Sempre più a fondo nel buco nero del QE

a cura di Salman Ahmed, Global Strategist Lombard Odier Investment Managers

La scorsa settimana (25 novembre) il mondo della fisica ha celebrato i 100 anni da quando Albert Einstein presentò la teoria della relatività all’Accademia prussiana delle scienze. La teoria di Einstein spiegava i fenomeni astronomici osservati in modo molto più valido di qualsiasi altra teoria del tempo ed è ancora considerata l’idea più importante della fisica moderna. Tuttavia, nonostante la sua eleganza e la solida base razionale, la teoria della relatività è stata superata dalla fisica quantistica nel XX secolo, poiché non spiega il cambiamento delle “leggi naturali” che vigono all’interno del piccolo atomo e all’altro estremo, negli enormi buchi neri, la cui massa equivale a diversi milioni del nostro sole.

In effetti, l’attuale indagine scientifica sul funzionamento dei buchi neri supermassicci (ossia corpi enormi in cui la gravità è talmente forte che nemmeno la luce può fuoriuscire) suggerisce che la realtà fisica all’interno di un buco nero può essere piuttosto bizzarra. Ad esempio, nel momento stesso in cui si entrasse in un buco nero (nella fortuna o sfortuna di essere nelle sue vicinanze), la realtà si spaccherebbe in due. In una realtà, il malcapitato sarebbe immediatamente incenerito, nell’altra attraverserebbe il buco nero restando completamente illeso.

Anche gli ultimi sette anni di teoria della politica economica, soprattutto sul fronte delle politiche monetarie, hanno visto vere e proprie rivoluzioni nel nostro modo di comprendere (o meno) l’economia globale e la sua interazione con il sistema finanziario moderno. L’equivalente della teoria della relatività generale, ossia i contesti di politica monetaria eleganti, fondati su regole (come la regola di Taylor e la curva di Phillips 1), sono stati resi pressoché inutili dalla comparsa, nell’economia globale, di “buchi neri” in quelle che fino a poco tempo fa erano considerate leggi naturali (ad esempio, l’indebolimento della mano invisibile dei mercati teorizzata da Adam Smith).

Un altro esempio è la visione puramente monetarista secondo cui l’inflazione è un fenomeno monetario. La teoria ha subito un forte colpo empirico negli ultimi anni, quando i trilioni di dollari di moneta legale pompati nel sistema non sono riusciti ad avviare nulla che possa essere anche lontanamente definito iperinflazione. La realtà è che le quattro regioni di rilievo nell’economia globale (Stati Uniti, Eurozona, Giappone e Cina) stanno attualmente attraversando periodi di diffusa disinflazione (compresi gli Stati Uniti), se non di deflazione. Utilizzando l’analogia della realtà divisa, la realtà economica corrispondente al caso in cui “si attraversa il buco nero illesi” (almeno in termini di inflazione) per ora ha il sopravvento sulla realtà dell’incenerimento immediato. Per gli amanti di QE e buchi neri: prima di gioire, sappiate che la teoria prevede anche la distruzione nel punto di singolarità o centro del buco nero.

Probabilmente la BCE farà di più
Vista la realtà favorevole, sulla base dei fatti empirici, generata dall’attuazione del QE, giovedì 3 dicembre la BCE si prepara a somministrare un’altra dose di allentamento delle politiche monetarie. Secondo noi, comprenderà molto probabilmente un ulteriore acquisto di obbligazioni sovrane, alimentato dalla stampa di nuova moneta (circa 70 milioni di euro al mese e ampliamento del programma fino a settembre 2017) e un maggiore taglio del tasso di deposito (circa 20bps a -40 bps). Inoltre, potremmo assistere a qualche guizzo di creatività per mitigare il fenomeno “soglia zero” dei tassi d’interesse nominali (e le possibili conseguenze impreviste). È probabile che la BCE scelga la via degli oneri bancari in due fasi per affinare ulteriormente la definizione di “denaro”, in relazione al sistema finanziario. In questa fase resta da vedere se la BCE amplierà la portata del sue programma di acquisto comprendendo anche asset rischiosi, ma gli eventi degli ultimi anni mostrano che di questo si parlerà molto probabilmente più avanti, nel caso di un nuovo allentamento della politica monetaria.

Un mondo nuovo di investimento nel fixed income
Proprio come nel caso del crollo delle leggi naturali in un buco nero (almeno per come le abbiamo intese finora), riteniamo che anche gli investitori nell’universo del fixed income si trovino a vivere in un mondo nuovo nello scenario globale. Innanzitutto, le banche centrali sono diventate gli attori dominanti a entrambe le estremità long e short delle curve dei titoli governativi e dunque, per estensione, dell’intero spettro di asset rischiosi. Dal nostro punto di vista, è probabile che restino tali.
Nello specifico, anche se gli Stati Uniti avviassero il ciclo di rialzo dei tassi a dicembre, la dura realtà è che la maggior parte del mondo sta vivendo una diffusa disinflazione, o una vera e propria deflazione. Mentre il discorso politico si allontana sempre di più dall’uso di politiche fiscali come strumento per dare slancio alle attività, il compito di agire da stimolo continua a gravare sulla politica monetaria (forse perché meno trasparente e anche meno ostacolata da interferenze politiche dirette). Questa realtà è il motivo principale che ci spinge a dire che gli investitori nel fixed income devono adattarsi a un mondo caratterizzato dal costante dominio delle banche centrali.
Anche il secondo pilastro politico dei regolamenti del settore bancario (anch’esso oggi controllato dalle banche centrali) probabilmente creerà distorsioni permanenti nello spazio delle obbligazioni. Ad esempio, come discusso nel recente documento Fixed Income Perspective, è probabile che le disposizioni di Basilea III, come il coefficiente di copertura della liquidità (Liquidity Coverage Ratio, LCR), generino un’altra fonte importante di richiesta di obbligazioni sovrane non sensibili al prezzo, poiché sono utilizzate dal settore bancario per soddisfare i criteri di liquidità  regolamentari.
Infine, visto il prolungato uso dei programmi di QE, associato a un contesto di crescita globale debole negli ultimi anni, tutti gli investitori sono stati obbligati a “radunarsi”  tutti nei titoli obbligazionari, basati  nella maggior parte dei casi sulla capitalizzazione di mercato (questo è dimostrato dalle gamme di prodotti e dai flussi di asset dei principali gestori). Crediamo che si tratti di una situazione molto malsana per due motivi. C’è una maggiore probabilità che gli shock rispetto alle aspettative vengano amplificati, sia per le posizioni comuni, sia per la ridotta capacità del settore bancario di assorbire eventuali forti shock di liquidità, diretta conseguenza di regolamenti più severi.

L’attenzione ai fondamentali è essenziale per una ricerca “prudente” del rendimento
Ad alto livello, pensiamo che una prolungata disinflazione/bassa deflazione in un mondo caratterizzato da eccesso di debito e sovra-capacità resti lo scenario di fondo. Le emissioni in Cina alla fine dell’estate ci ricordano che un’eccessiva leva finanziaria nel sistema globale richiede tempo per risolversi, poiché i decisori politici con grande influenza sui prezzi economici essenziali restano avversi a soluzioni basate sul mercato (che implicano alti costi politici per chi è in carica).
In questo contesto, riteniamo che la ricerca del rendimento continuerà a essere supportata (e anche incoraggiata) nonostante i rischi di coda strutturali che l’attuale nuovo orientamento del sistema economico globale genera. Tra questi, il principale è il continuo aumento del rischio politico (in grado diverso nelle economie avanzate),4 dove la “zombificazione” del problema del debito si manifesta in disoccupazione molto elevata, ridotta crescita e crescente ineguaglianza di reddito. Anche nel mondo emergente, la zombificazione dell’eccessiva leva finanziaria cinese implica un forte rischio di coda se, a livello nazionale o internazionale, sarà messa in dubbio la credibilità della capacità dei decisori politici di evitare un hard landing.
Viste tutte queste profonde tensioni e problematiche, pensiamo che gli investitori nell’universo obbligazionario debbano affrontare la ricerca del rendimento con prudenza, con una valutazione realistica della miriade di rischi di coda che devono essere direttamente integrati nel processo di investimento. Lombard Odier IM è fortemente orientato a usare i fondamentali del credito sottostante per costruire i portafogli fixed income. Questo è un esempio in cui diventa palese l’attuale debolezza (dal nostro punto di vista) dell’uso della capitalizzazione di mercato (o il criterio entità/prezzo del debito in essere) per determinare le allocazioni obbligazionarie.

Nello specifico, quest’anno le differenze tra i due approcci sono state chiaramente visibili nell’universo del debito dei mercati emergenti, dove la differenziazione basata sui fondamentali si è saldamente radicata a seguito di un’inversione nel ciclo delle commodity. Ad esempio, il nostro indice in valuta locale EM basato sui fondamentali ha generato una performance di circa 500 bps al di sopra dell’allocazione standard basata sulla capitalizzazione di mercato (dall’inizio dell’anno).5 Questo evidenzia l’importanza di usare il “giusto” benchmark per costruire un’efficiente esposizione di mercato a specifiche asset class. Come discusso nell’ultima analisi strategica,6 con i tassi di interesse delle economie avanzate che si addentrano in territorio negativo, pensiamo sia solo questione di tempo prima che la ricerca del rendimento riporti l’attenzione degli investitori verso questa difficile asset class, nonostante i problemi di alcune economie in via di sviluppo.

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