150 a 1,1314, massimi dal 21 settembre scorso. Male anche le borse europee, che guadagnavano circa l’1,5% prima dei dati, e hanno poi azzerato tutti i rialzi. Occorrevano dei dati positivi per tentare di scacciare nella mente degli investitori i timori di rallentamento globale affiorati nelle ultime settimane, cosa che non è avvenuta. Anzi, queste figure non fanno altro che accentuare tali preoccupazioni, pertanto prepariamoci ad un autunno molto caldo.

I grandi gestori, che aspettavano queste figure per decidere il posizionamento per affrontare l’ultimo trimestre dell’anno a questo punto sembrano optare per il comparto governativo, i cui tassi sono precipitati dopo i dati. Il rendimento sul decennale Usa è scivolato sotto quota 2%, raggiungendo i nuovi minimi da aprile.

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