La febbre cinese contagia la zona euro, Draghi può fare di più

Perde spinta la crescita nella zona euro nel 3° trimestre del 2015. Il Pil si è attestato a +0,3% t/t, in calo rispetto alle attese e al dato del trimestre precedente, entrambi a +0,4%. Delude anche il dato tendenziale, fermatosi a +1,6% contro attese di +1,7%. È il dato più alto degli ultimi 4 anni. A livelli di singoli paesi, in Italia il Pil del 3° trimestre è salito di un modesto 0,2% da +0,3% del trimestre precedente (attese a +0,3%). Anche in questo caso l’export è stato uno degli elementi che ha pesato di più sul saldo finale. L’impressione che abbiamo è che l’euro mediamente più forte rispetto ai livelli di inizio anno e le tensioni su mercati importanti per alcuni settori strategici per la nostra economia (lusso, agroalimentare e meccanica) non siano stati compensati completamente dalla ripresa dei consumi interni. Su base tendenziale la crescita è stata dello 0,9%, in ripresa dallo 0,6% del trimestre precedente e in calo rispetto alle attese, fissate a +1%. Si tratta in ogni caso del dato maggiore dal secondo trimestre 2011. La crescita acquisita da inizio anno è a +0,6% e serviranno dati in forte ripresa per arrivare ad avere un crescita annua dello 0,9%.
Anche la Germania ha registrato un rallentamento su base trimestrale, con il Pil che si è attestato a +0,3% da +0,4% del trimestre precedente. Il miglioramento dei consumi domestici non è riuscito anche in questo caso a controbilanciare il contributo negativo della bilancia commerciale, che ha visto l’export decelerare vistosamente. È proprio dietro quest’ultimo dato che si maschera il rallentamento della domanda cinese per i macchinari tedeschi. Su base tendenziale il Pil ha mostrato un’accelerazione a +1,8% da +1,6%, dovuta per lo più alle figure deboli registrate a metà del 2014. È stato, in ogni caso, il dato più alto da inizio 2014.
Torna a crescere la Francia, che ha visto l’economia espandersi dello 0,3% t/t rispetto alla crescita nulla del secondo trimestre dell’anno. Il Paese d’oltralpe ha beneficiato dei bassi prezzi energetici, elemento questo che ha spronato i consumi delle famiglie. Negli ultimi mesi anche l’attività manifatturiera ha mostrato segnali di ripresa incoraggianti che l’hanno allontanata dal pericolo di una crisi economica dopo il deludente 2014. Su base annuale la crescita è stata dell’1,2% in recupero dal +1,1%. Si tratta della crescita più alta dall’ultimo trimestre del 2011. Tra gli altri Paesi, delusione è arrivata dall’Olanda (+0,1% t/t da +0,2%) e Portogallo (0% da +0,4%), le cui economie hanno rallentato rispetto al secondo trimestre.
Dietro queste figure iniziano a intravedersi i primi frutti del Quantitative Easing della Bce. Crediamo, però, che gli effetti positivi siano stati un ridimensionati notevolmente dalle turbolenze e dai timori che hanno interessato i mercati durante l’estate. L’euro mediamente più forte rispetto ai valori di inizio anno (una conseguenza di questi timori) ha fatto poi il resto. Senza questi effetti avremmo assistito a una crescita più solida, grazie al contributo migliore dei paesi più volti all’export, soprattutto Germania e Italia.
Le figure odierne contribuiscono ad aumentare le aspettative per nuovi misure non convenzionali della Bce nella riunione di dicembre. Se sinora il mercato scontava un taglio dei tassi sui depositi di 10 punti base (da -0,2% a -0,3%), probabilmente dopo i dati odierni ci sarebbe spazio anche per qualcosa in più. Ad avvalorare questa ipotesi ci sarebbero i nuovi cali dei prezzi di molte materie prime, che hanno visto nelle ultime ore il petrolio tornare ai livelli di agosto, mentre rame, zinco, platino e nichel hanno aggiornato i minimi da oltre 6 anni. Questi dati contribuiscono a peggiorare le aspettative inflattive e saranno presi come pretesto per spiegare nuove misure.
Dopo i dati, le borse europee sono rimaste contrastate, segnale questo che i dati deludenti in qualche modo alimentano le aspettative di un’azione più incisiva di Draghi già a dicembre. Non c’è tempo da perdere e il numero uno della Bce sembra averlo capito, dopo l’audizione di ieri davanti al Parlamento europeo. Il cambio Eur/Usd è tornato a scendere in area 1,0750, ben lontano da 1,0830 toccato ieri sera. Sul cambio si concretizzano sempre più le probabilità di vederlo sui minimi annuali entro la fine dell’anno.
A cura di Vincenzo Longo, market strategist di IG

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