Riflessioni su un rimbalzo inatteso e già finito

a cura di Alessandro Balsotti, Senior Portfolio Manager di JCI Capital Limited
Il rimbalzo dei risky assets innescatosi nel pomeriggio del venerdì in cui è stato pubblicato il (pessimo) rapporto sull’occupazione US relativo al mese di settembre, è continuato senza tregua per tutta la settimana passata. In molti avranno tirato un sospiro di sollievo nel vedere evitata una problematica rottura ribassista del recente range (successivo alla turbolenza di agosto). Credo che ancora più numerosi, compreso il sottoscritto, siano stati gli investitori rimasti perplessi di fronte a tanta persistenza ed estensione in quella che inizialmente poteva essere bollato essenzialmente come un violento short-squeeze.
Un’analisi approfondita di tale movimento è quindi necessaria. Il ritrovato karma del mercato ha fondamentalmente due padri: La stabilizzazione (reale o percepita che sia) degli asset cinesi. Lo Shanghai Composite, dopo le due terribili discese (a giugno e ad agosto) che lo hanno portato da 5000 a 3000, sembra aver trovato un supporto stabile proprio in area 3000 e sta provando con qualche successo a rialzarsi (siamo quasi a 3300). La tempesta sullo yuan (visibile più in termini di outflowsche di prezzi, sempre tenuti sotto relativo controllo dalle autorità) ha evitato di evolvere in uragano ed viene ora addirittura ridimensionata da alcuni a semplice temporale estivo. Il dato sulla moderata perdita delle riserve valutarie della PBoC a settembre (-45 miliardi di dollari, circa un terzo di quelle che erano state necessarie per stabilizzare lo yuan in agosto) ha contribuito a fugare buona parte dei timori immediati su un sistema finanziario spesso percepito com potenzialmente vicino al tracollo. Il dato sull’occupazione statunitense e, più in generale il flusso di informazioni macro non entusiasmanti sul fronte americano nelle ultime settimane, ha portato più chiarezza, di quanto non avesse fatto la Fed stessa nell’ultimo FOMC, sul futuro dei tassi americani. Per quanto ironicamente la ritrovata forza dei mercati azionari stia rendendo un rialzo a dicembre possibile se non probabile, il responso proveniente dalla fase economica US è per ora abbastanza chiaro: il rialzo inizierà con più probabilità nel 2016 e sarà comunque lentissimo. Ormai ci sono solo due rialzi (da 25bp) prezzati dalla curva a fine 2016 e solo altri due a fine 2017.
Identificate le motivazioni contingenti del rimbalzo, la seconda con buona pace di tutti quelli che (tuttora) sostengono che un rialzo avrebbe effetti quasi miracolosi sui mercati, cerchiamo di fare chiarezza su una situazione che sembra essere significativamente diversa da quella che avevo immaginato negli ultimi tempi.
Ho più volte sostenuto che il tempo del ‘bad is good’ era terminato perché la centralità dei timori sulla crescita globale, unitamente all’inesorabile perdita di efficacia e credibilità della risposta monetaria delle banche centrali, rendevano dati di crescita migliori delle attese l’unica vera e sostenibile strada per un rilancio verso nuovi massimi dei valori degli Asset finanziari. Mi vedo costretto a rivedere questo scenario, anche se solo parzialmente. E’ evidente a questo punto che i dati negativi possono portare un effetto positivo se riescono a togliere forza al dollaro, disinnescando, almeno temporaneamente, uno dei fattori di instabilità e contagio più forti. Continuo infattia pensare che la carenza della liquidità in dollari a livello globale sia il più importante fattore traumatico che i mercati stiano affrontando. Emergenti e materie prime ne sono i più direttamente colpiti. Questa evoluzione, trainata dall’inversione di tendenza sull’accumulo di risorse da parte delle banche centrali dei paesi emergenti e dalla fine del QE della Fed, è destinata a rimanere con noi (salvo virate, al momento imprevedibili,della Federal Reserve verso un QE4). Sicuramente però tutto quello che allontana e rende più blanda la normalizzazione dei tassi US ed in ogni caso toglie supporto al biglietto verde ha la capacità di alleviare il circolo vizioso in cui sembravamo intrappolati fino a qualche settimana fa. Interrompere il corto circuito negativo giustifica senza dubbio l’importanza del rimbalzo a cui stiamo assistendo. Dubito però che possa essere sufficiente per ritrovare la strada verso nuovi massimi, a meno che l’economia (globale e/o americana) non si dimostri in uno stato assai migliore rispetto a quello in cui quasi tutti la immaginavamo fino a un paio di settimane fa, miglioramento di cui per ora non ci sono evidenze nei dati.
Le trimestrali che inizieranno a monopolizzare la nostra attenzione in questi giorni aggiungeranno elementi importanti a queste considerazioni. Per chi fosse meno incline all’analisi macro e più a quella tecnica, anche il comportamento dei prezzi nelle prossime sessioni sarà motivo di interesse, ora che siamo in prossimità di importanti livelli, che prima avevano fornito supporto e dovrebbero ora essere fonte di resistenza.

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