PwC: L’Italia ha un potenziale di crescita di circa 600 miliardi di euro. Il ruolo del Fintech

Nel 2014 in Italia, secondo PwC, il patrimonio globale in gestione (AuM) è cresciuto fino a quasi 1.600 miliardi di euro, una quota del 7% sul totale europeo, con un tasso di crescita del 19% rispetto all’anno precedente (superiore alla media europea del 15%). Esistono tuttavia ampi margini di crescita, secondo quanto emerso alla European Asset Management Conference di PwC che ha fatto il punto con oltre 500 operatori sulle prospettive del settore in Italia ed Europa e sullo scenario al 2020.
In termini di raccolta netta, i Fondi d’investimento hanno raggiunto il picco di 92,4 miliardi di euro, più del doppio rispetto all’anno precedente, il 15% sul totale raccolta netta in Europa. Nel primo semestre 2015 l’industria italiana dell’AM è cresciuta ancora più velocemente, confermando il trend positivo.
Questo risultato è stato raggiunto nonostante una crescita lenta, le minacce di deflazione e tensioni geopolitiche. Questi risultati non dovrebbero però sorprenderci in un contesto dominato da una richiesta di rendimenti sempre migliori in uno scenario di bassi tassi d’interesse.
Inoltre, il crollo dei margini d’interesse che ha colpito le banche europee, le ha costrette a riconsiderare il contributo positivo delle attività di AM sui risultati, insieme al vantaggio di un ridotto impiego di capitale. In Europa, la domanda di UCITS ha raggiunto il suo livello più alto nel 2014 pari a 474 miliardi di euro. L’Italia risulta al 4° posto in termini di raccolta netta pari a 33 miliardi di euro.
Elisabetta Caldirola, Asset Management Leader di PwC in Italia spiega: “Se aggiungessimo i fondi round-trip e i flussi di gruppi stranieri collocati presso investitori italiani, dal punto di vista della distribuzione, l’Italia sarebbe il terzo più grande paese, dopo il Lussemburgo e l’Irlanda, con una quota pari al 19% del totale dei flussi in entrata in Europa”. I fondi round-trip rappresentano circa il 50% del totale gestito dagli investitori italiani. In Italia, alla fine del mese di giugno 2015 la massa gestita da fondi nazionali era pari a 276 miliardi di euro. Se a questi si aggiungono i fondi round-trip domiciliati in Lussemburgo e Irlanda si arriva a 554 miliardi, cifra che sale a 830 miliardi di euro se si aggiungono i fondi dei gruppi stranieri sottoscritti da residenti in Italia.
Se si considera il rapporto masse gestite-PIL il Regno Unito resta il primo centro finanziario in Europa, seguito da Francia, Germania e Italia.In base ai dati della relazione annuale di Banca d’Italia, che mostra la % di asset gestiti professionalmente sulle attività finanziarie delle famiglie, nonostante la nostra industria nazionale resti di modeste dimensioni rispetto agli altri paesi europei, negli ultimi anni la sua crescita è stata elevata. In Italia, tale rapporto è pari al 26% a fine 2014, ben al di sotto della media europea del 41%: una forte evidenza che ci sono enormi opportunità di crescita per l’industria italiana rispetto ad altri paesi europei.
Elisabetta Caldirola, spiega: “L’Italia ha un potenziale di crescita di circa 600 miliardi di euro, vale a dire un aumento del 15% del patrimonio gestito in modo professionale, date le attività finanziarie totali delle famiglie italiane pari a circa 4.000 miliardi di euro a fine 2014. Senza considerare altre misure che si prevede spingano ulteriormente la crescita: tra cui gli incentivi governativi ai piani pensionistici privati”.
Secondo la relazione annuale di Banca d’Italia, a fine 2014 i clienti istituzionali italiani detenevano 1.250 miliardi di euro, di cui oltre il 50% detenuto dalle compagnie di assicurazione. Il 60% delle attività istituzionali è investito in obbligazioni governative e societarie contro una media europea del 39%. In particolare, la quota destinata ai Titoli di Stato sul patrimonio complessivo è molto più alta 35% contro il 9%: questo è dovuto alla dimensione più piccola del nostro mercato azionario e un mercato del private equity meno sviluppato. Una caratteristica peculiare del nostro mercato è che è molto concentrato: i primi tre player rappresentano oltre il 50% del patrimonio gestito totale nel primo semestre 2015. In termini di nr. di operatori, abbiamo 151 società di gestione d’investimenti, di cui una discreta quota detenuta da gruppi bancari.
Guardando la nazionalità di questi gruppi, su 58 operatori di AM, 27 sono stranieri; tuttavia, sulla base del patrimonio gestito, l’industria italiana AM è dominata da operatori nazionali, che rappresentano quasi l’80% del patrimonio gestito totale. Il fattore chiave di successo è una profonda conoscenza dei loro clienti da parte delle banche e della loro capacità di rimanere “one-stop-shop” per i depositanti/investitori.
Il modello di distribuzione, che si è dimostrato particolarmente efficace, è caratterizzato da un elevato livello di integrazione verticale. Come emerso da un sondaggio di Assogestioni, a fine 2013, circa il 70% del patrimonio gestito da fondi è stato collocato presso i distributori di proprietà e/o partner strategici. Guardando il tipo di distribuzione, il 66% del totale gestito è stato collocato attraverso gli sportelli bancari e per il restante 34% attraverso le reti di promotori finanziari. La quota di mercato delle piattaforme online è invece ancora marginale.
Anche a livello europeo sono in atto cambiamenti regolamentari che influenzeranno lo sviluppo del settore. Andy O’Callaghan, European asset management leader di PwC commenta: “Il progetto di unificazione dei Mercati dei capitali europei è una grande opportunità di innovazione. Gli asset manager possono capitalizzare le opportunità che ne deriveranno ma se non adegueranno per tempo i loro modelli operativi potrebbero subire dei contraccolpi”. “L’industria deve aprire un dialogo permanente con i governi, affinché la classe politica acquisisca la consapevolezza dei driver che guidano l’industria: l’educazione finanziaria della classe politica è importante tanto quanto quella dei risparmiatori”, dichiara Alexander Schindler, Presidente, EFAMA.
Passando dalla fotografia ai trend in atto nel settore, due sono i fenomeni più rilevanti da sottolineare e analizzati da due delle pubblicazioni PwC della serie AM2020: l’incidenza sempre più rilevante della tecnologia in ambito finanziario e la crescente importanza della fiscalità nella competitività del settore.
Il Trend Fintech e l’avanzata dei Robo-Advisor
Il primo Fintech, gioca un ruolo fondamentale, complice la diffusione e l’utilizzo di smartphone e tablet per accedere a servizi finanziari via internet. Prima le tecnologie finanziarie erano usate per migliorare i prodotti e processi finanziari (quali bancomat, carte di credito …), oggi la stessa tecnologia può essere usata per ottenere finanziamenti al di fuori dei sistemi bancari tradizionali o per fornire servizi finanziari (pagamenti via mobile, gestione degli investimenti…). Rispetto all’Europa, secondo i dati Eurostat, ad usufruire dei servizi di online banking sono solo 16 milioni di italiani maggiorenni, rispetto ai 29 milioni di utenti internet in Italia. Di questi, solo 1,6 milioni circa effettua investimenti in fondi. In questo quadro si inserisce la diffusione dei Robo Advisor, che non sono necessariamente veri robot ma piuttosto piattaforme di gestione patrimoniale online che forniscono consigli sulla gestione dei portafogli, basati su algoritmi, con un minimo intervento umano.
Consentono agli investitori di gestire la loro ricchezza con vantaggi in termini di: accessibilità (si utilizzano in qualsiasi momento), semplicità (si possono impostare gli obiettivi d’investimento e il profilo di rischio), economicità e informazione, dal momento che forniscono anche consigli base d’investimento. Gli operatori del settore AM stanno investendo sempre di più nelle piattaforme Robo-Advisor e si stima che questa tecnologia crescerà ad un tasso medio annuo del 68% fino al 2020, da un attuale tasso dello 0,5% sul totale investito fino al 5,6%. Si tratta di un fenomeno prevalentemente diffuso in USA ed Europa, in particolare in UK.
Asset Management, gestione del rischio e scenario fiscale
Nei prossimi 5 anni la modalità con cui i player del settore del risparmio gestito affronteranno i rischi fiscali sarà tenuta molto in considerazione da parte dei potenziali investitori/clienti, i quali si aspetteranno, infatti, una struttura di gestione dei rischi fiscali sempre più robusta ed efficiente ed avranno una tolleranza minima alle incertezze.
Il risultato di tutto ciò sarà una sempre maggiore attenzione ai rischi fiscali, che porterà a far diventare la gestione di tali rischi una delle attività chiave dal punto di vista sia operativo sia di business all’interno delle società di gestione, richiedendo risorse specializzate ed un nuovo approccio in cui sarà necessaria una sempre maggiore integrazione anche con le attività di front e middle office.
Un approccio trasparente nei confronti delle autorità fiscali (e degli altri stakeholder) sarà vitale per i mercati finanziari non appena il Common Reporting Standard (CRS) e le altre reportistiche fiscali a livello globale diventeranno realtà.
La tassazione dei portafogli di investimento sarà un elemento chiave tenuto sempre più in considerazione da parte degli investitori/clienti, i quali tenderanno a valutare le performance dei propri investimenti al netto delle imposte, pretendendo una chiara informativa sulle tematiche fiscali che potrebbero avere un impatto sul rendimento netto. Il rischio fiscale sarà pertanto visto come uno dei tanti rischi operativi da gestire, allo stesso modo con cui vengono affrontati i rischi derivanti dagli adempimenti regolamentari entrati in vigore negli ultimi anni.
Le tecnologie saranno alla base di una efficiente gestione delle tematiche fiscali non solo per soddisfare le richieste di monitoraggio da parte delle autorità fiscali, ma anche per soddisfare le esigenze informative della clientela, la quale pretenderà che le società operanti nel settore siano in grado di dimostrare tale efficienza nella gestione delle tematiche fiscali anche rispetto ai propri rendimenti di portafoglio.

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