Euforia o depressione, a chi dare ragione?

A cura di Michele de Michelis, Cio Frame Asset Management
Il 26 agosto, all’indomani del crollo di Borsa, nel corso di una trasmissione radiofonica nazionale, mi era stato chiesto di offrire alcuni suggerimenti di comportamento e non vi nascondo che il timore di espormi in un momento così carico di tensione fu molto forte, visto che si viene spesso ricordati più per un errore che per averci visto giusto. Ora, a distanza di un mese e mezzo, verificare che i consigli forniti si sono rivelati corretti mi procura molta soddisfazione, pur certo che pochissimi investitori li avranno realmente seguiti.
Tipicamente, la paura di comprare nei momenti di crash si rivela sempre il nemico numero uno per fare buoni affari, ed è un peccato perché nel mese di ottobre abbiamo assistito ad un rimbalzo spettacolare. In particolare il MSCI World Index (il paniere più rappresentativo del mercato azionario a livello mondiale) si è apprezzato dell’otto percento e vi assicuro che questi numeri non si vedono poi così spesso. Insieme agli indici azionari, abbiamo visto anche il dollaro (trading position da noi consigliata in quella famosa mattinata) guadagnare almeno sette figure nei confronti dell’euro.
Ma siccome “chi si loda s’imbroda”, aggiungo che questa ennesima strappata al rialzo impedisce nuovamente a calma e raziocinio di ritornare sui mercati, che si ritrovano ancora in balia di quell’euforia ed entusiasmo che seguono normalmente ai momenti di panico e depressione. Gli stessi sintomi di chi abusa di droghe e anti depressivi, come molta gente sostiene stiano dispensando ad ampie mani ormai da anni le principali banche centrali. Andando a leggere della ricerca, ho trovato delle cose tanto interessanti quanto diverse ognuna dall’altra. E sia chiaro che le persone che hanno prodotto tali documenti non sono proprio gli ultimi arrivati, quindi le loro analisi meritano tutto il rispetto e la considerazione possibile. Alcuni sostengono che – anche solo a guardare il prezzo delle materie prime – siamo già tornati in recessione e che la crescita del tre percento americana sia ormai un miraggio e per tale motivo saremmo prossimi ad una nuova grande crisi. Altri invece che vedono nei leading indicator dei segnali di risveglio con conseguente ripartenza del ciclo e innesto del circolo virtuoso (investimenti, consumi, inflazione).
A chi dare ragione? Una cosa è certa, viviamo in una situazione anomala e tentare dei paragoni con il passato risulta difficilissimo se non poco produttivo. Qualche esempio di potenziali segnali negativi sull’indice S&P 500 è rappresentato dalle valutazioni (che, considerando il price/book, il price/sales e il price/cash flow) sono giunte ai livelli più elevati dell’ultimo decennio e dal fatto che i buy back e le attività di M&A rappresentano ormai il settanta percento dei volumi di scambio. Le aziende si indebitano per ricomprarsi le proprie azioni. Negli ultimi due trimestri la crescita degli utili è stata negativa, sebbene non in maniera così evidente come ci si poteva attendere.
Allo stesso tempo però, sappiamo che FRAME Asset Management S.A. la FED, nonostante abbia dichiarato che molto probabilmente alzerà i tassi a dicembre, su quello che farà successivamente non si è ancora esposta. Draghi ha confermato di recente che potrebbe estendere il programma di QE e stiamo tutti in trepida attesa per quanto riguarda la prossima mossa di Kuroda. Il quadro appena mostrato delinea uno scenario di tassi d’interesse estremamente bassi ancora probabilmente per molto tempo con un susseguirsi di situazioni di risk on (sale tutto) o risk off (scende tutto). Di quanto i mercati potranno scendere e/o poi risalire eventualmente costituisce il vero dubbio amletico, perchè anche i ribassisti indicano un livello di 1500 (pari ad un trenta percento di calo, tipico dei bear market del passato) per lo S&P 500.
Concludo riportandovi un commento inserito nell’ultima investment letter di uno dei miei gestori preferiti, l’inglese Jonathan Ruffer, la cui fama è legata alla caratteristica di aver saputo individuare e gestire in anticipo i mercati ribassisti. “Avendo realizzato il mio primo investimento azionario nel 1967 (azioni Arthur Guinness a 21 scellini e 7 penny e mezzo) posso affermare tranquillamente che quello che stiamo vivendo è in assoluto il periodo più difficile che abbia mai visto per quanto riguarda gli investimenti. Tutte le asset class infatti tendono a muoversi in blocco. Un fatto sicuramente positivo quando tutto sale, mentre lascia l’investitore senza protezione alcuna in caso contrario.Riteniamo che, all’interno dello scenario attuale, sarà più semplice gestire gli strascichi di un crollo di mercato piuttosto che fare bene agli inizi della fase ribassista in quanto la diversificazione non è più in grado di proteggerci come in passato “.
Morale del mese, se è vero che è molto difficile (per non dire impossibile) anche per i migliori gestori riuscire a non accumulare perdite nel primo periodo di correzione, qualora ci trovassimo di fronte ad un nuovo ennesimo pesante crash, che dovesse diventare una crisi vera e propria o un bear market, il consiglio è di non scappare facendo il solito errore di consolidare le perdite (perché quando si esce ormai i prezzi sono già scesi in maniera importante) ma lasciare il timone a navigatori esperti che sanno come affrontare le tempeste.

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